Storia delle scienze agrarie/II/V

Volume secondo
Nei segreti della nutrizione vegetale la chiave per l’aumento delle produzioni agricole

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Volume secondo
Nei segreti della nutrizione vegetale la chiave per l’aumento delle produzioni agricole
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Intuizioni e contraddizioni nell'opera più discussa del '700

Nella storia dell’agronomia una tappa di speciale significato è rappresentata dalla pubblicazione, nel 1731, di La nuova Agricoltura con la Zappatrice a Cavallo, o Saggio sui Principi della Coltivazione e della Vegetazione. Dove si presenta un Metodo per introdurre nella coltura dei Cereali un Sistema analogo a quello della Coltivazione delle Vigne. In ordine ad Aumentarne la Produzione e a Diminuirne le Spese Comuni, mediante l'Uso di Strumenti di recente Invenzione. L'autore, Jethro Tull, è esponente insieme caratteristico e anomalo della piccola nobiltà di campagna: ha titolo di esquire, ha compiuto buoni studi, che si sono conclusi con la laurea in diritto al Saint John's College di Oxford. Lasciata Oxford ha intrapreso la professione forense contando che essa lo conduca, riferiscono i cronisti, sulla strada della carriera politica.

La salute incerta gli impone, però, di abbandonare i propri disegni. Secondo la consuetudine consolidata dall'inefficacia della farmacopea dell’epoca, i medici gli suggeriscono di ricercare un clima più propizio alla sua costituzione: la tecnologia agraria sarà l'occupazione cui dedicherà il proprio tempo nell’inutile peregrinare. Sperimenta, dapprima, la temperie della campagna natale, stabilendosi nell'azienda di famiglia a Wallingford, nel Berkshire, senza ritrarne alcun giovamento. Affronta, quindi, un viaggio in Francia e in Italia, alla ricerca della salubrità del decantato clima mediterraneo, al ritorno, sperando nella benefica vicinanza del mare, si stabilisce in una seconda azienda di famiglia, a Shalborne nel Wiltshire, «una fattoria solitaria in una terra dove mi sento straniero», confida nella prefazione del volume.

A Wallingford ha costruito il primo modello di seminatrice, in Francia è stato colpito dalla fertilità dei vigneti, coltivati senza alcuna somministrazione di letame, nelle regioni viticole sostanza rarissima, a Shalborne prosegue la costruzione delle macchine che ha concepito e svolge una serie di esperimenti, che proseguirà, in vasi posti davanti alla finestra, anche quando la malattia l'avrà costretto all'immobilità. Il saggio che scrive nasce dalla combinazione degli esperimenti meccanici, delle osservazioni di viaggio e della lunga riflessione. La pubblicazione rompe l'isolamento della fattoria nel Wiltshire: nel clima culturale dell'Inghilterra del Settecento l'opera suscita interesse, consensi e repliche. Il successo induce Tull ad ampliare il testo, che ripropone, nel 1733, arricchito di venti nuovi capitoli e delle splendide tavole con cui illustra le macchine che ha inventato. L'acredine delle polemiche che ha suscitato lo induce ad integrare il testo con una serie di note storiche, con cui replica alle obiezioni: la nuova edizione vede la luce l’anno 1740, l'ultimo della sua vita. Tra gli avversari, combatte la crociata più appassionata contro la dottrina di Tull la Society of Writers, un sodalizio di cultori di scienze e lettere che pubblica saggi anonimi: McDonald ne identifica l'ispiratore in Stephen Switzer, uno tra i più noti giardinieri del Regno.

Costretto nel letto in una casa isolata nella campagna, lo scrittore inglese procede tra cento disagi al compimento del proprio disegno, servendosi di uno scrivano «tanto poco pratico delle cose di campagna da mettere il carro davanti al cavallo»: trascrive, infatti, un'aggiunta sulla sarchiatura dei turnip davanti alla pagina sulla loro semina. Gli è impossibile, per di più, raggiungere, per la correzione delle bozze, la bottega dello stampatore, che non solo largheggia in refusi, ma che «usurpò la prerogativa di coniare nuove parole».

Creatura di una vita di successo e desolazione, la Nuova Agricoltura ricalca la sorte che ha accompagnato la stesura del poema di Tusser, dispiega il precedente cui si uniformeranno le opere del più famoso agronomo inglese del Settecento, Arthur Young. Quella sorte ne segnerà il credito presso i posteri, che reputeranno Tull, alternativamente, l'alfiere della nuova agricoltura britannica o un eccentrico indegno di attenzione, come ha evidenziato, nel saggio con cui ha ridisegnato il corso della Rivoluzione agraria, Gordon Mingay, propenso, per parte propria, a ridimensionare i meriti dell'agronomo di Shalborne.

I Principi che Tull enuncia nell'opera sono tali da scuotere molte delle certezza più solide dell’agronomia del suo tempo: le polemiche che innescheranno contrapporranno per oltre mezzo secolo scienziati e scuole agronomiche di tutta l’Europa. Di quei principi alcuni verranno dimostrati errati dal progredire delle cognizioni biologiche, altri, lucide intuizioni precorritrici, troveranno applicazione solo molti anni dopo la morte dell'autore, quando l'ingegneria meccanica sarà in grado di offrire all'agronomia strumenti irrealizzabili per i fabbri del Settecento, l'assioma che l'agronomo di Shalborne pone a fondamento della propria teoria è destinato ad imporsi come chiave di volta della rivoluzione agronomica moderna: esso consiste nell'assunto che essendo la crescita delle piante subordinata all'intensità dei loro processi nutritivi, la conoscenza dei principi della nutrizione vegetale è condizione preliminare di qualsiasi impegno di sviluppo delle pratiche agronomiche. Ottenere dalla terra messi copiose presuppone la capacità di assicurare alle colture la più ampia disponibilità di sostanze nutritive, ciò che non è possibile senza la conoscenza dei processi del loro assorbimento. La cognizione dei meccanismi della crescita dei vegetali costituisce, quindi, il vero fondamento dell'agricoltura.

«Il principio dell'Arte di ogni Agricoltore è alimentare le Piante con il migliore Vantaggio, ma come potrà fare ciò, se non conosce quale sia il loro Alimento?» chiede l'agronomo inglese nel secondo capitolo della quarta edizione dell’Agricoltura disponendo le premesse logiche della propria costruzione. Formulato il quesito che sarà alla base dell'agronomia moderna, la teoria che Tull costruisce per darvi risposta si fonda su un postulato biologico assolutamente errato: nonostante l'errore, le sue enunciazioni imporranno alla scienza agronomica la consapevolezza del ruolo preliminare delle cognizioni di fisiologia vegetale sull'apprestamento di qualsiasi nuova tecnica di coltivazione.

La ricerca dell'elemento chimico impiegato dai vegetali per la propria crescita costituisce l'oggetto dei primi capitoli dell’Agricoltura. Enunciata la propria spiegazione del fenomeno della nutrizione vegetale, su di essa il possidente di Wallingford costruisce, con puntiglioso rigore deduttivo, i principi del suo sistema di coltura e illustra una serie di metodologie originali per le fondamentali coltivazioni agrarie, per la cui esecuzione propone i modelli di alcune macchine nuove. Come elemento di sutura della costruzione agronomica che è venuto erigendo, enuncia la propria teoria delle successioni agrarie.

La terra, primo elemento della nutrizione vegetale

Precisando il terreno della propria ricerca, è tra cinque elementi, identificati in base alle conoscenze fisiche del suo tempo, che Tull si propone di individuare il principio della nutrizione delle piante:

«Si conviene che tutte le seguenti Sostanze contribuiscano, in qualche modo, alla Crescita delle Piante -leggiamo ancora nel secondo capitolo dell’Agricoltura- ma è controverso quale di esse sia il vero Incremento o Alimento 1. Nitro 2. Acqua 3. Aria 4. Fuoco 5. Terra.» Posti i termini dell'indagine, con una serie di successive dimostrazioni l'agronomo inglese esclude il potere nutritivo dei primi quattro tra gli elementi che ha elencato: «Il Nitro è utile a dividere e preparare l'Alimento, e si può dire che nutre i Vegetali proprio nello stesso Modo in cui il mio Coltello alimenta me, tagliando e dividendo il mio Cibo: Ma quando il Nitro sarà applicato alla Radice di una Pianta, esso la ucciderà altrettanto inevitabilmente come un Coltello usato contro un Uomo ucciderà quell'Uomo... L'Acqua è stata ritenuta da qualche grande Filosofo essere ciò che cerchiamo. Ma essi furono tratti in inganno dal non aver osservato che l'Acqua ha sempre nei propri Vacui un Carico di Terra, da cui nessun Accorgimento la può liberare...

L'Aria, a causa della sua Natura etc. è tanto necessaria alla Vita dei Vegetali come lo è il Veicolo dell'Acqua; Alcuni moderni Virtuosi hanno affermato... che l'Aria è il Cibo delle Piante... Il signor Bradley è il loro capo... Il suo primo (argomento) è quello di Helmont... Il quale seccò Duecento Libbre di Terra, e vi piantò un Salice di Cinque Libbre di Peso, che egli adacquò con Pioggia, o Acqua distillata, e per assicurare il quale da ogni altra intrusione di Terra, lo coprì con una Copertura di Stagno perforato. Dopo Cinque Anni, pesando l'Albero, con tutte le Foglie che aveva prodotto nello stesso Tempo, trovò che pesava Cento Sessantanove Libbre e Tre Once; ma la Terra era diminuita di circa Due Once di Peso... Un Salice è una Pianta assetata, e nello Spazio di Cinque Anni deve aver bevuto molte Tonnellate d'Acqua, la quale deve necessariamente portare nei propri Interstizi una grande quantità di Terra... Perciò le Duecento Libbre di Terra, che non sono aumentate, provano che altrettanta Terra quanta ne fu somministrata con l'Acqua, entrò nell'Albero... Fuoco. Nessuna Pianta può vivere senza Calore per quanto ne siano necessari Gradi diversi per le differenti Specie di Piante. Qualcuna è persino capace di stare in Compagnia della Salamandra e vivere nelle più roventi Esposizioni nei Paesi caldi... Siccome ogni Calore è ritenuto essere un differente Grado di Fuoco, possiamo distinguerne i vari Gradi dai loro diversi Effetti. Il Calore riscalda, ma il fuoco brucia: il primo aiuta a crescere, il secondo distrugge le Piante.»

Né il nitro, né l'aria né l'acqua né il fuoco rappresentano, quindi, per Jethro Tull, il principio della nutrizione delle piante. Non senza rilevare come la dimostrazione ricalchi ancora i procedimenti per esclusione caratteristici della scienza scolastica, si deve sottolineare che è proprio nella tesi, rigettata con tanta sufficienza, di Bradley, fondata sulle eloquenti esperienze di Van Helmont e Boyle, che Tull respinge il seme della futura verità sui processi di cui sta cercando la comprensione. Confutate le quattro ipotesi antagoniste, l'agronomo di Shalborne esamina le capacità nutritizie della terra, la cui asserzione costituirà il fondamento della sua teoria della coltivazione.

«Terra. Ciò che nutre e aumenta una Pianta è il suo vero Alimento. Ogni pianta è Terra, e la Crescita e il reale Accrescimento di una Pianta non è che l'Aggiunta di più Terra». Per dimostrare il proprio assunto, Tull si addentra in una complessa elucubrazione, con cui pretende di spiegare come nitro, acqua, aria e fuoco possano ritenersi condizioni complementari per la vita della pianta, la cui materia costitutiva non sarebbe, tuttavia, altro che terra. La rottura dell'equilibrio tra i quattro elementi porterebbe infatti la pianta alla morte, ma proprio la pianta morta rivelerebbe la propria composizione, in cui non entrerebbe altro che terra:

«Supponi che Acqua, Aria, e Calore possano esserne asportati, non resterebbe ancora una Pianta, per quanto morta? Ma supponi che ne sia asportata la Terra, cosa resterebbe ancora di una Pianta?»

Dal principio della nutrizione alla teoria dei lavori del suolo'

Identificato nella terra l’elemento responsabile della crescita delle piante, nel terzo capitolo dell’Agricoltura Tull esamina le condizioni perché essa possa essere assunta dalle piante nella maggiore quantità, così da assicurare loro le migliori condizioni di sviluppo. E la prima condizione che enuncia è che la terra sia quanto più finemente frammentata: i vegetali sarebbero in grado, cioè, di nutrirsi solo quando la terra fosse suddivisa in particelle tanto minute da poter penetrare attraverso i pori presenti nelle loro radici:

«Per Natura, l'intera Terra (o Suolo) è composta di Parti; e, se esse fossero in ogni Luogo assolutamente coerenti, essa sarebbe senza Interstizi o Pori, e non avrebbe Superfici interne, o Alimento per le Piante». Infatti «Le Bocche, o Vasi, essendo situati, e aprendosi nella Superficie convessa delle Radici, assumono il proprio Pabulum costituito da minute Particelle di Terra, dalla Superficie dei Pori, o Cavità...»

È su questo enunciato che l’esquire di Wallingford costruisce la propria teoria agronomica, per la quale scopo di ogni operazione colturale è l'ottenimento della maggiore frantumazione possibile del suolo di coltura, così che le piante possano più facilmente assumere le particelle di terra con le quali vengono costruendo la propria struttura. Un assunto che conduce Tull a propugnare un'intensificazione dei lavori del suolo che rievoca in modo sorprendente la reiterazione delle colture che Camillo Tarello ha consigliato agli agricoltori dei domini veneti, avanzando una proposta che nel torpore dell'Italia del Seicento non ha suscitato che l'irrisione di Tanara. Singolarmente simile a Tarello per la geniale bizzarria di enunciati e deduzioni, nel fervore economico e culturale dell'Inghilterra del Settecento Jethro Tull avrà in sorte un ruolo di primo attore tra gli alfieri della rivoluzione agronomica moderna.

I mezzi per ottenere la suddivisione della terra in particelle adeguate all'assimilazione delle piante sono il letame, le arature, le zappature, cui Tull dedica, rispettivamente, il quarto, il quinto e il sesto capitolo dell’Agricoltura.

Può costituire ragione di stupore constatare che una teoria che individua la prima ragione della fertilità nella suddivisione meccanica del suolo riservi al letame il primo posto tra i mezzi per l'incremento della produzione agricola: enunciato il proprio postulato, Tull è costretto a piegare alla sua logica anche gli elementi dell'esperienza in più evidente contrasto con la propria teoria, in primo luogo il potere fertilizzante del letame, in cui l'esperienza millenaria riconosce il più efficace mezzo di alimentazione dei vegetali. L'argomento con cui l'autore inglese costringe lo stallatico tra i mezzi di frantumazione del suolo non è privo di ingegnosità: lo stallatico agirebbe, infatti, producendo nel terreno una fermentazione che ne sminuzzerebbe gli agglomerati in minutissime particelle.

«Ogni sorta di letame -leggiamo in apertura del quarto capitolo- o composto contiene qualche materia che, quando mescolata col suolo, fermenta insieme ad esso, e, per tale fermento, dissolve, sbriciola e divide moltissimo la terra; questo è il primo e pressoché unico uso del concime: poiché per quanto attiene la sua parte terrosa la sua quantità è tanto piccola che, dopo una perfetta putrefazione, appare costituire una porzione assolutamente trascurabile rispetto al suolo che è designato a fertilizzare, e per questo, in tale rispetto, è prossimo a nulla.

La sua capacità di fermentazione è essenzialmente legata ai sali che vi sono contenuti, ma una piccolissima quantità di questi sali, applicata pura alle radici di quasi ogni pianta,..la ucciderà.

Questo prova che il suo uso non è di nutrire, ma di dissolvere, cioè dividere la materia terrestre, che assicura il nutrimento alle bocche delle radici vegetali.»

L'espediente logico è furbesco, la mancanza di qualsiasi fondamento sperimentale evidente: ho rilevato la singolare mescolanza, nell'opera di Tull, di intuizioni geniali e di elucubrazioni prive di altro fondamento che le reminiscenze della scolastica e la fantasia dell'autore: la collocazione del letame tra i mezzi di frammentazione della terra ne è esempio eloquente. Dotate di coerenza del tutto diversa sono le argomentazioni dello scrittore. inglese sulla funzione agronomica dei mezzi specifici di scissione del terreno: i lavori del suolo.

«Lavoro del suolo, è rompere e dividere la Terra mediante un Coltro, Vanga, Aratro, Zappa, o altri Strumenti, che la frantumano mediante una sorta di Attrito (o Contusione) come il Letame fa per Fermentazione... Siccome la Materia può essere divisa ad infinitum, i Luoghi, o Linee, secondo le quali essa è divisibile debbono essere... infiniti... I Lavori, così come il Letame sono benefici per ogni Genere di Terreno.»

A sostegno del proprio assunto Tull tratteggia una complessa teoria geometrico - meccanica sulla conformazione delle particelle del suolo e le forme della loro aggregazione, componendo, secondo il proprio stile caratteristico, lucide intuizioni e paradossali ingenuità.

Nonostante la confusione tra particelle rocciose e aggregati terrosi, Tull postula giustamente la divisibilità indefinita degli aggregasti di terra, le cui componenti argillose possono, secondo le condizioni, coagulare e disperdersi. Commette l’errore più grave supponendo che gli agglomerati terrosi si scindano ad ogni aratura: costituisce peculiarità dei terreni più fertili la stabilità dei glomeruli composti di particelle diverse unite da leganti organici e inorganici. E’ frutto palese della passione per il paradosso la pretesa, che l’autore inglese difende, contro i critici, nelle edizioni successive dell’Agricoltura, che la suddivisibilità indefinita non sarebbe meno carattere dei terreni leggeri che di quelli tenaci: il semplice esame visivo rivela la prevalenza, nella composizione dei suoli sciolti, di particelle sabbiose, le cui dimensioni impediscono alle forze di coesione di coagulare in masse coerenti. Nei suoli leggeri, come sostengono giustamente i critici, la reiterazione dei lavori non può aumentare, quindi, la suddivisione degli aggregati terrosi.

L'esperienza millenaria, cui presta il proprio avallo la pedologia moderna, insegna che la moltiplicazione dei lavori accelera, nei terreni sabbiosi, la combustione della sostanza organica, determinandone il rapido impoverimento. Condotto dai principi sui quali ha fondato la propria teoria a forzare la logica dell'esperienza, contro l'evidenza Tull si profonde nell'appassionata perorazione della moltiplicazione delle arature sui terreni sciolti. Proteso a dare consistenza e organicità alla propria costruzione, formulata l'ipotesi sulla natura del suolo, per spiegare come esso si trasformi in alimento per le piante immagina il meccanismo attraverso il quale le radici assorbirebbero le particelle terrose predisposte dalla frantumazione. Congegnata in coerenza all'assunto della nutrizione tellurica, la spiegazione è una delle espressioni più eloquenti dell'immaginazione dell'autore inglese.

«Siccome le radici fibrose -leggiamo nel sesto capitolo- (che sole mantengono la pianta poiché le altre radici servono solo per ricevere il chilo dalle prime e convogliarlo allo stelo) non possono assumere alcun nutrimento da nessuna cavità, se non vi entrano in contatto e non premono contro tutte le superfici di questa cavità che le include, siccome essa dispensa l'alimento ai loro vasi capillari solo attraverso questa pressione. Ma una radice fibrosa non è così premuta dalle superfici di una cavità il cui diametro è maggiore di quello della radice.» Per assicurare il nutrimento necessario alle piante che verranno seminate, i lavori del suolo debbono perseguire, perciò, la frantumazione del terreno fino alla sua trasformazione in massa polverosa, nelle cui minuscole cavità le radici possano insediare i propri peli terminali per assorbirne le particelle. Quanto più numerose saranno le arature, tanto maggiore sarà la quantità di alimento disponibile per le piante, tanto più fondate le aspettative di raccolti abbondanti: è il logico corollario agronomico della teoria fisiologica dello scrittore inglese, il quale proclama che «La prima e la seconda aratura con gli aratri ordinari meritano appena il nome di lavori... La terza, quarta e ogni aratura susseguente possono essere di maggiore beneficio e di minore spesa di ciascuna di quelle precedenti.» A conferma del principio riferisce di produzioni singolarmente copiose ottenute dopo il numero più elevato di lavori.

Teoria e pratica per l’eliminazione delle infestanti

Oltre alla predisposizione del suolo alla penetrazione delle radici l'aratura adempie, nel quadro della pratica agronomica millenaria, all’esigenza di contenere lo sviluppo della flora spontanea, quell'insieme di specie il cui rigoglio, favorito dai lavori e dalla concimazione, esercita nei confronti delle colture una competizione che ne riduce drasticamente le capacità produttive. Affrontando il tema del contenimento delle infestanti, l’agronomo inglese sviluppa un’argomentazione che la lucidità della definizione dei rapporti tra piante spontanee e coltivate e la penetrazione del meccanismo di disseminazione dei semi delle infestanti impongono tra le pagine di maggiore rilievo scientifico del trattato:

«Le infestanti affamano le piante seminate -leggiamo nel capitolo VIII- derubandole della loro provvigione di alimento, non del loro spazio.» A dimostrare il principio che ha enunciato Tull riferisce i risultati di un esperimento realizzato a Shalborne. Delineate, in un campo omogeneo, tre parcelle di dimensioni identiche, vi ha seminato frumento della stessa qualità. Durante la crescita sulla prima ha provveduto, mediante ripetute scerbature, all'eliminazione di tutte le infestanti, sulla seconda ha lasciato crescere tutte le erbe spontanee, sulla terza, che ha fatto scerbare come la prima, ha infisso, tra le piante di grano, tanti pioli di legno da costituire una massa complessivamente equivalente a quella delle infestanti presenti sulla seconda parcella.

Mietuto il grano, lo ha trebbiato e misurato, verificando che la prima e la terza parcella hanno fornito produzioni eguali, la seconda ne ha prodotto una quantità largamente inferiore. E’ la dimostrazione che non è la massa delle infestanti a compromettere il raccolto, ma la sottrazione di sostanze nutritive che esse realizzano: una dimostrazione di cui un esame rigoroso rivela la contraddittorietà con i postulati della teoria di Tull, siccome in un terreno bene lavorato, cioè suddiviso ad infinitum, dovrebbe esservi sufficienza di particelle terrose tanto per il grano quanto per le infestanti, che definisce, tuttavia, un principio essenziale di biologia vegetale, un cardine della scienza agronomica.

Identificata la ragione biologica del danno arrecato dalle infestanti ai seminati, l'agronomo inglese si chiede quali siano i meccanismi che ne consentono la crescita ubiquitaria, una domanda la cui risposta costituisce condizione preliminare per definire qualsiasi procedura per il loro contenimento.

«I semi del maggior numero di specie infestanti sono tanto resistenti da perdurare integri e incorrotti per molti anni o forse età nella terra, e non sono uccisi fino a che cominciano a crescere o a germogliare, ciò che pochissimi di essi fanno se la terra non sia arata, e allora un numero sufficiente di essi maturerà tra le piante seminate per propagare e continuare la loro specie disseminando la propria discendenza nella terra... Per di più i loro semi non si risvegliano mai in un anno solo se la terra non sia arata molto spesso, siccome debbono avere la loro esatta profondità e gradi di umidità e calore per farli crescere, e siccome quelli che non li hanno esattamente resteranno nella terra e conserveranno la propria virtù germinativa per età... quasi ogni raccolto che matura aumenta la riserva di semi...»

È una descrizione di straordinaria esattezza del ciclo delle infestanti, nel quale si alternano fasi di crescita vegetativa, di disseminazione e quiescenza dei semi. All'individuazione della natura dei danni che le infestanti arrecano ai seminati, e all'illustrazione del processo della loro propagazione e persistenza segue, nella disamina di Tull, l'esame delle pratiche agronomiche per contenerne l’invasione, tra le quali elenca due operazioni tradizionali e un procedimento caratteristico della “nuova agricoltura” di cui il suo saggio propone il manifesto. Le prime sono costituite dalla reiterazione delle arature, ognuna delle quali estirpa le erbe germogliate dopo il lavoro precedente e induce la nascita di nuovi semi, e la scerbatura dei seminati che si esegue abitualmente in primavera.

La prima pratica, annota l’agronomo di Shalborne, ha un fondamento razionale, ma il suo esito dipende interamente dall'andamento climatico: il maggese lavorato più scrupolosamente può non produrre alcun effetto, infatti, se le piogge non favoriscano la nascita delle infestanti, predispone, insieme, le condizioni più favorevoli per la loro germogliazione durante l'anno successivo, quando il campo sarà stato seminato.

Il secondo rimedio «si dimostra spesso peggiore della malattia»: ove si proceda, infatti, precocemente, le infestanti, tagliate alla base, moltiplicano gli steli convertendosi in autentici cespi. Attendere ad eseguire la scerbatura tardivamente equivale, invece, a «chiudere la porta della stalla dopo che il seme è stato rubato». La scerbatura è, inoltre, operazione costosa: il suo prezzo assorbe il valore della produzione che preserva. Gli operai cui è affidata, per di più, muovendosi maldestramente sul seminato, aggiungono al danno delle infestanti quello del calpestamento.

Se i rimedi tradizionali sono costosi e inefficaci, la pratica cui l'agricoltore può fare ricorso per liberare dalle infestanti i suoi seminati è la scerbatura con la zappa da cavallo, il sarchiatore trainato dalla forma di piccolo aratro simmetrico che costituisce il primo complemento meccanico della sua dottrina. Affidato alla celerità del cavallo, l’attrezzo effettua la rottura superficiale del suolo, nelle fasce tra le piante di una coltura seminata a file, nel tempo più breve. Consentendo l'esecuzione della scerbatura ogni volta che risulti necessaria, assicura il controllo sistematico della moltiplicazione delle infestanti.

Dall'esame dei risultati delle pratiche di scerbatura tradizionali, che ha compiuto esasperandone l'inefficienza, e dall'illustrazione del lavoro dell'attrezzo di cui propugna la diffusione, desume un titolo ulteriore di validità della tecnologia agronomica di cui è l’alfiere.

«La nuova agricoltura sarchiata in tempo produrrà probabilmente un'eradicazione tanto completa di ogni sorta di malerbe, eccetto di quelle che giungono dall'aria, che per tutto il tempo in cui questo tipo di conduzione è realizzato con accortezza, non v’è pericolo di trovarsi loro prigionieri...»

Malerbe e generazione spontanea

Seppure, tuttavia, la sarchiatura con la zappa da cavallo sarebbe in grado, per la tempestività e la facilità di reiterare gli interventi, di operare l'eradicazione definitiva della prava genia delle infestanti, il suo potere soggiace ad un limite: la disseminazione dei semi delle infestanti attraverso l'aria. Le sementi delle erbe spontanee vengono trasportate, infatti, dal vento e dagli uccelli, due agenti di disseminazione il cui operare, impercettibile e incontrollabile, consente ai paladini dell’antica dottrina della generazione spontanea di additare, sulle orme di Teofrasto, nella proliferazione delle infestanti una prova della verità del proprio credo.

La ricerca dei limiti della scerbatura mediante la zappa da cavallo conduce Tull all’analisi più penetrante dei meccanismi della propagazione aerea, e alla puntigliosa confutazione dell'ipotesi della generazione spontanea. Gli argomenti con cui, nella quarta edizione, controbatte le obiezioni rivolte dalla Società degli Scrittori alla sua teoria ci offrono, dopo la disputa tra Redi e Buonanni, una testimonianza altrettanto significativa dello scontro attorno ad uno dei nodi capitali della scienza biologica.

Abbiamo esaminato gli esperimenti con cui Redi ha dimostrato l'inconsistenza dell'ipotesi della generazione spontanea degli insetti: per le piante infestanti una dimostrazione parallela è stata realizzata, con un esperimento famoso, dall'altro caposcuola della biologia seicentesca, Marcello Malpighi, il quale ha esposto agli agenti atmosferici un recipiente contenente terra privata di qualsiasi seme, coperta da una pezzuola di lino per evitare che qualche seme potesse giungervi dall'aria. Dimostrata l'assenza di qualsiasi vita vegetale spontanea ha seminato nel vasetto dell'avena selvatica, che è cresciuta rigogliosa, provando l'idoneità della terra usata per l'esperienza alla crescita dei vegetali.

Sottolineando con enfasi che l'evidenza della dimostrazione di Malpighi esonererebbe da qualsiasi prova ulteriore, Tull dichiara di essere costretto a soffermarsi sull'argomento dalla protervia di Equivoco, con l'epiteto definisce gli avversi sostenitori della generazione equivoca, che nella replica alle sue ipotesi hanno avanzato obiezioni e riserve all'esperienza di Malpighi. Confutata l’inconsistenza di tutte le argomentazioni contrarie, conclude la disamina del tema con alcune riflessioni di straordinaria penetrazione biologica, tanto da echeggiare i versi di Lucrezio sulla continuità della trasmissione dei caratteri vitali, e l'epitaffio più beffardo alla stupidità degli avversari:

«Un seme, che nella sua piccolezza è invisibile a un occhio nudo, contiene in sé una pressoché infinita progenie della sua stessa specie, ed è un piccolo universo, la cui creazione è opera miracolosa di infinita sapienza come il grande universo; e l'uno può essere prodotto dal concorso fortuito di atomi e particelle non più dell'altro.

La natura è regolare e geometrica in ogni sua opera; per cui ogni seme non produce specie di piante diverse dalla propria; mentre il caso cieco è irregolare, e se fosse possibile che producesse una pianta, essa sarebbe di qualche specie diversa da quelle prodotte dai semi; perciò, credo, nessun uomo ragionevole può sospettare che una pianta qualsiasi possa essere generata da un concorso fortuito di particelle, salvo debba riconoscere che essa è una nuova specie che non è mai apparsa al mondo prima di sé: né potrebbero mai due piante nate da generazione equivoca essere della stessa specie...

Certo, secondo questa considerazione di singolarità (falsità, ingratitudine e inumanità) diversa da ogni genere comune di uomini, Equivoco stesso pare costituire un argomento più solido a favore della generazione equivoca di tutti quelli che egli sostiene: e come egli fonda la propria fede in questa cieca dottrina sulle opinioni di autori pagani che l'hanno sostenuta egualmente per gli animali e per le piante, e siccome molti dei primi sarebbero generati dalla putrefazione e corruzione, non sembra verosimilmente che sia stato un concorso fortuito di particelle ad avere generato Equivoco, ma piuttosto tale disgustosa composizione menzionata nel suo Saggio...

Egli dice "immondizia, letame e aria interagendo tra loro possono produrre" etc., aggiungo io, un Equivocum Sterquilinium.»

Sostenitori della generazione attraverso la putrefazione, i membri dell'avversa Società degli Scrittori costituirebbero l'unica prova plausibile della propria dottrina, sarebbero, collettivamente, un Equivoco Merdaceo.

Zappatura e semina a file

Se l'apprestamento delle più ampie disponibilità nutritizie e il contenimento delle malerbe sono la condizione del successo di qualsiasi coltivazione, le arature sono la premessa di entrambi i risultati, le zappature il completamento necessario delle arature. Alla seconda pratica, ai lavori eseguiti, cioè «durante la Stagione in cui il Grano o le altre Piante sono in costanza di Crescita» Tull dedica la propria attenzione nel sesto capitolo dell’Agricoltura. «Ma ciò cui si deve fare maggiore attenzione -scrive affrontando il nuovo argomento- è che appena l'Aratore ha svolto il proprio Lavoro, di aratura e di erpicatura, il Suolo inizia ad annullarlo, ritrasformandosi e volgendo a riguadagnare la sua specifica Gravità... durante l'Incubazione e la Germinazione dei Semi nella Terra, molti dei suoi Pori ed Interstizi si occludono, e, mentre le Piante crescono, e richiedono un Incremento di Alimento proporzionato all'Aumento della loro Massa, al contrario...quelle superfici interne che costituiscono il loro Alimento artificiale, gradatamente si riducono.»

Il rilievo che l'autore inglese attribuisce alle zappature costituisce applicazione coerente dell’attribuzione alla terra del ruolo di nutrimento delle piante. Se, infatti, è dalle particelle libere di suolo che i vegetali traggono il proprio alimento, la cura delle lavorazioni eseguite prima della semina non potrà ritenersi sufficiente a garantirne l’assunzione durante l’intero ciclo vegetativo: sarà in corrispondenza ai periodi di più intenso sviluppo che si dovrà assicurare la frantumazione assidua del terreno.

Coerente all'assunto posto a fondamento della propria dottrina, la deduzione risulta inficiata dal medesimo errore: nonostante quell'errore l'agronomo di Shalborne ne ricava alcune conseguenze applicative di straordinario rilievo per l'evoluzione della tecnica di coltivazione.

La prima, di carattere meccanico, è l'asserzione della necessità, per facilitare le sarchiature, di abbandonare i tradizionali strumenti manuali sostituendoli con uno strumento a traino equino, la zappatrice da cavallo, alle cui caratteristiche costruttive Tull dedica il ventitreesimo capitolo. Nell’attrezzo possiamo identificare l'emblema della tecnica di coltivazione propugnata da Tull, quella Nuova Agricoltura di cui l'agronomo di Shalborne si proclama il fondatore. Senza negargli il titolo che pretende, nelle pratiche che propone non possiamo mancare di scorgere l'estensione esasperata delle metodologie di “giardinaggio” che quasi cento anni prima Richard Weston ha additato come meta degli sforzi di intensificazione colturale.

È sul filo di una logica di indubbio rigore che dall'asserzione della necessità della sarchiatura meccanica l’esquire di Shalborne deduce quella di disporre le piante su file parallele, la condizione necessaria per consentire il passaggio di un cavallo attraverso i seminati. Ma seminare a righe risulta obiettivo impossibile, nelle colture di pieno campo, senza il ricorso ad un congegno capace di deporre i semi in linea nel terreno: il rilievo della necessità di un apparecchio seminatore è il secondo postulato meccanico della dottrina della nutrizione vegetale di Tull. Il disegno di quella macchina sarà il lascito più geniale dell'agronomo di Shalborne all'evoluzione della tecnologia agraria.

L'idea di sostituire all'imprecisione della bracciata del seminatore l'esattezza della deposizione operata da un apparecchio meccanico ha sedotto più di un cultore di agronomia dei decenni precedenti: prima di Tull hanno concepito congegni per tradurla in pratica, tra il Cinquecento e il Settecento, il bolognese Taddeo Cavallina quindi il religioso bresciano Francesco Lana Terzi, che sviluppando le constatazioni del conterraneo Gallo delle perdite di semente provocate dall'irregolarità dell'interrimento, per molti semi eccessivo, per altrettanti insufficiente, ha postulato, nel 1670, la necessità di un apparecchio seminatore nel Prodromo overo Saggio di alcune inventioni nuove premesso all’Arte Maestra. Propongono, in anni prossimi, il modello di un apparecchio seminatore un patrizio carinziano dal nome italiano, Joseph von Locatelli, e il conte fiorentino Alessandro del Borro, che concepisce l'embrione del congegno che costituirà l’elemento ingegneristico capitale dell’invenzione di Tull, il cilindro distributore. Il patrizio toscano propone il proprio apparecchio definendolo col nome suggestivo di Carro di Cerere: un carro che si rivela troppo macchinoso per essere funzionale.

Senza conoscere, probabilmente, l'opera dei predecessori, ma inserendo l'elemento chiave del congegno di Del Borro in una macchina di assai diversa funzionalità, Tull realizza una apparecchio di ammirevole razionalità. Oltre che giurisperito e cultore di belle lettere è amante di musica e buon conoscitore di strumenti musicali: i biografi attribuiscono alla sua dimestichezza con la meccanica dell'organo l'idea di comporre al rocchetto demandato di prelevare il seme nella tramoggia le canne che lo condurranno agli assolcatori demandati di interrarlo. Alla descrizione della macchina, illustrata da una nitida tavola, è dedicato il ventesimo capitolo della Nuova Agricoltura.

Analizzando il disegno verifichiamo che propone tre soluzioni ingegneristiche capitali. La prima, la concezione della scatola di distribuzione, il meccanismo che preleva la semente sul fondo della tramoggia in cui è contenuta e la riversa nei condotti diretti agli assolcatori. Il moto trasmesso, mediante una cinghia circolare, all’albero che attraversa la scatola, determina la rotazione di un cilindro dentato nelle cui concavità cade il seme da distribuire. L’azionamento della scatola da parte di una cinghia ne rende il moto indipendente da quello della ruota, di cui può essere, secondo i rapporti geometrici, più lento o più veloce. Una linguetta regolabile, posta tra il fondo della tramoggia e la ruota dentata, consente di variare, con l’ampiezza dell’apertura, la quantità erogata. Del congegno Tull definisce le varianti da apportare alla scatola per seminare, anziché frumento, semi minuti, leguminose o turnip.

Il secondo elemento essenziale della macchina è costituito dagli assolcatori, piccoli coltri sagomati in modo da aprire nel terreno un solchetto sulla retta lungo la quale il tubo adduttore lascerà cadere il seme. Il terzo, la pluralità delle bocche di distribuzione, una peculiarità capitale per l’economicità dell’impiego della seminatrice. La macchina di Tull costituisce conquista definitiva della tecnologia agraria: non saranno, infatti, manchevolezze del progetto, ma la fragilità dei materiali disponibili, e la primordialità delle tecnologie costruttive, a impedire all’inventore di vedere il trionfo dell’apparecchio che ha concepito. Presterà un contributo determinante a diffondere lo strumento nelle campagne europee l’emulo più illustre dell’agronomo di Shalborne, Louis Henri Duhamel du Monceau, che di Tull abbandonerà, dopo l’entusiastica adesione, la concezione della fertilità della quale, grande naturalista, comprenderà la fallacia, ma accenderà tra gli agronomi francesi, elvetici ed italiani un’autentica competizione a perfezionare il congegno del predecessore, che i corrispondenti rimodelleranno in una serie di varianti dotate di crescente funzionalità

Da un assioma di cui oggi riconosciamo l'infondatezza, il gentiluomo di Shalborne trae due corollari di straordinaria importanza agronomica e meccanica: sono quei due corollari, e le macchine ideate per tradurli nella pratica agraria, che assicureranno a Jerthro Tull, ben più dei discutibili principi di fisiologia vegetale, un posto tra i protagonisti delle discipline che contribuiscono allo sfruttamento razionale della terra.

Una tecnica nuova per la coltura del frumento

Enunciati i principi della propria teoria, Tull ne illustra l’applicazione nella coltura delle fondamentali specie agrarie, tra le specie coltivate è al frumento che dedica la trattazione più dettagliata.

«Sebbene tutte le Specie di Vegetali possano ricevere grandi Benefici dalla Zappa -scrive nel IX capitolo, dedicato alla coltura-, perché li provvede di Abbondanza di Alimento al Momento del loro maggiore Bisogno, esse tuttavia non richiedono tutte allo stesso modo la Zappatura, ma alla Pianta che deve vivere più a lungo si deve assicurare la maggiore Riserva di Sostanze: Generalmente il Frumento vive, o dovrebbe vivere, più a lungo che le altre Specie di Cereali; perché se non è seminato prima della Primavera i suoi Grani saranno magri e si trarrà da essi ben poca Farina...

Per prevenire tali Inconvenienti il Grano è generalmente seminato in Autunno: ed è per questo che avendo un Tempo di crescita circa tre volte di quello del Grano marzuolo, esso richiede una più lunga Disponibilità di Nutrimento...

Tanto le lunghe Piogge dell'Inverno rendono compatta la Terra, e fanno coagulare le sue Parti divise, e chiudere alle radici l'Accesso alle Disponibilità di Alimento, che, pure se lasciato in abbondanza in Autunno, il Grano non ha grande Occasione di attingervi fino alla Primavera; il Suolo diviene successivamente troppo duro per le Radici per penetrarvi, e per questo è costretto a languire (come Tantalo) tra Leccornie che tentano le Radici, ma che non possono essere da esse raggiunte.»

Nella prosa immaginosa dell'autore inglese il concetto che prende forma è, ancora, perfettamente coerente alle fondamenta della teoria agronomica propugnata nell’Agricoltura: il frumento realizza la permanenza sul campo più lunga tra tutti i cereali, risentirà quindi più gravemente le conseguenze dei fenomeni atmosferici che, producendone l’adesione, rendono più difficile alle radici l'assunzione delle particelle terrose che Tull ritiene costituire l'alimento delle piante. Durante l’intero ciclo vegetativo l'agricoltore dovrà quindi preoccuparsi di assicurare alla coltura il rinnovamento delle riserve di terra polverizzata a sua disposizione.

Per conseguire l’obiettivo Tull propone un programma di operazioni destinato a rappresentare una radicale rivoluzione delle pratiche di coltura dei cereali, una rivoluzione i cui cardini ricalcano singolarmente, ho anticipato, la metodologia di coltivazione del frumento che Camillo Tarello ha proposto nel Cinquecento agli agricoltori lombardi, una metodologia analoga, possiamo aggiungere, a quella che, sulla scorta delle pratiche fiamminghe, Richard Weston ha suggerito, nel secolo successivo, a quelli inglesi. Nonostante le assonanze, il possidente di Wallingford sospinge la metodologia di coltura del frumento verso orizzonti radicalmente nuovi rispetto ai predecessori saldando ai suggerimenti agronomici la prescrizione dell’impiego dei due apparecchi di cui è l’inventore: la zappa a traino equino e la seminatrice, gli strumenti la cui introduzione converte la coltura in contesto di operazioni in cui è irriconoscibile l’insieme delle pratiche antiche.

In assonanza con Tarello Tull asserisce che le terre destinate al frumento debbano essere ripetutamente arate e composte in porche, che, a seconda della natura dei terreni, consiglia di sagomare tra i quattro e i sei piedi di larghezza (1 piede = cm 30,4). Il grano vi sarà seminato, quindi, a file separate da una distanza sufficiente a consentire il successivo intervento della zappatrice a traino equino: da otto a dieci pollici (1 pollice = cm, 2, 53). Ai criteri di definizione della distanza tra le file l’autore inglese dedica lunghe pagine di complesse argomentazioni. Compatibilmente con le caratteristiche del suolo suggerisce di preferire la maggiore distanza possibile: intervalli più ampi consentiranno, infatti, di risparmiare tanto nella quantità del seme quanto nel numero dei passaggi che si dovranno effettuare con la zappatrice. Una zappatura eseguita con facilità tra file ben distanziate fornirà alle plantule, sottolinea, una quantità di alimento tale da determinare una produzione più abbondante di quella ottenibile da una coltura più fitta ma meno idonea al lavoro della zappatrice:

«La Zappatrice trainata, ben impiegata, sopperisce tanto all'Uso del Letame quanto a quello del Maggese; ma non può sopperire a quello della Terra, perché può aumentarne infinitamente l'Alimento vegetale, quando è presente in ragionevole Quantità: Ma se gli Spazi sono tanto stretti che quasi tutta la Terra relativa va a formare le Bine alzate al sommo delle Parche, ve ne sarà tanto poca che potrà essere polverizzata che potrete tornare al Maggese...» Per Jethro Tull la coltivazione costituisce, quindi, strumento capace di sostituire il maggese: un'affermazione di enorme rilievo agronomico, che il giusperito inglese svilupperà compiutamente affrontando il tema fondamentale di tutta la tecnica agronomica moderna, quello della rotazione delle colture.

Un ruolo nuovo per le leguminose foraggere

In sintonia con l'importanza che le leguminose destinate al bestiame stanno assumendo nel quadro dell'agricoltura inglese, le pagine dell’Agricoltura ci propongono l’analisi più minuziosa delle caratteristiche botaniche e agronomiche del trifoglio, della lupinella e della medica, e l'illustrazione delle tecniche per la loro coltivazione secondo i principi della Nuova Agricoltura.

Contro l'opinione della maggioranza degli agronomi del suo paese, non è al trifoglio che Tull attribuisce il primato tra le foraggere, la pianta alla quale assegna il primo posto tra le leguminose da prato è la lupinella: «Io stimo la Lupinella assai più profittevole del Trifoglio -leggiamo nel capitolo XII del Saggio- perché non è mai stato dato di sapere che la Lupinella abbia prodotto qualche Danno apprezzabile al Grano tra cui è stata piantata.» La prima ragione del primato agronomico della lupinella consiste, secondo l’autore inglese, nelle caratteristiche del suo apparato radicale: «La Ragione per la quale la Lupinella assicurerà, in un Terreno povero, una Produzione quaranta volte maggiore di un Cotico naturale, sta nella prodigiosa Profondità dei suoi Fittoni perpendicolari: si dice che possano scendere Venti o Trenta Piedi.»

Maggiore profondità di apparato radicale equivale, per il giusperito di Shalborne, a maggiore ampiezza dello spazio da cui la pianta preleva le particelle terrose necessarie alla propria crescita: un'asserzione che, seppure basata, ancora, sulle incerte fondamenta della teoria fisiologica di Tull, sarà all'origine dell'attenzione degli agronomi della seconda metà del secolo per le caratteristiche dell'apparato radicale delle specie agrarie, cui attribuiranno un ruolo diverso nella rotazione secondo, appunto, la profondità di radicazione. Anche in questa sfera del sapere agronomico le contraddittorie intuizioni di Jethro Tull saranno fertili di influenze proficue per la scienza agronomica dell'età successiva.

Numerose ed esplicite sono invece le riserve che Tull esprime sulla convenienza, nel proprio paese, della coltivazione della medica:

«La Lucerna è quella famosa Herba Medica tanto esaltata dagli Antichi -leggiamo all'inizio del XIII capitolo- ... Le Quantità di Seme di Lucerna annualmente importate, e seminate senza Successo, e che non scoraggiano la Gente dal proseguire tali Importazioni, mostrano che c'è molto più bisogno in Inghilterra di un efficace Metodo di Coltivazione che di raccomandarla ulteriormente...

Non so proprio come potrebbe piantarla qui chi ha letto in Columella, e negli altri Autori, la Descrizione di come la coltivavano gli antichi Romani.» Le operazioni per la preparazione del terreno, le modalità di semina e di scerbatura descritte da Columella sono, infatti, troppo onerose per poter essere eseguite nelle aziende inglesi: «Gli Ortolani inglesi guadagnano Quaranta Sterline da un Acro di Asparagi, o di Cavoli, con metà del Lavoro e della Spesa che era impiegato in un Acro di Medica Romana... Ma i Romani non avevano solo Lavoranti, ma Abbondanza di Schiavi, per i quali non avevano quasi Lavoro a sufficienza.»

Nonostante le perplessità per le differenze tra le terre mediterranee, in cui la medica conosce l’ambiente di elezione, e quelle britanniche, Tull è convinto che la coltivazione possa essere realizzata vantaggiosamente, nell’Isola, se gli agricoltori vi applichino i principi della Nuova agricoltura: la semina a righe e frequenti lavorazioni del terreno. «Ed è stata mia Osservazione, che tanto nei Paesi caldi come in quelli freddi questa Pianta prospera sia con un maggiore, o minore Grado di Calore e di Umidità, quando sia zappata; perché se essa dispone di Abbondanza di Nutrimento, ciò che la Zappatura sempre le garantisce, basta un Calore anche moderato di sopra, e la sola Umidità (che non manca mai al profondo Fittone) e l'Abbondanza di Alimento la rende capace di sopportare nel modo migliore gli Estremi tanto del Caldo che del Freddo.»

I principi della rotazione

È sul terreno destinato a costituire l'epicentro degli sforzi di rinnovamento dell'agronomia moderna, l'alternanza delle colture, che Jethro Tull trae le deduzioni più singolari dalla propria concezione della nutrizione dei vegetali. Al problema dell'alternanza delle colture, che identifica con la locuzione Cambiamento della Specie, un’espressione che solo agli inizi dell'Ottocento verrà sostituita da quelle di rotazione e successione, l'agronomo di Shalborne dedica il XIV capitolo. A fondamento della propria dottrina sul Cambiamento della Specie formula tre principi, che enuncia in apertura del capitolo:

«*I. Che le Piante della più diversa Natura si nutrono della stessa Specie di Alimento.

  • II. Che non v'è nessuna Pianta che derubi qualsiasi altra Pianta nelle sue Vicinanze.
  • III. Che un Suolo che sia adatto ad una Specie di Vegetali una volta è, per il genere di Alimento che fornisce, adatto alla stessa per sempre.

Se ciascuna di queste Tre Proposizioni è vera, come Io spero di dimostrare che esse lo sono tutte, ne seguirà necessariamente che non v'è Bisogno di cambiare le Specie di Vegetali da un Anno all'altro, a ragione del diverso Alimento che lo stesso Suolo è supposto erroneamente produrre.»

Sono le conseguenze più radicali dell'assioma di fisiologia vegetale che Tull ha posto alla base del proprio edificio agronomico. La deduzione che ne ricava in tema di alternanza delle colture è, ancora una volta, formalmente ineccepibile: come dalle fondamenta erronee della propria dottrina ha tratto conseguenze di straordinaria portata innovativa in tema di lavori del suolo e di operazioni colturali, anche sul problema della rotazione la soluzione che propone risulta di singolare rilievo, anche se tale da determinare, ove applicata rigidamente, effetti disastrosi sulla produttività delle colture:

«Da tutto ciò che è stato detto, questo può dedursi come Massima; cioè. Che la stessa Misura di Coltivazione produrrà nella medesima Terra la stessa misura di Alimento; e che la stessa Misura di Alimento manterrà la stessa Misura di Vegetali.

Ciò dimostra che la stessa Specie di Vegetali che è venuta naturalmente su un Suolo, se le è stato possibile crescere, potrà sempre prosperarvi in Proporzione alla Coltivazione e al Letame che vi siano impiegati, senza alcun Cambiamento. E ciò è quanto si è constatato fare da ogni Genere di Piante che fino ad ora sia stato coltivato con la nuova Agricoltura.» Perché, allora, chiede Tull prevenendo l'obiezione degli scetti ci, le piante a radice cespitosa, in primo luogo, quindi, il frumento, prosperano dopo una coltura di turnip, e gli stessi turnip lussureggiano, invece, dopo trifoglio o lupinella? La risposta al quesito non presenta, per l'agronomo di Shal borne, alcuna difficoltà, appena la si ricerchi nei principi della teoria della nutrizione che ha formulato. Quella dei turnip è, infatti, coltura sottoposta, tradizionalmente, a lavorazioni ripetute del suolo, essi vengono raccolti, poi, tanto precocemen te da lasciare ampio spazio ai lavori di preparazione per la coltura del frumento. Trifoglio e lupinella, che permangono, invece, nel medesimo campo, una pluralità di anni, ne determinano una compattazione tale da ridurre la quantità di particelle polverizzate pronte per l'alimentazione delle colture successive. Per quale ragione, del resto, chiede al lettore, trifoglio e lupinella prosperano se traseminati in un campo di frumento, se non perché possono godere della suddivisione della terra nella quale il frumento è stato seminato dopo la coltura dei turnip?

L’argomentazione è espressione di una logica affatto singolare, una delle applicazioni dei principi di Tull in cui, di fronte alle difficoltà a forzare la realtà entro lo schema del proprio disegno teorico, l'agronomo inglese è costretto a semplificazioni che lo pongono in stridente contraddizione tanto con l'esperienza quanto con le proprie enunciazioni. Con l'esperienza quando proclama che trifoglio e lupinella lascerebbero il terreno privo di elementi nutritivi per la coltura seguente: abbiamo identificato nel riconoscimento del ruolo benefico delle leguminose per la successiva coltura del frumento una delle acquisizioni di rilievo maggiore dell'agronomia del '600 e del '700. Con i principi della propria teoria quando afferma che trifoglio e lupinella traseminati nei campi di frumento godrebbero della fertilità residua lasciata dalla coltura dei turnip. La trasemina delle foraggere nei campi di grano è pratica tradizionalmente realizzata in primavera, quando, come Tull ha asserito nel capitolo relativo al grano, a causa della compattezza del terreno provocata dalle piogge invernali, il frumento soffrirebbe della carenza di elementi nutritivi. L’applicazione rigorosa dei principi che ha fissato imporrebbe di asserire che le plantule di trifoglio e lupinella nate dalla trasemina non solo troverebbero condizioni avverse al proprio sviluppo, ma che la loro attività radicale renderebbe più gravi le carenze alimentari che il frumento deve affrontare nella fase critica del proprio ciclo.

La Massima che Tull enuncia formulando la risposta ai quesiti sulla necessità del Cambiamento della Specie costituisce, comunque, la prima enunciazione inequivocabile della possibilità di superare il maggese realizzando sullo stesso terreno una successione continua di colture. L’unica condizione da assolvere sarebbe la predisposizione per le piante coltivate del principio nutritivo disponibile senza limiti nel suolo, le particelle terrose, per rinnovare la cui ricchezza sarebbe sufficiente moltiplicare i lavori, le arature, e soprattutto, le zappature. L'errore che infirma la Massima deve individuarsi, peraltro, nella dichiarazione dell'inutilità del Cambiamento della Specie. Ove il terreno venga opportunamente lavorato, qualunque specie agraria sarebbe in grado, secondo Tull, di succedere indefinitamente a se stessa: un'affermazione che contraddice l'esperienza millenaria, che ha insegnato all'agricoltore a evitare la caduta della produttività che segue alla ripetizione della medesima coltura sullo stesso terreno.

Anche formulando, tuttavia, la Massima che costituisce uno dei più palesi dei propri errori, Jethro Tull costringe l'agronomia del suo tempo a proporsi in termini nuovi un tema cui fino alla pubblicazione dell’Agricoltura si è avvicinata tra incertezze e incongruenze: il superamento del maggese e la sua sostituzione con piani di coltivazione e di concimazione tali da rigenerare la fertilità del suolo sottoposto a sfruttamento continuo. È anche per l'impulso su questo terreno fondamentale che sarà tanto cospicuo il debito delle scienze agrarie verso il più contraddittorio genio agronomico dell'Inghilterra del Settecento. Un debito la cui portata può valutarsi dalla lettura delle maggiori opere agronomiche dei decenni successivi: a favore o contro la teoria fisiologica di Tull tutti gli agronomi della seconda metà del secolo saranno costretti a schierarsi, accendendo il confronto di rilievo maggiore per lo sviluppo della moderna scienza della coltivazione.

Alle tesi sui lavori del suolo del possidente di Shalborne si ispireranno le ricerche dell'agronomia britannica della fine del Settecento, le indagini che definiranno i principi della moderna tecnologia di coltivazione dei cereali e dei foraggi. Sarà, parallelamente, dai modelli dei nuovi strumenti ideati da Tull che la meccanica agraria trarrà il primo impulso del fervore di invenzioni e realizzazioni industriali che farà della Gran Bretagna l'epicentro della costruzione e dell'irradiazione degli apparecchi che trasformeranno l'intero quadro della produzione agricola.

Tra gli innumerabili commenti che agronomi di tutti i paesi proporranno della sua opera, per suffragare, con la sua autorità, le proprie tesi, o per contrapporre tesi diverse ai principi che ha enunciato, sancirà il riconoscimento più autorevole della sua opera Louis Henri Duhamel du Monceau, il più illustre degli agronomi francesi del Settecento, il cui testo agronomico più significativo sarà il Trattato della coltura delle terre. Secondo i principi del signor Tull inglese, un'ampia raccolta di esperienze realizzate nelle proprietà di Duhamel e di altri agricoltori dediti alla sperimentazione, per porre a confronto i risultati della Nuova agricoltura con quelli dei metodi tradizionali. Espressione caratteristica della cultura francese, il Trattato di Duhamel illustrerà le teorie di Tull con una chiarezza sconosciuta all’agronomo inglese, favorendone la diffusione in tutti i paesi d'Europa. Duhamel stesso abbandonerà, dopo le proprie esperienze, le tesi accolte dal possidente di Wallingford: le ampie ricerche eseguite secondo le loro coordinate avranno costituito una tappa essenziale della formazione del pensiero del maggiore agronomo francese del Settecento, con il pensiero di Duhamel della scienza agronomica europea.

Gli errori di Virgilio e le superstizioni di Columella

Al di là del rilievo scientifico delle sue ipotesi, propongono un elemento di singolare interesse storico e culturale dell’opera di Tull la sua analisi del pensiero agronomico latino e i giudizi che ne prendono forma. Dotato di buona cultura umanistica, lettore attento dei classici di agricoltura, con lo stesso spirito icastico con cui polemizza con gli autori contemporanei Tull esamina e irride la scienza degli scrittori rustici dell'antichità. Nel disegno disordinato dell’Agricoltura svolge la propria critica dell'agronomia latina nel nono e nel tredicesimo capitolo, dedicati, rispettivamente, alla Cattiva agricoltura esposta con tanta finezza nella prima Georgica di Virgilio e alla ruggine del grano.

Quale debba reputarsi il lascito della tradizione agraria romana all’agricoltura britannica è quesito destinato a essere riproposto con insistenza nel corso della letteratura agronomica inglese, percorsa dalla polemica tra i sostenitori della vitalità dell’eredità latina e gli assertori dell'originalità delle pratiche diffuse, fino dall'antichità, nell’Isola. Del confronto, riacceso, nel 1972, da un saggio di George Fussell, reperiamo la prima espressione nell'arringa che nelle ultime edizioni dell’Agricoltura Tull verga contro gli avversari della Società degli Scrittori, che hanno pubblicato la replica più indignata al giudizio che ha espresso, fino dalla prima edizione, dei precetti di Virgilio sui lavori del suolo, il giudizio enucleato, espressivamente, nel titolo del capitolo.

«Sono certo di non avere mai detto né pensato -ribatte Tull col puntiglio consueto- che vi sia un solo cattivo verso nelle opere di Virgilio; ma l'apprezza mento dovuto al principe dei poeti è, ritengo, relativo soltanto alla sua poesia.»

Tanto, infatti, è doveroso inchinarsi al genio del poeta quanto è impossibile, secondo Tull, esimersi dal rilevare che la leggiadria dei versi cela errori e contraddizioni tali da imporre la domanda se «potrebbe mai esservi teoria peggiore di quella di Virgilio», che Tull rivolge, con il sarcasmo caratteristico, agli avversari.

Verso dopo verso, concetto per concetto, componendo in un contrappunto imprevedibile le più acute osservazioni critiche ed i più insostenibili sofismi interpretativi, l'agronomo di Shalborne controbatte l'interpretazione ed i commenti che gli anonimi avversari hanno avanzato della scienza della coltivazione dell'autore dell'Eneide.

Virgilio ha sostenuto, ad esempio, la necessità di moltiplicare le arature sulle terre fertili, ma ha suggerito di limitarle su quelle leggere: individuando nel secondo precetto la confutazione implicita della propria dottrina, Tull lo rigetta escogitando gli argomenti più sottili per dimostrare l'erroneità di una massima fondata sull'esperienza più antica e più universale.

Virgilio ha sostenuto, ancora, l'utilità della debbiatura, asserendo che essa rinnoverebbe le «forze segrete della terra», della quale la combustione del cotico prativo restringerebbe le «vene dilatate»: due metafore che Tull dichiara futilità immaginate a sostegno di una pratica che produrrebbe un aumento temporaneo della fertilità al prezzo dell'assottigliamento dello strato fertile del suolo, determinando, qualora eseguita periodicamente, il progressivo esaurimento delle capacità produttive della terra.

Le influenze della luna, la differenza tra le esigenze climatiche della vite e quelle del grano, le capacità di acclimatazione delle piante coltivate: dovunque individui, nelle immagini del poema del quale ha dichiarato la suprema perfezione estetica, un insegnamento in dissonanza alle proprie idee, il giusperito di Shalborne impegna tutta l'acrimonia di cui è capace nella demolizione dei concetti che emergono o che paiano emergere dai versi. E per dissolvere l'estremo argomento dell'odiato Equivoco, che ha irriso il suo tentativo di infirmare la verità di una dottrina circondata dal consenso dei secoli, proclama che «È ben noto che Virgilio fu educato come maniscalco», e che prima di essere iniziato al mestiere dovette condurre capre e pecore «come fanno molti ragazzetti delle classi inferiori del nostro popolo», che, quindi, negli anni trascorsi in campagna non avrebbe potuto acquisire un'autentica esperienza di aratore. Si sarebbe rivelato, successivamente, grande poeta: alla conoscenza delle pratiche agronomiche che non aveva conseguito sui campi avrebbe sostituito le nozioni dei volumi di autori vissuti «quando l'agricoltura era nello stato più imperfetto, come Esiodo e gli altri Greci». Un esercizio critico che compone, nella mescolanza più colorita, acume letterario, ingenuità critica, faziosità polemica.

Ma se a Virgilio, poeta e non agronomo, deve imputarsi di avere trascritto gli errori di autori vissuti in tempi di agricoltura primitiva, ma può riconoscersi l'attenuante della libertà poetica, una condanna inappellabile Tull è convinto si debba pronunciare contro gli agronomi latini, senza eccezione, da Catone a Columella:

«Gli antichi non avendo alcun principio razionale o teoria di agricoltura -scrive nel XIII capitolo, dedicato alla ruggine- ponevano tutta la propria confidenza in pratiche magiche e incantamenti: che chi abbia la curiosità e la pazienza di leggere può trovare... in Catone, in Varrone, (e anche Columella è altrettanto insopportabile di tutti gli altri) tutto scritto nel linguaggio più raffinato, in cui si riduce quasi tutta, se non tutta, l'erudizione che si può acquistare dagli scrittori greci o latini di pratiche di campagna, in versi o in prosa.» Nella candida sufficienza dell'aforisma si esaurisce il significato dell'inventario di formule e precetti contro la ruggine che Tull trae dagli autori classici, componendo la più colorita rassegna della superstizione agraria dell'antichità. Ad indagare le cause delle malattie del grano, per millenni occasione della periodica distruzione dei raccolti, ha rivolto un vigoroso invito ai cultori di agronomia Richard Weston: sarà nella seconda metà del Settecento che sulle fitopatie dei cereali saranno condotte le prime ricerche secondo le nuove procedure sperimentali. All'esame di quelle ricerche dovremo dedicare più di una tappa del nostro itinerario: senza mancare di rilevare l'intuito per i problemi della sperimentazione di cui, con l'ampiezza della disamina, Tull fornisce l'ennesima prova, è difficile non identificare nelle pagine sull'argomento piuttosto un libello letterario che un saggio di fitopatologia. Trasportato dalla passione polemica, al di là della derisione delle superstizioni degli antichi, per spiegare il fenomeno l’autore inglese non propone che due ipotesi concettualmente elementari e tra loro contraddittorie. La prima identifica la causa delle fitopatie nella carenza di sostanze nutritive, la seconda nell'infestazione di insetti, che si moltiplicherebbero, sostiene, quando il frumento potesse godere delle migliori condizioni di crescita. Le infezioni di ruggine deriverebbero, secondo la prima spiegazione, dal difetto della condizione essenziale dello sviluppo dei vegetali, secondo la seconda dalla sussistenza delle condizioni più favorevoli: le due alternative si elidono reciprocamente. Componendo l'inventario delle pratiche magiche suggerite dagli agronomi classici, una cura particolare Tull dedica all'individuazione di quelle raccolte nel De re rustica, nella vastità della cui precettistica non manca il consiglio di rimettere ad una donna in periodo mestruale la difesa dell'orto dagli insetti nocivi, facendole percorrere, discinta e con i capelli sciolti, per tre volte il perimetro delle colture infestate dai parassiti, né quello di medicare la terra di un campo dove sia fallita una semina con un sovescio di menta.

Se a Virgilio si è compiaciuto di riconoscere la maestria poetica, a Columella il possidente di Shalborne non reputa debbano concedersi meriti o benemerenze: partecipe di una cultura soggiogata dalla venerazione del dato empirico, di quella cultura Tull esprime l'acume sperimentale insieme alla presuntuosa vacuità storica. Che si manifesta nel rigetto di qualsiasi espressione di scienza ispirata ad una filosofia della conoscenza diversa da quella formulata da lord Bacon, quindi incapace di comprendere l'evoluzione millenaria della conoscenza umana, l'incapacità che costituirà carattere emblematico dell'opera di Arthur Young, lo scienziato che ricalcando gli empiti di entusiasmo e l'abbandono allo scoramento di Tull, manifestando la medesima genialità di sperimentatore e la stessa acrimoniosa passione per la polemica, meriterà, con una mole di ricerche, studi, relazioni di viaggio di vastità ineguagliata, il titolo di alfiere della nuova agricoltura britannica, di protagonista preminente della Rivoluzione agraria.