Storia della vita e del pontificato di Pio VII/Prefazione

Prefazione

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Libro I - Sommario I

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PREFAZIONE.

Perchè possa apprezzarsi nel suo giusto valore la storia dei quattro pontefici che divisammo narrare è duopo richiamare al pensiero le dolorose condizioni, in cui era l’Europa e la chiesa quando Pio VII fu sollevato alla cattedra di s. Pietro: dappoichè è noto, che la magnanimità e la grandezza dei papi si manifestò sempre in modo più luminoso quando a Dio piacque nell’arcano dei suoi consigli preparare alla chiesa giorni di amarezza e di afflizione. E allora appunto che troviamo in essi splendidi esempi di zelo sublime, di carità indomata dai patimenti e dai travaglî supremi.

La santa sede, che può esser bersaglio, ma non vittima delle persecuzioni mosse contro di lei, mai ne ha sofferta una più profondamente malvagia nei suoi principî e più [p. viii modifica]luttuosa nelle sue conseguenze di quella che sostenne sul declinare del secolo XVIII. Falsità d’idee, temerità di dottrine stabilite a rovina di ogni dogma religioso e politico avea sanzionata la morte delle intelligenze, il suicidio della società. La religione era vedova del suo capo, le chiese prive dei loro pastori quando il libertinaggio e l’errore minacciò d’invadere tutte le contrade di Europa.

In mezzo al congiurare delle sette, che minavano i troni e gli altari, al fremito della guerra, che insanguinava gran parte del continente, si videro le leggi senza autorità, lo zelo senza energìa, la fedeltà senza coraggio, i popoli senza freno. La chiesa però, che al primo suo nascere pagò largo tributo di sangue all’ira di feroci persecutori e vinse: che assalita in appresso dall’orgoglio di nemici implacabili riportò sempre vittoria, vide nella età nostra organizzata quella vasta cospirazione, la quale tentò discacciare Cristo dal tempio, i monarchi dal trono, la morale dai cuori e vincitrice d’ogni ostacolo, mostrò come in mezzo alle lotte e in presenza ai disastri il cattolicismo trionfa. Sul finire del secolo decorso una voce profondamente maligna nella commozione e nell’affanno dei buoni avea gridato, che la serie dei papi toccava in Pio VI il suo termine. Iddio però, che i giorni del pontefice, già logoro dai patimenti e dagli anni, avea meravigliosamente prolungati, quando [p. ix modifica]meno poteva sperarsi, disperse l’iniquo voto. Mossero dall’estremo settentrione quelle falangi che tolsero gli ostacoli, sgombrarono le vie ai sacri elettori e fecero tacere tutti gli interessi politici in vista del più grande degl’interessi religiosi, la elezione del vicario di Gesù Cristo.

Due grandi disposizioni che superano l’umana previdenza si ammirarono in questo fatto. Videsi per un lato dal capo scismatico della chiesa greca prestata la sua forza al compimento dei voti della chiesa latina: videsi per l’altro non dissipato, ma sospeso soltanto e distratto per poco il turbine della guerra. Eletto appena Pio VII, soddisfatta appena la chiesa, prorompevano di nuovo le armi e vincitrici sù i campi di Marengo, tornavano a conquistare l’Italia.

Ha pertanto chiuso il cuore al sentimento della verità chi in questi eventi non riconosce la mano di Dio che visibilmente protegge la santa sede. Nelle lotte crudeli che ha dessa sostenute si ammirarono i decreti di quella sapienza divina, che l’ha fondata e di quella ineffabile provvidenza che la difende. Cadono gli uomini, si distruggono le podestà della terra, la sede apostolica ferma rimane ed immobile per guidare le coscienze, per distendere il regno di Dio.

Hanno fatto ogni sforzo gl’increduli per abbattere questo sacro potere, per dissipare [p. x modifica]le ricchezze del santuario, che pur sono il patrimonio del povero, ma invano: essi caddero: la chiesa restò immobile nelle sue istituzioni.

A chi osasse dire esser libro di lieve importanza quello, che narra le gesta dei quattro pontefici, che regnarono sulla metà del nostro secolo noi contraporremo la opinione di un pregevole scrittore il quale, avvenga che poco amico alle cose di Roma, pure non dubitò dire, che chi scrivesse la storia dei papi scriverebbe la storia civile dell'Italia tenendoci paghi dall'asserire che il cristiano, il cittadino, l'uomo di stato vedrà come i pontefici, dei quali narriamo la vita, svilupparono e promossero i più grandi dogmi di religione, di politica e di morale. Contraponendo ai mali i rimedi seppero dessi con la costanza e col coraggio vincer l'orgoglio d'ingiuste pretensioni, superare le ripugnanze, riunire i cuori, far tacere le passioni per agevolare il trionfo della pace e della giustizia. Iddio si è servito talvolta delle persecuzioni per consolidare l'autorità religiosa e si è giovato della stessa ribellione per consolidare l'autorità dello stato.

La storia dei romani pontefici supremi maestri dei re e dei popoli, mentre da un lato congiungesi a tutto quello che riguarda la religione, legasi dall'altro all'interesse delle nazioni per la supremazìa esercitata da essi [p. xi modifica]nel mondo cattolico, che li riguarda e li onora intemerati custodi dei doveri e dei diritti confidati loro dall'autore e legislatore divino. I papi, che nell'età decorse erano arbitri e conciliatori delle grandi sociali vertenze insorte fra i principi della terra, sostennero sempre i diritti di una legittima libertà correggendo i sovrani senza rendere arditi i sudditi, assoggettando i sudditi ai sovrani senza renderli schiavi, recarono immortali beneficî alla società attuale allorché quando opposero una fermezza incrollabile alle intemperanze del conquistatore del secolo, armati di un coraggio che emulò quello dei primi tempi, e quando alzarono barriera di savie leggi e di paterne sollecitudini alla dominante corruzione della età nostra.

A Roma è rivolto lo sguardo dell'universo, a Roma che ha più influito al progresso sociale del genere umano di quello che effettuarono gli sforzi congiunti di tutti i governi civili di Europa. La città eterna oggetto dei voti, meta dei desiderî di quanti sono cattolici sparsi sulla superficie del globo, deve ai papi tutta la sua religiosa, politica e artistica rinomanza. Senza essi non potrebbe Roma sostenere il paragone delle altre capitali di Europa: diviene con essi maestra ai popoli della terra. Come la loro potenza fu conservatrice generosa delle arti vetuste così fu creatrice magnanima delle arti novelle. [p. xii modifica]La storia è là per ricordarci come il papato non solo ha saputo creare una società ove non esisteva, ma eziandio ove era stata sciolta e posta in soqquadro dalle politiche commozioni. Esso ne congregò insieme i membri dispersi, ne legò le ferite grondanti ancora di sangue ed ispirandovi lo spirito d'ordine, v'intromise la vitalità e l'energìa.

Le attuali tendenze sono la Dio mercè felicemente rivolte a vantaggio del romano pontificato, dappoichè sembra disposizione di provvidenza, che quando la religione vedesi contradetta in una parte, risplenda mirabilmente in un'altra. Furono le sofferte sventure, fu il coraggio di Pio VII, le cortesie generose dei suoi successori, che trionfarono in Inghilterra dello spirito di disprezzo che quella nazione ostentava un tempo per noi. È dovuto alla virtù, alla prudenza dei pontefici, i quali regnarono nel mezzo secolo omai decorso, se nelle sale parlamentarie del regno unito si disse non ha guari, non potersi omai più negare, che il torrente delle simpatie umane dell'Europa continentale ha presa una forte direzione in favore della papale influenza, e si disse nell'osservare il movimento religioso dell'Inghilterra e nel vedere sparire dall'impero cesareo le innovazioni di Kaunitz in un modo, che oltrepassa i comuni andamenti del mondo politico.

Assume la nostra storia l'incarico di dimostrare con la coscienziosa narrativa delle [p. xiii modifica]gesta dei quattro pontefici che regnarono negli ultimi tempi come nella sua purità fu per essi perpetuata quella gloria ereditaria che gelosamente si trasmettono i vicari di Gesù Cristo.

Pio VII, che tenne l’apostolico gerarcato per quasi un quarto di secolo, si segnalò fra i pontefici per lo spirito di mansuetudine e di fortezza. Se fu grande nella prosperità, grandissimo apparve nella sventura. Riordinò lo stato, restituì alla chiesa la compagnia di Gesù, arricchì Roma di opere monumentali, protesse le arti, vegliò al bene dei sudditi, alla prosperità dello stato. Il mondo vide compendiate in esso le prerogative e le virtù di quanti furono i suoi augusti predecessori. Napoleone sbalordì il secolo col prodigio della forza: Pio VII lo edificò con la santità del carattere, con l’eroismo delle virtù.

Leone XII ebbe un cuore e una mente non minore dell’augusta sede, di cui perpetuò la rinomanza e la gloria. Idee vaste, nobili, grandiose furono parto dell’animoso suo ingegno. Riformatore severo del monachismo, dei claustrali, del chiericato, degli ordini giudiziali, e degli studi, non trovò, colpa dei tempi, nè ingegni, nè petti che secondassero i suoi pensamenti e per doppia sventura interruppe la morte sul più bello i suoi ardui disegni.

Non entrò Pio VIII nei divisamenti dell’illustre predecessore. Perito in ragion canonica, saldo mantenitore della ecclesiastica [p. xiv modifica]disciplina, portò sul trono maschia pietà, nome di virtù incontaminata. Avrebbe compensata la brevità del suo gerarcato con la perennità di un beneficio invocato, ha più secoli dallo stato, migliorando notevolmente l’agricoltura, se non era rapito alla chiesa in sullo stringersi convenzione per dissodare la vastità dei campi che circondano Roma.

Fu Gregorio XVI uno di quei tanti pontefici che con l’ingegno e la dottrina illustrarono la cattedra di s. Pietro. La fermezza del suo carattere, l’unità delle sue vedute, il suo braccio forte tenne umiliate le sette che fremeano al suo piede. Principe nemico delle novità, amante dei sudditi ne procurò ogni ben essere possibile e trovò le sue delizie nel sapere i popoli nell’abbondanza di cereali e di numerario. Grandi furono le lotte da lui sostenute in difesa della fede cattolica, dell’antica disciplina e della libertà della chiesa. Con le sue cure istancabili ne dilatò i confini: vasti paesi, interi popoli vennero alla fede e milioni di nuovi credenti accrebbero il gregge del romano pontefice. Dovuto ad esso è l’impianto della gerarchia ecclesiastica in Inghilterra: egli molto dispose al trionfo della Madre di Dio nella di Lei immacolata concezione. Porrà il tempo in maggior luce i suoi meriti e il nome di Gregorio XVI nella serie dei romani gerarchi apparirà nella sua vera grandezza. [p. xv modifica]

La vastità dell’argomento, la fama meritamente acquistata dal Novaes illustre scrittore delle vite dei Pontefici, che quelli hanno preceduto, dei quali ci proponiamo narrare le gesta, anzi che renderci peritosi, rinfranca il nostro coraggio, e ci offre la occasione di chiudere la nostra letteraria carriera in quel sentimento di filiale rispetto, in cui speriamo di confermarci, e che vorremmo infuso nell’animo di quanti volgeranno l’attenzione benevola a questo nostro qualsiasi lavoro.