Storia del Collegio Cicognini di Prato/Proemio
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STORIA
DEL
COLLEGIO CICOGNINI
PROEMIO
I. Niuno è forse che visitando la città di Prato, fiorente per industrie, e ricca di benefici Istituti; e passando la prima volta innanzi al Collegio Cicognini, non si fermi a contemplare quella mole, la quale, come ogni vasto monumento, possiede certa virtù, che opera sulla facoltà visiva non meno che sulle intellettuali. Quella facciata simmetrica, severa, avente più di centoquaranta braccia di larghezza, e oltre a sessanta di altezza, quantunque guasta e rosa dalle ingiurie di quasi dugento anni, è tale fuor di dubbio da imprimere non so quale sentimento di ammirazione; e Io sue linee architettoniche, sebbene accennino a un gusto alquanto depravato, e diano alla fabbrica un’impronta tra il sacro ed il profano, manifestano ampiezza di concetti e di mezzi in chi la ideò c la trasse a compimento. Peccalo ebe di fronte al sontuoso palazzo non si stenda un largo piazzale, sicché una proporzionata lontananza giovi a far meglio spiccare lo diverso parli, e a rendere più bella l’armonia delle parti col tutto.
Più semplice ma non meno compassata c grandiosa è la facciala interna, composta di tre lati uguali, di cui l’uno va invocando indarno la munifica mano che lo aiuti a raggiungere l’altezza, c ad adagiarsi alla maestà de suoi fratelli. Le centocinquanta finestre che la adornano; i corridoi eminenti e sfogali che le fan contorno; l’ampio cortile racchiuso fra le sue braccia aperte; la verzicante prateria che le si diffonde innanzi rendono questa parlo lieta, c pressoché amena; c quasi la fanno rassomigliare a principesca magione di campagna.
Bello poi è il vedere la molla copia delle acque, che derivate dai fianchi del vicino monte, scorrono da un secolo e mezzo limpide e pure attraverso il largo recinto del fabbricalo; portano la fertilità e la gaiezza nel giardino ornato e profumalo da varie famiglie di fiori; estendono la ramificazione delle vene alle cucine, alle scuole, al salubre chiostro dove i giovinetti tuffano i corpi in marmoreo vasche, o ricevono sugli omeri e sul capo gli sprazzi della cadente pioggia; od elevate coll’opera di ingegni idraulici mantengono nelle vaste sale da studio e da letto e in ogni luogo la freschezza, la mondizia e la sanità.
Che se tu ti aggirassi nell’interno, il tuo occhio rimarrebbe al certo appagato al mirare parecchie aule non indegne delle Università; talune camerale, della lunghezza di sessanta e più braccia, piene d’aria, di luce, e tutte in volta; un amplissimo refettorio decoralo di affreschi e di stucchi in rilievo, e circondalo da spalliere in noce a intagli: un festoso teatro colle sue quinte e le suo scene svariale, c capace di quattrocento spettatori: logge, terrazze, ginnastiche, armeria, raccolte di macchine di fisica e di oggetti di storia naturale, e una collezione di buoni quadri: lutto insomma che può giovare alla igiene, alle comodità e all’istruzione di nobili giovanetti.
Forse non ha altro Istituto Italia, che per massiccia costruzione, per abbondanza di locali riuniti in un sol disegno, per molti benefizii di diversa specie ma cospiranti, a uno stesso fine, possa, nel suo ordine, non che vincere, uguagliare il Cicognini.
Entro quest’area, ora occupata dal Collegio, il cui perimetro è nientemeno che di 1200 braccia, sorgeva un tempo la Badia così della di santa Maria di Grigliano. Essa apparteneva ai monaci Vallombrosani, e si vuole che qui passasse parecchi anni quel capo ameno di Agnolo Firenzuola, ex monaco vallombrosano; e ch’egli qui scrivesse le leggiadre sue otto novelle, e il dialogo delle Bellezze delle Donne, dedicato allo belle donne pratesi, e la traduzione dell’Asino d’oro d’Apuleio; lavori che tanto ancor piacciono per le grazie dello stile o per l’attico sale della facezia, non sempre tuttavia onesta, e che tanto andarono a sangue persino a Clemente VII; la qual cosa, sebben vera, parrà strana ai nostri giorni. «E vogliomi e posso vantare di questo, scrive Agnolo, che il giudizioso orecchio di Clemente il Settimo, alle cui lodi non arriverebbe mai penna d’ingegno, alla presenza de’ più preclari spiriti d’Italia, stette già aperto più ore con gran attenzione a ricevere il suono, che gli rendeva la voce stessa, mentre leggeva il discacciamento, e la prima giornata di quei ragionamenti che io dedicai già all’illustrissima signora Caterina Cibo degnissima duchessa di Camerino.» La descrizione che fa Agnolo del luogo della Badia di Grignano ben poco si confà colla topografia odierna; conciossiachè egli parli di un orto o giardino, che allora si teneva per Vannozzo de’ Rocchi, nel cui mezzo nasceva un monticello, ricoperto tutto d’arcipressi o d’alloro, dove si erano ritirale alcune vezzose donne, e dove Celso, o vogliam diro egli stesso, con esse giovani, delle bellezze d’alcune veniva a ragionare. Ma anzi che far ricorso agli studi delle teorie geologiche, le quali ci fanno vedere isole e continenti che appaiono e scompaiono, che si alzano e si abbassano; basta entrare nella fantasia dei poeti per farci ragione delle immense rivoluzioni cosmiche, che si operano entro quelle leste, senza che il mondo reale se ne risenta di un punto; e per spiegare il fenomeno della scomparsa del monticello dal luogo della Badia di Grignano.
Della Badia fu per decreto di Leone X nell’anno 1606 unita, con tutte le sue possessioni, alla metropolitana, ossia al Capitolo di S. Maria del Fiore di Firenze: Vannozzo, l’amico ed ospito del Firenzuola, condusse ancora quel luogo, che era stato testimonio delle amenità soverchie di quei sollazzevoli monaci, ai quali forse bisogna perdonar molto perchè amarono molto.
Come spuntasse e sia andata maturando nella città di Prato l’idea di fondare un Collegio; per quale ragione sia esso surto nel luogo della Badia; con che mezzi, per opera di chi e in che tempi sia stata incominciata e tratta innanzi la grandiosa fabbrica; quali finalmente fossero le vicissitudini di questo Istituto, la cui fama non è ristretta alla Toscana, per il corso di circa dugent’anni: sono le cose che discorrerò brevemente nelle presenti memorie, le quali io bo raccolte con fedeltà da sconnessi e intarlali ma autentici documenti, e che ho dettate nell’intento di raccomandare sempre più alla cittadinanza pratese il suo antico nobilissimo Istituto; e anche per offrire qualche pagina inelegante al certo, ma non vacua forse di ammaestramenti, alla storia della istruzione pubblica in Italia.