Storia d'Italia/Libro VIII/Capitolo X

Capitolo X

../Capitolo IX ../Capitolo XI IncludiIntestazione 12 dicembre 2020 75% Da definire

Libro VIII - Capitolo IX Libro VIII - Capitolo XI
[p. 298 modifica]

X

Preparativi de’ veneziani per la difesa di Padova; orazione del doge in senato. I giovani della nobiltá veneziana accorrono alla difesa di Padova. Massimiliano corre il contado, mentre la cittá viene sempre piú fortificata e approvvigionata.

Ma espettazione di cose molto maggiori occupava in questo tempo gli animi di tutti gli uomini: perché Cesare, raccogliendo tutte le forze che per se stesso poteva e che gli erano concedute da molti, si preparava per andare con [p. 299 modifica]esercito potentissimo a campo a Padova; e da altra parte il senato viniziano, giudicando consistere nella difesa di quella cittá totalmente la salute sua, attendeva con somma diligenza alle provisioni necessarie a difenderla, avendovi fatto entrare, da quelle genti in fuora che erano deputate alla guardia di Trevigi, l’esercito loro con tutte quelle forze che da ogni parte aveano potute raccorre, e conducendovi numero infinito d’artiglierie di qualunque sorte, vettovaglie d’ogni ragione bastanti a sostentargli molti mesi, moltitudine innumerabile di contadini e di guastatori; co’ quali, oltre all’avere con argini e con copia grande di legnami e di ferramenti riparato per non essere privati dell’acque che appresso alla terra di Limini si divertono a Padova, aveano fatto alle mura della cittá e faceano continuamente maravigliose fortificazioni. E con tutto che le provisioni fussino tali che quasi maggiori non si potessino desiderare, nondimeno in caso tanto importante era inestimabile la sollecitudine e la ansietá di quel senato, non cessando dí e notte i senatori di pensare, di ricordare e di proporre le cose che credevano che fussino opportune. Delle quali trattandosi continuamente nel senato, Lionardo Loredano loro doge, uomo venerabile per l’etá e per la degnitá di tanto grado, nel quale era giá seduto molti anni, levatosi in piedi parlò in questa sentenza:

— Se, come è manifestissimo a ciascuno, prestantissimi senatori, nella conservazione della cittá di Padova consiste non solamente ogni speranza di potere mai recuperare il nostro imperio ma ancora di conservare la nostra libertá, e per contrario se dalla perdita di Padova ne seguita, come è certissimo, l’ultima desolazione di questa patria, bisogna di necessitá confessare che le provisioni e preparazioni fatte insino a ora, ancorché grandissime e maravigliose, non siano sufficienti, né per quello che si conviene per la sicurtá di quella cittá né per quello che si appartiene alla degnitá della nostra republica; perché in una cosa di tanta importanza e di tanto pericolo non basta che i provedimenti fatti siano tali che si possa avere grandissima speranza che Padova s’abbia a difendere, [p. 300 modifica]ma bisogna sieno tanto potenti che, per quel che si può provedere con la diligenza e industria umana, si possa tenere per certo che abbino ad assicurarla da tutti gli accidenti che improvisamente potesse partorire la sinistra fortuna, potente in tutte le cose del mondo ma sopra tutte l’altre in quelle della guerra. Né è deliberazione degna della antica fama e gloria del nome viniziano che da noi sia commessa interamente la salute publica, e l’onore e la vita propria e della moglie e figliuoli nostri, alla virtú di uomini forestieri e di soldati mercenari, e che non corriamo noi spontaneamente e popolarmente a difenderla co’ petti e con le braccia nostre; perché se ora non si sostiene quella cittá non rimane a noi piú luogo d’affaticarci per noi medesimi, non di dimostrare la nostra virtú, non di spendere per la salute nostra le nostre ricchezze: però, mentre che ancora non è passato il tempo di aiutare la nostra patria, non debbiamo lasciare indietro opera o sforzo alcuno, né aspettare di rimanere in preda di chi desidera di saccheggiare le nostre facoltá, di bere con somma crudeltá il nostro sangue. Non contiene la conservazione della patria solamente il publico bene, ma nella salute della republica si tratta insieme il bene e la salute di tutti i privati, congiunta in modo con essa che non può stare questa senza quella; perché cadendo la republica e andando in servitú, chi non sa che le sostanze l’onore e la vita de’ privati rimangono in preda dell’avarizia della libidine e della crudeltá degli inimici? Ma quando bene nella difesa della republica non si trattasse altro che la conservazione della patria, non è questo premio degno de’ suoi generosi cittadini? pieno di gloria e di splendore nel mondo e meritevole appresso a Dio? Perché è sentenza insino de’ gentili, essere nel cielo determinato uno luogo particolare il quale felicemente godino in perpetuo tutti coloro che aranno aiutato conservato e accresciuto la patria loro. E quale patria è giammai stata che meriti di essere piú aiutata e conservata da’ suoi figliuoli che questa? la quale ottiene e ha ottenuto per molti secoli il principato intra tutte le cittá del mondo, e dalla quale i suoi cittadini ricevono grandissime e innumerabili comoditá utilitá [p. 301 modifica]e onori: ammirabile se si considerano o le doti ricevute dalla natura, o le cose che dimostrano la grandezza quasi perpetua della prospera fortuna, o quelle per le quali apparisce la virtú e la nobiltá degli animi degli abitatori. Perché è stupendissimo il sito suo; posta, unica nel mondo, tra l’acque salse, e congiunte in modo tutte le parti sue che in uno tempo medesimo si gode la comoditá dell’acqua e il piacere della terra; e sicura, per non essere posta in terra ferma, dagli assalti terrestri; sicura, per non essere posta nella profonditá del mare, dagli assalti marittimi. E quanto sono maravigliosi gli edifici publici e privati! edificati con incredibile spesa e magnificenza, e pieni di ornatissimi marmi forestieri e di pietre singolari condotte in questa cittá da tutte le parti del mondo; e quanto ci sono eccellenti le pitture le statue le sculture gli ornamenti de’ musaici e di tante bellissime colonne e d’altre cose simiglianti! E quale cittá si truova al presente ove sia maggiore concorso delle nazioni forestiere? che vengono qui, parte per abitare in questa libera e quasi divina stanza sicuramente, parte per esercitare i loro commerci; onde Vinegia è piena di grandissime mercatanzie e faccende, onde crescono continuamente le ricchezze de’ nostri cittadini, onde la republica ha tanta entrata del circuito solo di questa cittá quanta non hanno molti re degli interi regni loro. Lascio andare la copia de’ letterati in ogni scienza e facoltá, la qualitá degli ingegni e la virtú degli uomini, dalla quale congiunta con le altre condizioni è nata la gloria delle cose fatte, maggiori da questa republica e dagli uomini nostri che da’ romani in qua abbia fatto patria alcuna. Lascio andare quanto sia maraviglioso vedere in una cittá nella quale non nasca cosa alcuna, e che sia pienissima di abitatori, abbondare ogni cosa. Fu il principio della cittá nostra ristretto in su questi soli scogli sterili e ignudi, e nondimeno, distesasi la virtú degli uomini nostri prima ne’ mari piú vicini e nelle terre circostanti, dipoi ampliatasi con felici successi ne’ mari e nelle provincie piú lontane, e corsa insino nell’ultime parti dello Oriente, acquistò per terra e per mare tanto imperio, e tennelo sí lungamente, [p. 302 modifica]e ampliò in modo la sua potenza che, stata tempo lunghissimo formidabile a tutte l’altre cittá d’Italia, sia stato necessario che ad abbatterla siano concorse le fraudi e le forze di tutti i príncipi cristiani: cose certamente procedute con l’aiuto del sommo Dio, perché è celebrata per tutto il mondo la giustizia che si esercita indifferentemente in questa cittá; per il nome solo della quale molti popoli si sono spontaneamente sottoposti al nostro dominio. Giá a quale cittá, a quale imperio cede di religione e di pietá verso il sommo Dio la patria nostra? ove sono tanti monasteri, tanti templi, pieni di ricchissimi e preziosissimi ornamenti di tanti stupendi vasi e apparati dedicati al culto divino, ove sono tanti ospedali e luoghi pii ne’ quali, con incredibile spesa e incredibile utilitá de poveri, si esercitano assiduamente le opere della caritá? È meritamente per tutte queste cose preposta la patria nostra a tutte l’altre, ma oltre a queste ce n’è una per la quale sola trapassa tutte le laudi e la gloria di se medesima. Ebbe la patria nostra in uno tempo medesimo l’origine sua e la sua libertá, né mai nacque né morí in Vinegia cittadino alcuno che non nascesse e morisse libero, né mai è stata turbata la sua libertá; procedendo tanta felicitá dalla concordia civile, stabilita in modo negli animi degli uomini che in uno tempo medesimo entrano nel nostro senato e ne’ nostri consigli e depongono le private discordie e contenzioni. Di questo è causa la forma del governo che, temperato di tutti i modi migliori di qualunque specie di amministrazione publica e composta in modo a guisa di armonia, proporzionato e concordante tutto a se medesimo, è durato giá tanti secoli, senza sedizione civile senza armi e senza sangue tra i suoi cittadini, inviolabile e immaculato; laude unica della nostra republica, e della quale non si può gloriare né Roma né Cartagine né Atene né Lacedemone, né alcuna di quelle republiche che sono state piú chiare e di maggiore grido appresso agli antichi: anzi appresso a noi si vede in atto tale forma di republica quale quegli che hanno fatto maggiore professione di sapienza civile non seppeno mai né immaginarsi né descrivere. Adunque [p. 303 modifica]a tanta e a sí gloriosa patria, stata moltissimi anni antimuro della fede, splendore della republica cristiana, mancheranno le persone de’ suoi figliuoli e de’ suoi cittadini? e ci sará chi rifiuti di mettere in pericolo la propria vita e de’ figliuoli per la salute di quella? la quale contenendosi nella difesa di Padova, chi sará quello che neghi di volere personalmente andare a difenderla? E quando bene fussimo certissimi essere bastanti le forze che vi sono, non appartiene egli all’onore nostro, non appartiene egli allo splendore del nome viniziano, che e’ si sappia per tutto il mondo che noi medesimi siamo corsi prontissimamente a difenderla e conservarla? Ha voluto il fato di questa cittá che in pochi dí sia caduto delle mani nostre tanto imperio: nella quale cosa non abbiamo da lamentarci tanto della malignitá della fortuna (perché sono casi comuni a tutte le republiche a tutti i regni) quanto abbiamo cagione di dolerci che, dimenticatici della costanza nostra stata insino a quel dí invitta, che perduta la memoria di tanti generosi e gloriosi esempli de’ nostri maggiori, cedemmo con troppo subita disperazione al colpo potente della fortuna; né fu per noi rappresentata a’ figliuoli nostri quella virtú che era stata rappresentata a noi da’ padri nostri. Torna ora a noi l’occasione di recuperare quello ornamento, non perduto, se noi vorremo essere uomini, ma smarrito; perché andando incontro alla avversitá della fortuna, offerendoci spontaneamente a’ pericoli, cancelleremo la infamia ricevuta; e vedendo non essere perduta in noi l’antica generositá e virtú, si ascriverá piú tosto quel disordine a una certa fatale tempesta (alla quale né il consiglio né la costanza degli uomini può resistere) che a colpa e vergogna nostra. Però, se fusse lecito che tutti popolarmente andassimo a Padova, che senza pregiudicio di quella difesa e delle altre urgentissime faccende publiche si potesse per qualche giorno abbandonare questa cittá, io primo, senza aspettare la vostra deliberazione, piglierei il cammino; non sapendo in che meglio potere spendere questi ultimi dí della mia vecchiezza che nel partecipare, colla presenza e con gli occhi, di vittoria tanto preclara, o quando pure (l’animo [p. 304 modifica]aborrisce di dirlo) morendo insieme con gli altri non essere superstite alla ruina della patria. Ma perché né Vinegia può essere abbandonata da’ consigli publici, ne’ quali, col consigliare provedere e ordinare, non manco si difende Padova che la difendino con l’armi quegli che sono quivi, e la turba inutile de’ vecchi sarebbe piú di carico che di presidio a quella cittá, né anche, per tutto quello che potesse occorrere, è a proposito spogliare Vinegia di tutta la gioventú, però consiglio e conforto che, avendo rispetto a tutte queste ragioni, si elegghino dugento gentiluomini de’ principali della nostra gioventú, de’ quali ciascuno, con quella quantitá di amici e di clienti atti all’arme che tollereranno le sue facoltá, vadia a Padova, per stare quanto sará necessario alla difesa di quella terra: due miei figliuoli, con grande compagnia, saranno i primi a eseguire quel che io, padre loro principe vostro, sono stato il primo a proporre; le persone de’ quali in sí grave pericolo offerisco alla patria volentieri. Cosí si renderá piú sicura la cittá di Padova, cosí i soldati mercenari che vi sono, veduta la nostra gioventú pronta alle guardie e a tutti i fatti militari, ne riceveranno inestimabile allegrezza e animositá; certi che, essendo congiunti con loro i figliuoli nostri, non abbia a mancare da noi provisione o sforzo alcuno: la gioventú e gli altri che non andranno, si accenderanno tanto piú con questo esempio a esporsi, sempre che sará di bisogno, a tutte le fatiche e pericoli. Fate voi, senatori, le parole e i fatti de’ quali sono in esempio e negli occhi di tutta la cittá, fate, dico, a gara, ciascuno di voi che ha facoltá sufficienti, di fare descrivere in questo numero i vostri figliuoli acciò che sieno partecipi di tanta gloria; perché da questo nascerá non solo la difesa sicura e certa di Padova ma si acquisterá questa fama appresso a tutte le nazioni: che noi medesimi siamo quegli che col pericolo della propria vita difendiamo la libertá e la salute della piú degna patria e della piú nobile che sia in tutto il mondo. —

Fu udito con grandissima attenzione e approvazione, e messo con somma celeritá in esecuzione, il consiglio del [p. 305 modifica]principe; per il quale il fiore de’ nobili della gioventú viniziana, raccolti ciascuno quanti piú amici e familiari atti allo esercizio dell’armi potette, andò a Padova, accompagnati insino che entrorno nelle barche da tutti gli altri gentiluomini e da moltitudine innumerabile, e celebrando ciascuno con somme laudi e con pietosi voti tanta prontezza in soccorso della patria: né con minore letizia e giubilo di tutti furono ricevuti in Padova, esaltando i capitani e i soldati insino al cielo che questi giovani nobili, non esperimentati né alle fatiche né a’ pericoli della milizia, preponessino l’amore della patria alla vita propria; e in modo che confortando l’uno l’altro aspettavano con lietissimi animi la venuta di Cesare.

Il quale, attendendo a raccorre le genti che da molte parti gli concorrevano, era venuto al ponte alla Brenta lontano tre miglia da Padova; e preso per forza Limini e interrotto il corso delle acque, aspettava l’artiglierie le quali, terribili per quantitá e per qualitá, venivano di Germania. Delle quali essendo condotta una parte a Vicenza, ed essendo andati Filippo Rosso e Federigo Gonzaga da Bozzole con dugento cavalli leggieri per fargli scorta, assaltati da cinquecento cavalli leggieri (che guidati dai villani, i quali in tutta la guerra feciono a’ viniziani utilitá maravigliosa, erano usciti di Padova) furno rotti presso a Vicenza cinque miglia, e Filippo fatto prigione; e Federigo, con grande fatica, per beneficio della notte, a piede e in camicia si era salvato. Dal ponte alla Brenta Massimiliano si allargò dodici miglia verso il Pulesine di Rovigo per aprirsi meglio la comoditá delle vettovaglie, e preso di assalto e saccheggiato il castello di Esti andò a campo a Monselice; dove, essendo abbandonata la terra che è in piano, spugnò il secondo dí la fortezza situata in su la cima d’uno alto sasso. Ebbe dipoi per accordo Montagnano; donde ritornato verso Padova si fermò al ponte di Bassanello vicino a Padova, dove invano tentò di divertire la Brenta o il Bachiglione, che di quivi si conduce a Padova. Nel quale luogo essendo giunte tutte l’artiglierie e le munizioni che aspettava, e raccolte tutte le genti che erano distribuite in diversi luoghi, si accostò alla [p. 306 modifica]terra con tutto l’esercito; e avendo messi quattromila fanti nel borgo che si dice di Santa Croce aveva in animo di assaltarla da quella parte: ma essendo dipoi certificato che la terra in quel luogo era piú forte di sito e di muraglia e statevi fatte maggiori fortificazioni, e ricevendo ancora in quello alloggiamento dalle artiglierie di Padova molto danno, deliberò trasferirsi con tutto lo esercito alla porta del Portello che è volta verso Vinegia, perché gli era riferito la terra esservi piú debole, e per impedire i soccorsi che per terra o per acqua venissino a Padova da Vinegia. Ma non potendo, per lo impedimento de’ paludi e di certe acque che inondano il paese, andarvi se non con lungo circuito, venne al ponte di Bovolenta lontano da Padova sette miglia, dove è una tenuta situata in sul fiume del Bachiglione verso la marina tra Padova e Vinegia: nel qual luogo, per essere circondato dalle acque e nella parte piú sicura del padovano, si erano ridotti tremila villani con numero grandissimo di bestiami; i quali, sforzati dalla vanguardia de’ fanti spagnuoli e italiani, furono quasi tutti morti o presi. Né si attese, per due dí seguenti, ad altro che a correre tutto il paese insino al mare, pieno di quantitá infinita di bestiami; e furono prese nella Brenta molte barche, che cariche di vettovaglie andavano a Padova: tanto che, finalmente, il quintodecimo dí del mese di settembre, avendo consumato tanto tempo inutilmente e dato spazio agli inimici di fortificarla ed empierla di vettovaglie, si accostò alle mura di Padova allato alla porta del Portello.