Specchio di vera penitenza/Distinzione quinta/Capitolo primo

Distinzione quinta - Capitolo primo

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Distinzione quinta - Capitolo primo
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CAPITOLO PRIMO.


Dove si dimostra cosa è confessione.1


In prima si conviene dire che cosa è confessione; della quale dice san Tommaso, e allega santo Agostino: Confessio est, per quam morbus latens, spe venioe, aperitur: La confessione è un dire per lo quale la infermità nascosta del peccato, con isperanza di perdono, si manifesta e apre. O vero, secondo che dicono i maestri: Confessio est legitima coram sacerdote peccati delaratio: La confessione è una ligittima dichiaragione del peccato davanti al prete. E in sentenzia2 dicono quello medesimo, e comprendono tutto ciò che si richiede a fare la buona e ligittima confessione. Chè, come dice san Tommaso: L’atto della confessione sustanzialmente si dimostra in ciò, che dicono ch’è uno manifestare e aprire colla parola quello ch’era nascosto. Dove si dà ad intendere, che come gli altri sacramenti hanno speziale e diterminata matera, come il battesimo l’acqua, e la strema unzione l’olio; così la confessione, ch’è parte del sacramento della Penitenzia, ha determinato atto, che è la parola colla quale si manifesta il peccato. Onde colui che puote dire per sé medesimo, non basta ch’ egli si confessi per iscrittura; né per cenni, né per interpreti; ma basterebbe a colui che fosse mutolo, o che non avesse linguaggio, o fosse per alcuno modo impedito che non potesse per sé medesimo, colla propria lingua, manifestare i suoi peccati. Or che diremo di coloro che non [p. 95 modifica]dicono il peccato loro per loro medesimi, ma addomandano dal confessoro che gli domandi, e rispondono sì e no? Rispondesi per li savi, che più ligittima e migliore confessione sarebbe che altri dicesse i peccati suoi egli stesso sanza essere domandato: tuttavia, se la contrizione e l’altre cose che si richieggiono per la confessione, come si dirà per innanzi, ci sono, basta di rispondere a quelle cose che il confessoro domanda il peccatore; se non fosse già sì disposto colui che si confessa, che anzi ch’ egli si conducesse a dire il peccato egli stesso, lascerebbe la confessione; la qual cosa procede da superbía:3 onde in tal caso non varrebbe solamente risponder ed essere domandato. Ora, di che e come il confessoro debba domandare, diremo nel suo luogo più oltre, dove meglio ci caderà in taglio.4 E che l’uomo debba dire il peccato suo egli stesso, Iddio lo dice per Isaia profeta: Dic tu iniquitates tuas, ut iustificeris: Di’ tu le tue iniquità e’ tuoi peccati, acciò che tu sia iustificato. Non dice: dícale il confessoro o altri per te, se non se in caso ove tu non potessi o non sapessi; come interviene a molte persone che o per vergogna o per temenza (come interviene spezialmente alle donne) perdonsi e vengon sì meno, che smémorano e dimenticano i peccati che in prima aveano pensati di dire. Nel qual caso è bisogno che ’l confessoro assicuri il peccatore e aiutilo, recandogli a mente i peccati ne’ quali crede che debbia avere offeso, avendo tuttavia discrezione nel domandare: come s’ammaesterrà5 il confessore, e di ciò e dell’altre cose ch’ egli dee osservare, nel luogo suo. Anche contiene la predetta diffinizione data da santo Agostino della confessione, quello di che si dee fare la confessione, in ciò che dice: Morbus latens: La ’nfermità nascosta, cioè il [p. 96 modifica]peccato, che si chiama infermità dell’anima, della quale chiedeva d’essere sanato santo David profeta, quando dicea: Miserere mei, Domine, quoniam infirmus sum; sana me, Domine: Signore Iddio, abbi misericordia di me, però ch’io sono infermo; sanami tu. E dice che la ’nfermità è nascosta; chè, avvegna dio che alcuna volta l’opera del peccato sia palese, la volontà rea, ch’è cagione e radice del peccato, è occulta. E però, quantunque il peccato sia palese, eziando al prete confessoro si vuole confessare in confessione segretamente, come a giudice, e per la mala volontà che è celata, e perch’egli sa il peccato ch’è palese come uomo, e conviene che gli si dica come a vicario di Dio, e a giudice posto sopra i peccatori. E però dicea la seconda diffinizione posta di sopra: Coram sacerdote: che si dee fare a’ preti; però che al prete, quando s’ordina, si dà la podestà e la balía d’udire la confessione de’ peccati, e di prosciogliere della colpa, e di legare a certa pena, nel modo che si dirà più specificatamente più innanzi. Onde conviene che la confessione sia ligittima, cioè fatta con legge e con ordine; chè non ogni prete può assolvere ogni peccatore né da ogni peccato, ma quanto e come a cui concede la santa Chiesa; sì come diremo ordinatamente nel processo del Trattato. Contenevasi ancora nella diffinizione data, la cagione e l’effetto della confessione, in ciò che dicea: Cum spe venioe: che dee avere l’uomo che si confessa, speranza di perdono; chè sanza la speranza, che dee muovere l’uomo a confessione,6 non s’averebbe il perdono, che è l’effetto e ’l frutto della confessione. Or, come il prete perdoni il peccato, e quanto si stenda la virtù delle commesse chiavi, altrove lo diremo. Qui basti quello che è tocco7 leggermente, per dare ad intendere che cosa è confessione, [p. 97 modifica]sponendo la sua diffinizione, che è la prima cosa che proponemma di dire della confessione.

Note

  1. Manca questo titolo nelle due più antiche edizioni, e nel nostro Manoscritto.
  2. La Crusca spiegò: In conclusione, In sustanzia: due cose molto diverse, delle quali sol qui la seconda è applicabile.
  3. La qual cosa ec.: parole mancanti nel Codice nostro, e nella stampa del 25.
  4. Ediz. 95: ci darà il taglio.
  5. Nel Testo: s'ammaestra.
  6. Ediz. 95 e 85: muovere il peccatore a confessarsi.
  7. Benchè non confermata dal nostro Testo, accettiamo la lezione del Salviati.