Spaccio de la bestia trionfante/Dialogo primo/Parte terza
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III.
sof. Venuto il quarto giorno, ed essendo a punto l'ora di mezzodì, convennero di bel novo al consiglio generale, dove non solamente fu lecito d’esser presenti li prefati numi più principali, ma oltre tutti quelli altri, ai quali è conceduto, come per legge naturale, il cielo. Sedente dunque il senato e popolo de li dei, e con il consueto modo essendo montato sul soglio di saffiro inorato Giove, con quella forma di diadema e manto con cui solamente ne li solennissimi concilj suol comparire, rassettato il tutto, messa in punto d’attenzion la turba, e inditto alto silenzio, di maniera, che i congregati sembravano tante statue o tante pitture, si presenta in mezzo con li suoi ordini, insegna e circostanze il mio bel nume, Mercurio, e giunto avanti il cospetto del gran padre, brevemente annunziò, interpretò, ed espose quel che non era a tutto il consiglio occulto, ma che, per servar la forma e decoro de’ statuti, bisogna pronunziare; cioè, come li dei erano pronti ed apparecchiati senza simulazione e dolo, ma Con libera e spontanea voluntade, a i accettare e ponere in esecuzione tutto quello che per il presente sinodo verrebbe conchiuso, statuto e ordinato. Il che avendo detto, si voltò a li circostanti dei, e li richiese, che con alzar la mano facessero aperto e ratificato quei tanto, eh' in nome loro aveva esposto in presenza de 1'Altitonante. E così fu fatto. A presso apre la bocca il magno protoparente, e fissi in cotal tenore udire i Se gloriosa, o dei, fu la nostra vittoria contro li giganti, che in breve spazio di tempo risorsero contra di noi, che erano nemici stranieri ed aperti, che ne combattevano solo da l'Olimpo, e che noti possevano né tentavano altro, che di ne precipitare dal cielo: quanto più gloriosa e degna sarà quella di noi stessi, l i quali fummo contra lor. vittoriosi ? Quanto più degna, dico, e gloriosa è quella di nostri affetti, che tanto tempo han trionfato di noi, che sono nemici domestici ed interni, che ne tiranneggiano da ogni lato, e che ne hanno trabalzati e smossi da noi stessi? Se dunque di festa degno ne ha parso quel giorno, che ne partorì vittoria tale, di quale il frutto in un momento disparve, quanto più festivo deve essere questo, di cui la fruttuosa gloria sarà eviterna per li secoli futuri? Séguite, dunque d'essere festivo il giorno de la vittoria; ma quel che si diceva de la vittoria de' giganti, dicasi de la vittoria de li dei, perché in esso abbiamo vinti noi medesimi! Instituiscasi oltre festivo il giorno presente, nel quale si ripurga il cielo, e questo sia più solenne a noi, che abbia mai possuto essere a gli Egizj la trasmigrazione del popolo leproso, ed agli Ebrei il transito de la babilonica cattivitade! Oggi il morbo, la peste, la lebra si bandisce dal cielo a li deserti; oggi vien rotta quella catena di delitti, e fracassato il ceppo de gli errori, che ne obligano al castigo eterno. Or dunque, essendo voi tutti di buona voglia per procedere a questa riforma, ed avendo, come intendo, tutti premeditato il modo, con cui si debba e possa venire al fatto; a ciò che queste sedie non rimangono disabitate, ed a li trasmigranti sieno ordinati luoghi convenienti, io comincierò a dire il mio parere circa uno per uno; e prodotto che sarà quello, se vi parrà degno d'essere approvato, ditelo; se vi sembrerà inconveniente, esplicatevi; se vi par, che si possa far meglio, dichiaratelo; se da quello si deve togliere, dite il vostro parere; se vi par, che vi si deve aggiungere, fatevi intendere! perché ognuno ha plenaria libertà di proferire il suo voto; e chiunque tace, s'intende affirmare.» Qua assorsero alquanto tutti li dei, e con questo segno ratificato la proposta. «Per dar dunque principio e cominciar da capo,» disse Giove, «veggiamo prima le cose, che sono da la parte boreale, e provediamo circa quelle, e poi a mano a mano per ordine faremo progresso sin al fine. Dite voi, che vi pare, e che giudicato di quella Orsa?» Li dei, a li quali toccavano le prime voci, commisero a Momo, che rispondesse; il qual disse: «Gran vituperio, o Giove, e più grande, che tu medesimo possi riconoscere, che nel luogo del cielo più celebre, là, dove Pitagora, che intese, il mondo aver le braccia, gambe, busto e testa, disse essere la parte superiore di quello, a la quale è contrapposto l'altro estremo, che dice essere l'infima regione — iuxta quelli che cantò un poeta di quella setta:
Hic vertex nobis semper sublimis, at illum
Sub pedibus Styx atra videt, Manesque profundi.
compagno di quella minore giovanetta! e vedete, che non le dovegna ruffiana; il che se accaderà, sia condannata a servir a qualche mendico, che con andarla mostrando, e con farla cavalcare da fanciulli e altri simili, per curar la febbre quartana e altre picciole infermitadi, possa guadagnar da vivere per lui e lei.» — Dimanda Marte: «Che faremo di quel nostro dragonaccio, o Giove?» — «Dica Momo,» rispose il padre. E quello: «La è una disutile bestia, e che è meglio morta che viva. Però, se vi pare, mandiamola ne l’Ibernia, o in un’isola de l’Orcadi a pascere. Ma guardate bene! chè con la coda è dubbio, che non faccia qualche ruina di stelle con farle precipitar in mare.» Rispose Apolline: «Non dubitare, o Momo! perchè ofdinarò a qualche Circe o Medea, che con quei versi, con li quali si seppe addormentar, quando era guardiano de le poma d’oro, adesso di nuovo insoporato, sia trasportato pian pianino in terra; e non mi par, che debbia morire, ma si vada mostrando ovunque è barbara bellezza; perchè le poma d’oro saranno la beltade; il drago sarà la fierezaa; Giasone sarà l'amante; l’incanto, ch’addormenta il drago, sarà, che
Non è sì duro cor, che proponendo,
Tempo aspettando, piangendo ed amando,
E tal volta pagando, non si smuova;
Nè sì freddo voler, che non si scalde.
— «La prudenza,» rispose Giove, «la quale deve essere vicina a la veritade; perchè questa non deve maneggiarsi, muoversi e adoperarsi senza quella, e perchè l’una senza la compagnia de l’altra non è possibile che mai profitte, o venga onorata.» — «Ben provisto,» dissero li dei. Soggiunse Marte: «Quel Cefeo, quando era re, malamente seppe menar le braccia per aggrandir quel regno, che la fortuna gli porse. Ora non è bene, che qua, in quel modo che fa, spandendo di tal sorte le braccia, e allargando i passi, si faccia così la piazza grande in cielo.» — «Ebbene, dunque,» disse Giove, «che se gli dia da bere l’acqua di Lete, a fin che si dimentiche, ponendo in obblio la terrena e celeste possessione, e rinasca animale, che non abbia nè gambe nè braccia!» — «Così deve essere,» soggiunsero li dei; «ma che in loco suo succeda la Sofia, perchè la poverina deve anch’ella partecipar de li frutti e fortune de la veritade, sua indissociabile compagna, con la quale sempre ha comunicalo ne le angustie, afflizioni, ingiurie e fatiche; oltre che, se non è costei che le coadministre, non so, come ella potrà essere mai gradita, e onorata.» — «Molto volentieri,» disse Giove, «lo accordo, e vi consento, o dei; perchè ogni ordine e ragione il vuole, e massime, perchè malamente crederei aver reposta quella nel suo luogo senza questa, e ivi non si potrebbe trovar contenta, lontana da la sua tanto amata sorella e diletta compagna.»
«De l’Arctofilace,» disse Diana, «che, sì ben smaltato di stelle, guida il carro, che credi Momo, che si debba fare?» — «Rispose: «per esser lui quell’Arcade, frutto di quel sacrilego ventre, e quel generoso parto, che rende testimonio ancora de gli orrendi furti del gran padre nostro, deve partirsi da qua; or provedete voi de la sua abitazione?» — Disse Apolline: «Per esser figlio di Calisto, séguite la madre!» — Soggiunse Diana: «E perchè fu cacciatore d’orsi, séguite la madre! con questo, che non le ficchi qualche punta di partesana a dosso.» — Aggiunse Mercurio: «E perchè vedete, che non sa far altro cammino, vada pur sempre guardando la madre, la quale se ne devria ritornare a l’erimantide selve» — «Così sarà meglio,» disse Giove; «e perchè la meschina fu violata per forza, io voglio riparar al suo danno, da quel luogo rimettendola, se così piace a Giunone ancora, ne la sua pristina bella figura.» — «Mi contento,» disse Giunone, «quando prima l'arete rimessa nel grado de la sua verginità, e per conseguenza in grazia di Diana.» — «Non parliamo più di questo per ora,» disse Giove, «ma veggiamo, che cosa vogliamo far succedere al luogo di costui.» — Dopo fatte molte e molte discussioni, «ivi» sentenziò Giove, «succeda la legge, perchè questa ancora è necessario che sia in cielo! atteso che così questa è figlia de la Sofia celeste e divina, come quell’altra è figlia de l’inferiore, in cui questa dea manda il suo influsso, e irradia il splendor del proprio lume, in quel mentre, che va per li deserti e luoghi solitari de la terra.» — «Ben disposto, o Giove!» disse Pallade; «perchè non è vera, nè buona legge quella, che non ha per madre la Sofia, e per padre l’intelletto razionale, e però là questa figlia non debbe star lungi de la sua madre; e a fin che da basso contemplino gli uomini, come le cose denno essere ordinate a presso loro, si proveda qui in questa maniera, se così piace a Pagina:Spaccio de la bestia trionfante 1863.djvu/83 Pagina:Spaccio de la bestia trionfante 1863.djvu/84 Pagina:Spaccio de la bestia trionfante 1863.djvu/85 Pagina:Spaccio de la bestia trionfante 1863.djvu/86 Pagina:Spaccio de la bestia trionfante 1863.djvu/87 Pagina:Spaccio de la bestia trionfante 1863.djvu/88 Pagina:Spaccio de la bestia trionfante 1863.djvu/89 Pagina:Spaccio de la bestia trionfante 1863.djvu/90 Pagina:Spaccio de la bestia trionfante 1863.djvu/91 Pagina:Spaccio de la bestia trionfante 1863.djvu/92 Pagina:Spaccio de la bestia trionfante 1863.djvu/93 Pagina:Spaccio de la bestia trionfante 1863.djvu/94 Pagina:Spaccio de la bestia trionfante 1863.djvu/95 Pagina:Spaccio de la bestia trionfante 1863.djvu/96 Pagina:Spaccio de la bestia trionfante 1863.djvu/97 Pagina:Spaccio de la bestia trionfante 1863.djvu/98 Pagina:Spaccio de la bestia trionfante 1863.djvu/99 Pagina:Spaccio de la bestia trionfante 1863.djvu/100