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DIALOGO PRIMO 63

là, dove li marinai si consultano de li devi ed incerti cammini del mare, là, verso dove alzano le mani tutti li travagliati, che patiscono tempeste; là, verso dove ambivano li giganti; là, dove la generazion fiera di Belo facea montare la torre di Babelle; là, dove li maghi del specchio calibro cercano gli oracoli di Floron, uno de’ grandi principi de gli arctici spiriti; là, dove li cabbalisti dicono che Samaele volse innalzare il soglio, per farsi assomigliante al primo Altitonante — hai posto questo brutto animalaccio, il quale, non con una occhiata, non con un rivoltato mustaccio, non con qualche imagine di mano, non con un piede, non con altra meno ignobil parte del corpo, ma con una coda, che contra la natura de l’orsina specie volse Giunone, che gli rimanesse attaccata dietro, quasi come un indice degno di tanto luogo, fai, che vegna a mostrar a tutti terresti, maritimi e celesti contemplatori il polo magnifico e cardine del mondo. Quanto dunque facesti male di vi là inficcare, tanto farai bene di levarnela; e vedi di farne intendere, dove la vuoi mandare, e che cosa vuoi che in suo luogo succeda!» — «Vada,» disse Giove, «dove a voi altri pare e piace, o a gli orsi d’Inghilterra, o a gli Orsini o Cesarini di Roma, se volete, che stia in città a bell’agio.» — «A li claustri di Bernesi vorrei, che la fusse imprigionata,»; disse Giunone. — «Non tanto sdegno, mia moglie,» replicò Giove, «vada dove si vuole, pur che sia libera, e lasce quel luogo, nel quale, per essere la sedia più eminente, voglio, che faccia la sua residenza la Veritade; perchè là le unghie de la detrazione non arrivano, il livore de l’invidia non avelena, le tenebre de l’errore non vi profondano. Ivi starà stabile e ferma; là non sarà esagitata da flutti