Sorella di Messalina/Parte prima/III
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III.
Ma all’indomani ecco che ella comparve inaspettatamente nello studio di lui.
Ammirò molto le sue opere, fermandosi con lunghi silenzi pieni d’intensità davanti a tutti i piccoli sgorbi e abbozzi a cui Alberto stesso non aveva fino allora attribuito grande importanza.
Sfortunatamente si fermò a contemplare colla stessa repressa emozione una tela che era del Bosìa. Ritta davanti al piccolo quadro vibrante di colorazione, lo fissava mordendosi le labbra e ansando un poco.
— Quello non è mio, — disse Alberto, contrariato.
— Ah!... — fece lei con un lungo sospiro come di sollievo. — Mi pareva... diverso! Mi pareva... un altro temperamento, un’altra anima!
Indi volle suggerirgli lei l’idea per un quadro.
— Lo intitolerete «La Riluttante». Nello sfondo, a sinistra, una pianura piena di luce. A destra, in primo piano una vallata tenebrosa. Nel centro, venendo dalla luce e rivolte verso l’ombra, due figure: una Donna (una donna non più giovane) e il Tempo... sapete pure, il vecchio Tempo convenzionale, colla barba, la falce e la clessidra... Egli tiene per il polso la donna e la trae presso di sè, forzandola a seguirlo verso la vallata buia. Ma ella, desiosa e nostalgica, volge il capo verso la pianura soleggiata e primaverile che ha lasciato dietro di sè...
— La giovinezza! — interpretò Alberto.
— ...dove danzano in cerchio delle diafane figurette adolescenti... Da queste si stacca un giovane, divino di bellezza, che stende ancora verso la Partente una mano piena di fiori... — Tacque con un piccolo sospiro; indi fissando coi profondi occhi Alberto, riprese: — Ma, inesorabile, il Tempo trascina seco la riluttante. La trascina, giù, verso la vallata nubilosa e profonda... E tutte le rose ch’ella aveva in mano cadono a terra, sfiorite...
— Bello! — disse Alberto, non troppo convinto. — Ma i quadri che dicono qualche cosa non sono più di moda.
Ella gli diede subito ragione; e si estasiò davanti alla sua ultima tela raffigurante tre donne sedute in fila — due vestite e una nuda — che fisse ed intontite contemplavano una finestra chiusa.
Ella lo trovò magnifico. Trovò magnifico tutto. Bevette del Malaga ch’egli le offerse; suonò qualche accordo al pianoforte; fu piena di vivaci, inaspettate e affascinanti eccentricità. Si rizzò in punta de’ piedi a baciare rabbrividendo, i ghignanti denti di un teschio, che Alberto teneva presso un vaso di fiori su uno scaffale.
— Io adoro la morte! — esclamò.
Poi tornò ad ammirare Alberto e i suoi occhi e il suo studio e la sua arte; si stupì che tutti i suoi quadri non fossero già conosciuti e venduti a Parigi, a New York, a Costantinopoli, a Londra, e si meravigliò che tutte le donne d’Italia non fossero ai piedi di lui, convulse d’estasi e di passione.
— Ah, Giorgio! Giorgio!... come siete meraviglioso e conturbevole!... — esclamava stringendo il fazzoletto orlato di trina alle narici. — Come mi piace odorare l’etere e guardare la linea del vostro profilo perduto...
— Vi vedrò questa sera? — chiese Alberto un poco agitato.
— No. Questa sera no.
— Allora domani? — insistette lui, scordando gli impegni colla baronessa e coll’ex-sindaco.
— No, Giorgio. Neppure domani.
Alberto passò la serata al Caffè Nazionale con Piero; e fu irascibile, distratto e impaziente. Vi erano parecchie donne nel Caffè, di quelle che avrebbero dovuto essere ai suoi piedi; ma nessuna aveva l’aria di pensarci.
Alberto andò a casa pensieroso. E non dormì.