Simpatie di Majano/X
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X.
No, mia signora: di Majano non le ho detto ancora tutto. Lei, come quasi tutte le donne, è particolarmente curiosa delle cose dell’anima; la vita intima ha per loro signore un’attrattiva molto più forte della vita esteriore e degli oggetti materiali. Se poi la vita intima prende un poco di tinta mistica, se si rivolge colla fede o colla fantasia al mondo soprannaturale, allora è un ghiotto boccone. Quindi la simpatia di tutte le donne, anche le più mondane di abitudini, per la vita monastica; siano loro come Marta tutte intente alle cure di famiglia, trionfino pure come Maddalena per lo splendore dei sensi, invidiano sempre un poco quella ritirata e contemplativa Maria che si meritò lo speciale elogio del Cristo.
Quelle schiere di recluse, immacolate per professione, votate a uno sposo che non ha nulla di umano; che rinunziano per amore o per forza, per elezione o per tradizione, per aspirazione all’infinito o per economia di famiglia, rinunziano alla libertà, al sole, al moto, al piacere, alla fecondità, alla maternità, alla parola, alla bellezza, al dominio, a tutto ciò che è secondo natura; quei cori di cuori rivolti a misteriose nozze hanno, specialmente pelle donne naturali, l’attrattiva dello straordinario...
Anche qui a Majano ci fu per sette secoli un monastero di benedettine, dove per un seguito di numerose generazioni si ritiravano o venivano rinchiuse le nobili donzelle che si sentivano o erano giudicate di troppo nelle più illustri famiglie fiorentine: e forse anche qualche Eloisa, infelice per colpa di qualche Abelardo.
Diventato fattoria, il monastero si rivela ancora con alcune delle sue piccole celle e finestrette quadre, col cortile a loggia, col piccolo orto rinchiuso e santificato da una cappellina, coll’antico affresco nel quale la Madonna delle Grazie accoglie sotto il suo manto i religiosi e le religiose a schiere. E l’annessa chiesa di San Martino deve i suoi ornamenti, e soprattutto una stupenda tavola di altare che meritò di essere attribuita ai più celebrati maestri, alla cura indefessa delle monache di Majano.
Ma di questa chiesa, a piena soddisfazione della sua curiosità, le posso mandare un libro stampato, che riguarda tutta la parrocchia; perchè il proprietario di Majano non ha trascurato nulla di quello che giova a illustrare questo bel paese, sia riedificandone colossali monumenti di pietra, come il castello di Vincigliata, sia raccogliendo e pubblicando i documenti scritti. Vediamo piuttosto qualche cosa di inedito, vediamo i piccoli misteri delle monache di Majano.... Non faccia il viso dell’arme: non si tratta di scandali. Le memorie di queste tranquille e rassegnate benedettine non contengono nulla di tragico....
Ecco qui un vecchio manoscritto: la rilegatura in pelle ha perduto i nastri di seta verde che servivano da fermagli: la schiena del libro, già troppo logora, è rattoppata alla buona: ma le pagine sono ancora stampate a ricchi ornati in oro di stile orientale, probabilmente persiano: qualche frate, reduce dal levante, ne avrà fatto dono alle monache.
Il volume è intitolato: A. D. N. Jesu Christi 1577. — Libbro di ricordi e obblighi della n.ra sagrestia di San Martino a Majano.
E incomincia con queste parole: «Yhs. Al nome del’eterno et grande Dio et della santissima Trinità, Padre Figliolo et Spirito Santo, et della gloriosa et santissima madre di nostro s.or Jesu Christo, Madonna Santa Maria vergine, et de principi delli Apostoli S. Piero et S. Pauolo, et dello advocato della mag.ca città di Firenze S. Giovanni Batt.a et del glorioso P. S. Benedetto capo di tutta la n.ra religione et cong.ne di Monte Cassino, et del glorioso S. Romolo capo del vescovado di Fiesole, sotto del qual vescovado è posto il n.ro Mon.o et convento et del glorioso pontifice Santo Martino advocato et titulo di questa chiesa, mon.o et convento et finalmente di tutta la corte et spiriti beati del santo paradiso, et fiat fiat. Amen:
«Qui in questo libro a laude di n.ro S. Jesu Ch.ro si farà ricordo per modo d’inventario....»
Intendiamoci, Contessa mia bella: io non le posso trascrivere tutto il libro che è di circa dugento facciate, e mediocremente dilettevole nella forma, appunto perchè vi predomina il carattere d’inventario.
Fedeli alla diligente pazienza benedettina, le monache di Majano non hanno trascurato di registrare la più piccola cosa; nè il cassettino d’osso per il Sacramento, nè il guanciale per la seggiola del confessore. Il primo estensore dell’inventario aveva dimenticato 6 granate e 2 mazzi di zolfanelli; una sagrestana più scrupolosa riparò all’omissione, soggiungendo che i due mazzi di zolfanelli nel 1580 costavano una cratia di peso.
Ma il corredo di Maria Santissima Lei lo vorrà conoscere senza dubbio, ed eccola servita:
«Mantellini per la Madonna.
Uno mantellino di damasco bianco fiorito.
Un altro di maglia quadra et disotto taffettà.
Un altro di raso giallo.
Un altro d’ermisino rosso.
Un altro di damasco azzurro.
Un altro di drappo giallo.» Non c’è il nero, che a Lei sta tanto bene: pare che in paradiso, almeno nel cinquecento, non usasse.
Le monache funzionavano un anno per turno da sagrestana: ed era costume che ciascuna in quell'uffizio spendesse qualche cosa del proprio a onore e decoro della chiesa. E però ciascuna avea cura di registrare ciò che la chiesa le doveva «non per vanagloria, ma per riscaldare a divotione altri a far simili buone opere, et levar l’ambitione di chi si volessi appropriare per il tempo d’avvenire quello che non havessi fatto.»
Vuole una prova della scrupolosa giustizia con cui venivano redatte tali gesta di sagrestia?
«1707. D. Angiola Felice Del Nero.... rassettò il velo delle spalle che serve per la festività del Corpus Domini per essere tutto rotto, e vi rifece il drappo bianco et il soppanno dorato con la trina d’oro intorno; e si servì dell’istesso ricamo, ma per esser ciò opera assai difficile e tediosa, si fece aiutare da otto o dieci monache atte a tal lavoro, il che fecero con molta carità e diligentia....»
E per oggi, mia signora, faccio punto, perchè ancora non sono certo se le sia gradito il viaggio di scoperta che abbiamo intrapreso in questo melanconico paese di clausura e di sagrestia, impregnato dall’odore dell’incenso stantio.
Ma frattanto, non le pare che nell’appassionata cura degli addobbi ecclesiastici quelle povere monachelle cercassero uno sfogo all’istinto di opere famigliari che riempie così gradevolmente le giornate delle buone donne nel secolo?
Spose del Cristo, quelle recluse si dedicavano ad adornarne il visibile appartamento, e ci mettevano la stessa passione d’una signora che ricama la papalina per il suocero, le pantofole per il marito e il portasigari per il cugino.... Chassez le naturel, il revient au galop. E così, se anche io volessi rinunziare al devoto ossequio che le professo, non lo potrei: e resterei invincibilmente
Suo devotissimo.