Sessanta novelle popolari montalesi/XXXVIII
Questo testo è incompleto. |
◄ | XXXVII | XXXIX | ► |
NOVELLA XXXVIII
- Il Pesciolino
(Raccontata dalla Luisa vedova Ginanni)
Tempo fa, ma sono dimolti anni, regnava ne' paesi una gran carestia, e la gente nun aveva da mangiare, sicché ne morivano de' cristiani dalla fame tanti, che era una disperazione e faceva 'scherezza a vedere que' disgraziati cascare, chi di qua, chi di là, per le terre insenza fiato. A que' medesimi, tempi campava una poera donna pigionacola in un borgo, e il su' marito gli era morto da un pezzo, e lei era rimasa vedova con du' figlioli, un mastio più grandino e una bambina doppo lui; e il mastio lo chiamavano Gianni. Dice un giorno la su' mamma a Gianni: - Se te andessi a cercare un po' di pane, bambino! 'gli è tanto che nun si mangia! Qualcuno forse tu lo trovi che ti faccia un po' di carità per l'amor di Dio. Gianni dunque si mettiede a girondolare per que' loghi, ma nun potiede rabbrezzare da nimo manco una briciola di pane. Che volete! Con quella carestia ognuno e' n'avea di catti a tenerselo per sé il campamento. Sicché Gianni, stracco morto e allaccato tra la fatica e la fame, si buttò giù a diacere al sole in sulle spronde d'una fossettina, addove ci correva della bell'acqua chiara; e in nell'essere lì, tutt'a un tratto vedde un Pesciolino che navicava, e pareva che fussi d'argento. Lui pensò subbito d'acchiapparlo e portarlo a casa alla su' mamma, perché lei almanco lo mangiassi, e pian piano sdrucolato drente al fosso gli rinuscì di serrare il Pesciolino infra le mane: ma il Pesciolino principiò a discorrere e a raccomandarsi a Gianni di lassarlo libbero, e che lui e' l'arebbe ricompensato della su' bon'azione. Gianni, in nel sentire [318] quell' animale che parlava, s'impaurì e spalancò le dita, e rimanette lì mezzo grullo in sospetto di qualche gastigo; il Pesciolino però gli disse: - Nun aver temenza, che del male nun te ne vo' fare, sai? Ma perché mi volevi mangiare? Dice Gianni: - No' siemo tanto affamati a casa e nun s'ha pane: ugni cosa è bona in tempo di carestia. La mi' poera mamma fila la stoppa, ma beneché la guadagni poco, prima s'andeva 'nnanzi, e ora 'nvece ci converrà a tutti morire dalla fame. - Senti, - disse il Pesciolino: - te mi garbi, e i' v'aiterò tutti di quel che v'abbisogna. Quando vi manca qualcosa, tu vieni qui, e basta che tu mi dica per esser disaudito:
Pesciolino, mi' amante, Saresti a me costante? Mi faresti la carità?
- Allora, - gli arrispose Gianni, - i' ve lo dico in questo vero mumento:
Pesciolino, mi' amante, Saresti a me costante? Mi faresti la carità?
M'abbisogna, pur troppo! del pane. Alle parole di Gianni il Pesciolino fece apparire un pane di dieci libbre, perché lui lo portassi a casa; ma gli comandò a Gianni, che doveva star cheto e nun arraccontare a nissuno del Pesciolino fatato in quel fosso. Gianni dunque andiede dalla su' mamma con quel pane di dieci libbre, e inventò che gliel'aveva regalo un su' zio mugnaio accosì per limosina. Dice su' madre: - Che! questo è 'mpossibile. 'Gli è una limosina troppo grossa per de' tempi di carestia. Tu l'ha rubo, sciaurato, nun dir bugie. E Gianni a giurare di no, e che era un regalo del su' zio. Dice la madre: - Oh! se io degli zii 'gli è tanto che nun n'ho più; èn' tutti morti e seppelliti da un bel pezzo. E Gianni: - Guà! e' vole dire che vo' nun gli cognoscevi tutti, e che questo i' l'ho trovo io in nel su' mulino dimolto lontano da casa nostra. 'Gnamo! chetatevi, mamma, e nun dubitate di nulla. Anzi lo zio m'ha imprumesso di darmi tutto quello che mi bisogna. Abbeneché quella donna non fusse tanto persuasa delle parole del su' Gianni, [ 319] siccome aveva fame, si mettiede a mangiare il pane assieme a' su' figlioli, e in quel gli scappò detto: - Pan solo! Anco il pan solo è bono, quando nun c'è altro. Ma sarebbe anco più bono tavìa con del cacio e con un po' di vino sopr'esso per mandar giù meglio ugni cosa. Dice Gianni: - Lassatemi arritornare dallo zio, e il cacio e il vino vo' l'arete. Insomma, per nun farla tanto stucca, bastava che Gianni 'gli andessi dal su' Pesciolino e gli chiedessi della robba, che tutto quel che lui voleva, lui l'aveva; e quando viense il freddo di verno, Gianni portò a casa una pezza di lendinella per il vestito della mamma e della sorella, e un'altra di panno per sé, che erano prima quasimente 'gnudi e battevan le gazzette. Ora, e' successe che un giorno Gianni 'gli era dientro a un bosco a cercare di legne, e s'accostò a un palazzo e ci vedde al balcone la figliola del Re; una bellezza da levar gli occhi a guardarla soltanto. Pensò Gianni: - Se la fussi mia! Ma com'è possibile ch'i' possa sposare una figliola di Re, io meschino accosì? E s'intrattieneva lì sotto al balcone a strolagare; ma quella ragazza nun ci abbadò a lui più che tanto. Figuratevi, se una Principessa a quel mo' voleva abbadare a un poero straccione di per le strade! A un tratto Gianni, indispettito da quell'aria un po' superbiosa della Principessa, barbottò: - Che te possa fare un figliol mastio per virtù del mi' Pesciolino! E poi se n'andiede a casa diviato. Le parole di Gianni non cascorno 'nvano, perché la figliola del Re si cominciò a sentir male. Subbito chiamano i dottori a visitarla, e loro, doppo averla tastata chi di qua e chi di là, gli dissano: - È gravida. Nascette un buggianchìo in tutta la Corte, perché la Principessa giurava, che lei nun aveva dato retta a nissun omo e che era innocente: ma il Re la ragione nun la 'ntendeva in nel vedere che alla su' figliola il corpo gli cresceva sempre. Lui dicea: - Insenz'omini queste cose alle donne e' nun gli accadono. Che ti fa? 'Gli ordina che in nel mumento la Principessa sia serrata dientro a una torre con delle guardie a custodirla, e ce la tiense insino a che lei nun ebbe partorito un figliol mastio, e volse poi che questo mastio fusse rallevato in nel palazzo, e badava a cercare se mai si scoprissi chi aveva ingravidato la ragazza di niscosto; ma per allora nun ne viense a capo. [320] Passato del tempo, quando il bambino della Principessa arrivò a du' anni finiti, il Re che si struggeva di sapere chi era il su' babbo, fece attaccare per tutt'i canti del Regno un bando: - Che a un giorno fissato s'adunassino in Corte tutti i signori e cavaglieri, e che lui 'gli arebbe concesso per isposa la su' figliola a quello tra di loro stato iscelto dal bambino con una palla d'oro che gli voleva mettere in nelle su' manine. In nel sentire quel bando, anco Gianni pensò d'andare alla Corte, e si mettiede addosso i meglio vestiti, e gli rinuscì bucare insenz'esser visto in nella sala dell'adunanza, addove in mezzo su d'un tappeto c'era sieduto il figliolo della Principessa con la su' palla d'oro infra le mane; e abbeneché Gianni si fuss'accoccolato in un cantuccio, nunistante il bambino lo trovava sempre e la palla d'oro la deva a lui. Figuratevi lo stupore di quel Re e di que' signori! La Principessa poi diventava quasi matta in nel vedere la trascelta del su' figliolo, perché lei Gianni nun l'aveva cognosciuto mai nemmanco per prossimo, e Gianni pure raffermava che lei diceva la verità; ma diceva: - I' son tavìa il babbo del bambino. Finalmente, tutti incattiviti a bono, a spintoni discacciorno Gianni fora di lì, e il Re sentenziò che quell'adunanza nun gli garbava più per via di quello scangeo, e che lui voleva farne un'altra quando il bambino 'gli era più grande; tra un anno almanco. E l'anno fece presto a passare e i bandi viensano appiccicati al solito alle cantonate del Regno, sicché anco Gianni ci volse arritornare al palazzo. Ma prima andiede al fosso del Pesciolino e lo chiamò come lui gli aveva insegnato:
Pesciolino, mi' amante, Saresti a me costante? Mi faresti la carità?
Dice il Pesciolino: - Che vo' tu, Gianni? Dice lui: - Voglio diventare un gran signore, con di be' vestiti, cavalli, la carrozza co' servitori, cucchieri e cacciatore, e tutti in livrea. Domanda il Pesciolino: - Per farne che di tutta questa robba? E Gianni allora gli raccontò quel che gli era intravvienuto con la figliola del Re, e che lui e' l'aveva ingravidata per virtù del su' amante Pesciolino, e 'nsomma gli scoperse ugni cosa. Dice il Pesciolino: - Va', mi' Gianni, che te siei [ 321] disaudito. Dunque il giorno dell'adunanza ci viense anco Gianni con un traino alla reale, che nun ce n'era altri de' compagni, e nissuno potiede raccapezzarsi chi fusse quel gran signore e di che paese del Regno; ma in ugni mo' lo lassorno salire per insino 'n sala, e lui si mettiede a siedere assiem con gl'invitati, e quando poi cominciorno le prove per iscoprire il babbo della Principessa, il bambino insenza manco pencolare portava sempre la palla d'oro tra le mane di Gianni. Dice il Re: - Dunque vo' siete quello che ha 'mpregnato la Principessa mi' figliola? Arrispose Gianni: - Al parere 'gli è accosì, Maestà. La figliola del Re però nun stiede zitta, e principiò a urlare, che nun era vero, che lei nun lo cognosceva quel signore prutenzionoso, e che lei nun lo voleva per isposo; ma il Re la fece star cheta, perché la prova per lui era bona e intendeva di mantienere la su' parola, e subbito diede ordine di ammannire ugni cosa per le nozze della Principessa con Gianni. A questo comando risoluto la Principessa, perché Gianni non gli garbava punto, disse: - Almanco Sua Maestà m'accordi una grazia. Dice il Re: - È accordata, ma però a patto che tu sposi chi viense dal tu' figliolo trascelto per su' babbo. - Sposare, pur troppo! i' lo sposerò, - arrisponde lei, - ma che lui, prima di menarmi con seco, mi fabbrichi un palazzo con un giardino compagni al palazzo e al giardino reale e qui dirimpetto, che i' ci possa star dientro da par mio; e po' vo' anco sapere chi ènno i su' parenti. Gianni a queste domande della Principessa nun si sgomentò punto, e gli 'mprumesse che la contenterebbe subbito e a su' piacimento; e 'nsenza indugio andiede dal Pesciolino e lo chiamò fora:
Pesciolino, mi' amante, Saresti a me costante? Mi faresti la carità?
Per nun allungarla troppo, il Pesciolino fece apparire in nel mumento tutto quel che Gianni volse, e la mattina doppo, quando la Principessa si fu levata e che s'affacciò alla finestra, lei vedde un bel palazzo novo e con il su' giardino pieno di piante, di fiori e un bosco fitto di cedri, e nun ci mancava nulla e pareva [322] propio il Palazzo reale. Vienuta poi l'ora delle nozze, deccoti! comparsero la mamma e la sorella di Gianni vestite come tante Regine. Accosì bisognò che la Principessa s'accordass'a diventare sposa legittima di Gianni pigionacolo; ma lei nun era contenta, e che la nun era contenta l'addiede subbito a divedere, perché in nel mentre che loro spasseggiavano in nel giardino la Principessa coglié un bel cedro e di niscosto lo mettiede in tasca a su' padre, e quando furno alle frutta, lei disse: - I' sarei più allegra, se qualcuno non m'avessi rubo il più bel cedro del mi' giardino. A quel discorso tutti si dettano a frucarsi per le tasche e il Re lo trovò dientro la sua. Guà! poer'omo, diviense rosso dalla vergogna come un carbone acceso. E doppo un pezzo che lui strolagava per indovinare chi gli aveva fatto quel brutto scherzo, la su' figliola gli disse: - Caro padre, nun vi state a confondere e cercar chi è stato e nun vi sbigottite a codesto mo': soltanto arricordatevi, che anco io nun lo sapevo chi mi aveva 'mpregnato, eppure mi conviense star serrata in nella torre per comando vostro e pigliarmi poi lo sposo che mi fu trascelto. Il cedro 'n tasca vi ce l'ho messo io per una celia. Il Re a questo rimprovero della figliola nun ci volse rispondere. Ma, per tornare un passo addietro, bisogna sapere, che quando Gianni andette l'ultima volta dal Pesciolino, il Pesciolino gli disse, che lui partiva per un altro paese, ma che nun voleva dibandonarlo per l'affatto; epperò gli fece un regalo d'una lampana d'ottone; e, a stropicciarla questa lampana, subbito appariva tutto quel che Gianni bramava; gli raccomandò innunistante di portarsi con dimolta prudenza e a badare di nun perderla la lampana, insennonò nun c'era più rimedio; tutto l'incanto finiva. E siccome Gianni del possesso nun n'aveva, tutte l'entrate lui le cavava dalla lampana: pagava i mercanti a mesi; una stropicciatina alla lampana e la lampana buttava i quattrini secondo i bisogni per le carrozze, per i cavalli, per i servitori, e 'nsomma per ugni spesa giornaliera; e accosì lui tirò 'nnanzi per un bel pezzo. Ma per su' disgrazia Gianni la testa nun l'aveva sempre con seco, e po' con la su' moglie nun ci steva troppo d'accordo; sicché lui 'gli era sempre a girare di qua e di là, e la lampana la serbava accosì niscosta dientro un cassettone fra delle ciarpe e delle robbe smesse; la credeva più sicura a quel [323] mo', poero grullo! Un giorno dunque che Gianni era fora, viense a passare di sotto alle finestre del su' palazzo un rivendugliolo di quegli che comprano cenci e rottami d'ugni sorta. In nel sentirlo urlare per la strada, la camberiera della Principessa andiede a trovarla e gli domandò, se lei voleva dar via quel che c'era di vecchio per la casa. Dice la Principessa: - Sì, sbrattiamo della robba inutile il palazzo. Si messano tutt'addua a rinfrustare tutti gli armadi e i cassettoni, sicché trovorno anco la lampana d'ottone, e, concredendo che non fusse bona a nulla, la vendiedan per pochi soldi a quel merciaiolo ambulante. Quando però si viense alla fine del mese, che Gianni doveva fare i soliti pagamenti, cerca di qua, cerca di là, la lampana nun la trovò più addove lui la tieneva, e tutto isbigottito corse dalla moglie a sentire, se lei quella lampana l'avessi ma' vista. Dice la Principessa: - Sì, i' la vendiedi per ottone vecchio a un merciaiolo ambulante. Scrama a quella nova Gianni picchiandosi i pugni nel capo: - Oh! me sciaurato! No' siem fritti! Quella lampana era tutta la mi' rendita, perché era una lampana incantata. Allora la Principessa, che tutto capì esser successo per via d'incanti, scambio di racconsolarlo Gianni, lo mandò subbito fora del palazzo e lui riviense poero pigionacolo come prima.
E finisce accosì la mi' novella: Se vo' sapete, ditela più bella.