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mi porti il fegato della creatura morta, perché i' me lo vo' mangiare. Il servitore rimanette nel bosco, e doppo che il Re si fu dilontanato, badava a dire fra sé e sé: - Guà! che be' modi! Rubbare i bambini degli altri per poi ammazzargli. E bisognerà ch'i' l'ammazzi per ubbidienza questo innocente; che s'i' nun gli porto il fegato al padrone, la mi' testa chi me la salva? Alzò dunque il coltello e menò un colpo nel collo della creatura; ma in quel mentre che gli tirava, decco gli comparisce intra i piedi al servitore un agnello, sicché subbito trattiense la mana e pensò di cavare il fegato alla bestia, e il bambino lassarlo nel bosco, ferito a quel mo', e raccomandato alla bontà di Dio; e accosì fece. Vienuto doppo alla presenzia del Re nell'osteria, gli diede a intendere, che lui il bambino l'aveva morto e butto nell'acqua del mare, e per prova gli profferse il fegato. Il Re a quella vista godé insino 'n fondo al core; prese quel fegato, che lui credeva fusse della creatura, e se lo mangiò tutto con gran rabbia, e scramava: - In sul mi' trono tu nun ce lo barbi 'l culo! Ma che vadia pure il Re a casa sua allegro e matto per la contentezza di quell'orrendo delitto! Tanto, quel che si scrive 'n cielo nun si scansa, e 'l su' destino a chi tocca, tocca, e rinusce ugni sempre a quel mo', come il Signore Iddio ha decretato. Torniamo dunque a quella creatura sciaurata lì a diacere dientro un cesto di stipa nel bosco e con la piaga sanguinante nel collo; la piaga imperò non era mortale, perché poi rinsanichì e gli lassò soltanto una ciprigna, che si sentiva a toccarla con le dita. La mattina doppo a levata del sole un signore di quelle parti girandolava a caccia co' su' cani, e quando i cani arrivorono al cesto di stipa, addove il bambino 'gli era stato messo dal servitore, deccoti principiorno a scagnare che pareva il finimondo. Il padrone corre là subbito, concredendo che vi [