Sessanta novelle popolari montalesi/XIV

XIV. Le Tre Melangole d’Amore

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NOVELLA XIV


  • Le Tre Melangole d'Amore

(Raccontata dalla Luisa vedova Ginanni)


Ci fu una volta il figliolo d'un Re, che a nissuno gli era rinuscito mai di farlo ridere, sicché lui steva ugni sempre serio da far cascare il pan di mano soltanto a vederlo a quel modo col su' muso duro; ma gli accadette un giorno che questo giovanotto era affacciato alla finestra del su' palazzo, e deccoti vieniva per la strada una vecchiaccia redicola con una boccettina di vetro piena d'olio in mano. Quando dunque la vecchiuccia fu sotto la finestra d'addove era affacciato quel figliuolo di Re, a lei gli si sciolse una calza, e subbito s'acchinò per rilegarsela e posò la boccettina lì in sulle lastre. Al figliolo del Re gli viense in capo di fargli una burla a quella vecchiuccia; piglia un sassolino e, spenzolata la mana, glielo lassa cascare diritto in sulla boccettina, sicché gliela mandò in cento pezzi e tutto l'olio si sparse per le terre. La vecchiuccia si mettiede a fare mille versacci e al figliolo del Re, in nel vederla a quel mo' arrabinata, gli scappò via a un tratto la serietà e cominciò a ridere a crepabudelli. La vecchiuccia, sentendo quel ridere a canzonatura, s'arrivolse in su tutta imbizzita con un visaccio pieno di rabbia, e scotendo una mana disse: - Che tu non possi aver ma' pace insino a tanto che tu nun abbi trovo le Tre Melangole d'Amore! Il figliolo del Re a quell'imprecazione da prima nun ci abbadò dimolto; ma da quel giorno nun stiede più con la pace sua, e' gli aveva una smania addosso, che nun c'era rimedio. Finalmente, disperato, disse al Re su' padre: - Sentite, babbo, i' nun so quel che mi sento, ma i' nun riavrò la pace [112] [p. 112 modifica]più 'nsino a che nun ho trovo le Tre Melangole d'Amore. Lassatemi andar via a cercarle. Il Re lo voleva persuadere, che la sua 'gli era una malinconia; ma quando vedde che il figliolo s'ostinava nel su' pensieri, gli diede il permesso di girare il mondo a su' piacimento. Sicché dunque il giovanotto prese un cavallo e delle monete in una borsa, e fece partenza da casa sua. Cammina cammina, che 'gli avrà camminato dimolte centinaia di miglia, e dappertutti i paesi addomandava delle Tre Melangolo d'Amore; ma nissuno gliele sapeva insegnare e nun l'avevan sentute nemmanco nominar mai. Una sera il figliolo del Re si sperse dientro una macchia e nun gli rinusciva trovar la via per nuscirne, e girando alla ventura viense a una casina bianca e ci si vedeva un lume acceso; lui picchia all'uscio con le nocche delle dita. - Chi è? - sentiede che gli addomandava una voce di donna. - Un poero smarrito, che cerca un po' di ricovero, - arrispose. E la voce: - Oh! disgraziato. Questa 'gli è la casa dell'Orco, e se vi trova vi mangia in du' bocconi. Fuggite, fuggite. Dice il Principe: - Che volete ch'i' fugga, se nun so dov'andare? Apritemi 'nvece. O che stia fori o che stia dientro, tanto il pericolo è il medesimo. Sarà meglio che vo' mi rimpiattate in qualche logo della casa. Allora l'uscio fu aperto, e lui vedde una donna attempatotta con du' zanne di qua e di là dalla bocca. Dice lei: - E' sono la moglie dell'Orco; ma io del male nun ne fo a nissuno: ma se capita tra un po' il mi' marito e che abbia fame, anco a rimpiattarvi, lui vi trova dappertutto e vi mangia in men che nun si dice. Oh! che girate voi da queste parti? Dice il Principe: - Mi sono smarrito e vo a cercare le Tre Melangole d'Amore, e insenza di quelle nun posso aver pace nel mondo. - Eh! - scrama l'Orchessa. - Per codesto fatto nun saresti capitato male, perché dall'Orco gliel'ho sentute rammentare le Melangole, e lui lo sa addove sono. Ma i' nun vi fo salvo da su' denti. Dice il Principe: - Sarà quel che sarà. I' vo 'n cerca delle Melangole, e se l'Orco sa addove sono, i' nun posso partire insenza prima che lui me lo dica. Che ripiego ci pol essere? De' quattrini nun me ne manca. Dice l'Orchessa: - Bisognerebbe che l'Orco quando torna a casa trovass'in sulla tavola una pecora intiera arrosto e una caldaia di maccheroni, perché [ [p. 113 modifica]113] quando 'gli ha cenato per allora la carne di cristiano nun la vole più. Voi vi rimpiattate giù nel sottoscala con della carta e dell'inchiostro, e dovete scrivere le su' risposte, quando lui discorre con meco. Al Principe gli garbò quel ripiego e diede all'Orchessa i quattrini per comperare la pecora e i maccheroni, e poi preparorno una bella cena. Di lì a un po' deccoti l'Orco, e il Principe gli andette lesto a rimpiattarsi sotto la scala con un foglio e l'occorrente per iscrivere tra le mane. L'Orco nentra e comincia a arricciare il naso, e a fiutare com'un cane. Dice: - Moglie, i' ho fame!

Uccio, uccio Sento puzzo di cristianuccio: O ce n'è, o ce n'è stato, O ce n'è del rimpiattato.

Arrisponde a quella canzona la moglie: - Vo' siete matto, mi' omo, stasera. Gli è ch'i' v'ho 'mbandita una cena, che nun n'avete ma' avuto delle simili. Vienite vienite 'n cucina; mettetevi a tavola e mangiate a volontà. Quando l'Orco gli ebbe divorato tutta quella robba, e ci bevve su un barile di vino, si buttò per le terre, ché pareva un porco. Dice l'Orchessa: - Nun era bona la cena? Oh! che vi garberebbe mangiare anco un cristiano? E l'Orco: - Ora no; ma se ce n'è del rimpiattato mi servirà domani a culizione. Dice l'Orchessa per tirargli su le calze, e parlava forte, perché il Principe sentissi: - Del rimpiattato nun ce n'è; ma un giovanotto ci passò di qui e m'ha domando che gl'insegnassi addove erano le tre Melangole d'Amore. I' nun gli ho saputo dir nulla, e allora lui 'gli è ito via a corsa. Dice l'Orco: - Poero grullo! Le Tre Melangole d'Amore l'ha serrate in una cassetta del su' tavolino la Fata Morgana, che abita in sulla montagna vicina. Ma per pigliargliele poi 'gli è impossibile. - Perché? - addimandò l'Orchessa. - Addove stanno le difficoltà? - Eh! le stanno, - dice l'Orco, - che 'n vetta alla montagna si trovano da prima de' cani affamati, e nun si passa insenza dargli du' pan di coppia per uno; poi c'è un ciabattino che lavora insenza setole e insenza spago, e se nun gli si dà questa robba, lui con la lesina cava gli occhi a [114] [p. 114 modifica]chi l'accosta; poi c'è una donna che co' capelli tira su la secchia piena d'acqua da un pozzo, e bisogna dargli una fune, e insennonò sventra il cristiano per cavargli le budella e farsene la fune; poi c'è un'altra donna che spazza il forno con le mane, e se nun gli si dà subbito una granata nova lei scaraventa in nel forno chi gli capita dinanzi; poi c'è un cancello di ferro tutt'arrugginito, che sarà più di mill'anni che nun è stato aperto, e quando s'apre stride, sicché bisogna avere un fiasco d'olio e ugnerlo tutto; e passato 'l giardino c'è il palazzo della Fata, e la Fata quando sente il perché della vienuta di chi potette arrivare insin lassù, fa le viste d'ire a pigliar le Melangole, e 'nvece va a arrotarsi i denti per poi mangiare quello sfacciato. Oh! 'gli è quello il vero momento d'aprire la cassetta del tavolino che è lì a terreno, agguantare la scatola con dientro le Melangole e raccomandarsi alle gambe per riattraversare il cancello; perché la Fata dal giardino nun pole sortire. Bada te, moglie, s'egli è ma' possibile la riesca a bon fine una simile 'ntrapresa! L'Orco, doppo aver fatto quel discorso, s'addormentò come un chioppo, e il Principe 'ntanto 'gli aveva scritto tutte quelle notizie sur un foglio per nun se ne scordare; poi nuscì dal niscondiglio e con una bona mancia all'Orchessa lei la gli diede i pani, lo spago e le setole, la fune, la granata nova e il fiasco dell'olio; e il Principe mettiede tutte le robbe in un panieri, si avviò in verso la montagna, e, sali sali, la mattina fu 'n vetta. Lì, che ti vo' vedere? deccoti i cani, che parevano il nabisso; ma il Principe, lesto, tira fora i pani e glieli butta: - Tienete, tienete, poere bestie! Vo' avete fame, eh! Più 'n là c'era il ciabattino, che arrabinato rassettava un par di scarpe rotte; ma nun ne vieniva ma' a capo. Come 'gli aveva da fare insenza lo spago e le setole? Alza gli occhi lui e subbito bocia al Principe: - Vieni, vieni qua, ch'i' t'accechi con questa lesina. Dice il Principe: - Ma i' v'ho porto setole e spago per lavorare. Tienete. Il ciabattino s'abbonì e il Principe via. Doppo pochi passi la donna che tirava su l'acqua co' capelli gli urlò: - Oh! appunto te, ché delle tu' budella mi vo' fare una bella fune. Ma il Principe insenza 'ndugio gli porse la fune, e lei tutta contenta lo lassò passare alla [ [p. 115 modifica]115] libbera. Poi viense alla donna che spazzava il forno con le mane, che subbito si mettiede a dire: - Qua, ch'i' ti butti 'n forno. Finalmente i' l'avrò un bel frucandolo! Arrisponde il Principe: - Donnina, nun vi state a 'ncomodare, ch'io ho qui per voi una granata nova nova. La donna s'acchetò allora, e pigliò la granata insenza più guardare al Principe. Lui poi arriva al cancello e gli dà una spinta per aprirlo; ma quello strideva e per la ruggine nun si poteva ismovere; sicché dunque il Principe s'affaccendò a ugnerlo tutto con l'olio del fiasco, e quando l'ebbe unto il cancello si spalancò da sé. Entrato che fu il Principe in nel giardino, s'arrivolse addirittura al palazzo, e a terreno c'era la Fata Morgana ritta 'n piedi; un donnone smenso da far paura, con un cappellone 'n capo che pareva un tetto. Dice la Fata al Principe: - Che vo' tu nel mi' giardino? Arrisponde lui: - Nient'altro che le Tre Melangole d'Amore, E la Fata: - Ora te le vo a prendere. Aspetta un po'. Ma la Fata era ita in cammera a arrotarsi i denti per mangiare quel cristiano: lui però non fu minchione a aspettarla; apre a furia il cassetto del tavolino della Fata, agguanta la scatola che ci vedde dientro, e via gambe mie! 'gli andeva come 'l vento. In quel mentre rideccoti giù la Fata e s'accorge che il Principe gli aveva rubbato le Melangole, sicché principia a sbergolare: - Cancello, sèrrati. E 'l cancello: - No davvero, ch'i' nun mi serro. M'ha unto tutto lui, doppo tant'anni ch'i' n'avevo bisogno. La Fata allora: - Donna del forno, buttacelo dientro. E la donna: - Noe: e' m'ha regalo una bella granata nova, e da voi nun c'era stato ma' verso di farmela comperare. La Fata daccapo: - Oh! te del pozzo, affogalo. E quella: - Ma che vi par egli? Doppo che lui m'ha dato una bella fune e i' tiro su l'acqua insenza fatica. Urla la Fata: - Ciabattino, via, cavagli gli occhi. E il ciabattino: - Se nun m'avessi porto come lavorare a modo. La Fata mezzo disperata bocia più forte: - Cani, almanco voi ubbidite. Mangiatemelo vivo. Dicono i cani: - Che! Si moriva di fame con voi, e lui ci ha porto 'l pane. Nun si vole mangiarlo. Accosì al Principe gli rinuscì scansare tutti i pericoli, e con la scatola sotto 'l braccio arrivò al piè della montagna. [116] [p. 116 modifica]Il Principe stracco si mettiede a siedere sur un sasso, e moriva di voglia di vedere le Melangole d'Amore come le fussano. Apre dunque la scatola, ne tira fora una e la squarcia, e ne nasce una bellissima ragazza tutta 'gnuda, che comincia a gridare: - Acqua, acqua! Dice il Principe: - Qui dell'acqua non ce n'ho. - Allora torno dalla mi' Fata, - quella gli arrispose, e insenz'altro sparisce. Il Principe rimase male, e tutto dispiacente riserra la cassetta e ripiglia il su' viaggio. Doppo un pezzo il Principe 'gli arriva in fondo a un prato con l'idea di riposarsi. Dice: - Ne vo' vedere un'altra di queste Melangole. La piglia e l'apre, e anco da quella vien fora un'altra bellissima ragazza tutta 'gnuda che gridava: - Acqua, acqua! Ma l'acqua nun c'era, sicché lei pure disse: - I' torno dunque dalla mi' Fata, - e in un battibaleno non si rivedde più. Figuratevi un po' voi se al Principe gli girava d'aver durato tanta fatica, perché gli toccassi poi quella sorte! Si rizza addolorato con la su' scatola e séguita la strada, e nun si fermò infintanto che nun ebbe trovo una fontana di acqua fresca e limpida. Dice il Principe tra di sé: - Qui poi si vedrà se l'acqua ci manca. Prende la terza Melangola, la spacca e deccoti una ragazza, ma anco più bella di quell'altre dua, che pure erano bellissime; e quando lei cominciò a urlare: - Acqua, acqua! - il Principe con le mane gliela buttava addosso, sicché quella si rivestiva di 'gnuda che era. Quando poi fu vestita, dice la ragazza: - Ora i' sarò per sempre la vostra sposa. Menatemi a casa. Il Principe, tutt'allegro a simile vista, pigliò la ragazza per la mana, e doppo dimolti giorni di cammino arrivorno tutti e dua alle porte della città di lui. Ma lui pensò: - I' nun posso menare accosì insenza carrozze, né cavalli, né servitori, né la Corte questa mi' sposa al palazzo reale. 'Gli è meglio che la lassi in qualche locanda a aspettarmi, perch'i' la vienga a prendere a uso di Regina. A questo modo s'accordò con un oste, che lui gli tienessi custodita la ragazza per qualche giorno, e il Principe se n'andiede da su' padre, e gli fece il racconto di quel che gli era intravvienuto, e mettiede a ordine tutti i preparativi delle feste per lo sposalizio. Bisogna sapere ora, che l'oste aveva una figliola brutt [p. 117 modifica]a e [117] mora, che nissuno la voleva per moglie, e fu lei quella che 'gli ebbe 'n consegna la sposa del Principe per custodirla e guardarla insintanto che lui nun ritornava a pigliarla. Una mattina che la Mora attigneva l'acqua dal pozzo, alla finestra di sopra ci steva affacciata la sposa del Principe; ma la Mora nun se n'era addata. La Mora guarda 'n fondo al pozzo, vede la figura della sposa, e lei però si credé che fussi la su' propia, e scrama: - Oh! com'i' son bella! Che viso, che gote latte e sangue, che mane i' ho io! E tutti dicono ch'i' son brutta? Già, 'gli è l'astio. In nel sentire quelle vantazioni redicole la sposa del Principe cominciò a ridere forte, e la Mora a quel riso s'arrivolse 'n su e s'avvedde del su' inganno; sicché la prese la rabbia e biascicò 'ntra di sé: - Sguaiataccia 'gnorante! Tu me l'ha a pagar caro la tu' canzonatura. Subbito salisce 'n cammera e dice alla ragazza: - Signora sposa, 'gli è ora di pettinarsi. Arrisponde lei: - Ma s'i' nun n'ho punto bisogno. Nun vi state a 'ncomodare. - Tant'è, - dice la Mora. - Il Principe m'ha ordinato ch'i' la tienga a modo, e però bisogna bene ch'i' la pettini. La sposa dunque per accontentarla si mettiede a siedere, e la Mora comincia a far le viste di sciorgli i capelli; ma tutt'a un tratto, tira fora uno spillo fatato e lo ficca tutto dientro al cervello della sposa, che subbito si trasficura in tortola e vola via dalla finestra. Passati più giorni, deccoti una mattina il Principe con un gran séguito di carrozze, di guardie e di dame a ripigliare la sposa. Chiama l'oste e gli dice: - Addov'è la ragazza? Arrisponde l'Oste: - Ma! dev'esser su. Lei la consegnò alla mi' figliola e bisogna ridomandarla a lei. Il Principe sale in cammera e c'era la Mora a aspettarlo. Gli dice lui: - La mi' sposa! E quella insenza scomporsi: - Deccomi, i' son io. A quelle parole gli pareva di sognare al Principe, e si mettiede a far del chiasso; ma 'nsomma la Mora gliene diede a intender tante, che lui finì con credere propio che la Mora fussi la su' sposa, a quel mo' imbruttita dal troppo star serrata a aspettarlo; e siccome era la su' sposa oramai, bisognò bene che se la portassi con seco al palazzo: la fece salire però in nella prima carrozza tutta chiusa e poi in un quartieri niscosto, e nun volse che la vedessi nimo. [118] Accosì [p. 118 modifica]passorno diversi mesi, e la Mora, diventata moglie del Principe con quel tradimento, fu scoperta gravida. In quel mentre al giardinieri reale gli era però intravvienuto per più giorni, che stando in nel giardino, ugni volta che toccava i limoni, lui si sentiva chiamare, e domandava: - Chi è? Chi mi vole? - e finalmente s'accorge che una tortola gli parlava da un albero. Dice la tortola: - Che fa il Re con la su' Mora? E il giardinieri: - Si sazia e s'innamora. E quella: - E io, poerina, svolazzo. Il giardinieri corse a raccontare questa maraviglia al Principe, e anco lui andiede con tutta la Corte e su' padre e su' madre a vederla, e quando tocco i limoni, la tortola gli fece i medesimi discorsi. Allora, a forza di briciole di pane, gli rinescì al Principe che la tortola gli vieniss'in sulle spalle, e la portorno al palazzo e la tienevano lì sempre addosso a minuzzini, siccome un uccello raro dimolto. Quando la Mora vedde la tortola, lei si sentiede tutta rimiscolare, e cominciò a dire che aveva male, che l'appetito gli era ito via, e volse che la mettessano a letto, e lì steva come se fusse 'n fin di vita; e i medici dicevano, che la malattia gli vieniva dalla gravidanza, e che bisognava trovare qualche cosa che gli garbassi per mangiarla. Dice la Mora: - Nun c'è altro che quella tortola arrosto. Me n'è vienuta la voglia, e se nun me la danno, i' morirò dicerto assieme con la creatura. Alla Corte questo gli pareva un capriccio, e nun gli volevano dar retta alla Mora; ma il Principe disse: - Si tratta della mi' moglie, sapete, e della mi' creatura. Per una tortola poi nun vo' mica che caschin morti tutt'e dua. E fu dato ordine di ammazzar la tortola e cucinarla arrosto. Appunto la tortola l'aveva in quel mentre la Regina in nella su' cammera e la tieneva 'n sulle ginocchia, e badava a dire: - Poera tortolina! Tu sie' pur male capitata! Dunque i' t'ho a perdere e ti mangeranno arrosto? E infrattanto la lisciava con le mane. Nel lisciarla a un tratto la Regina sente che la tortola ha un bernoccolino in sulla cucuzzola del capo: raspa con le dita, tira e cava fora uno spillo, e a malapena nuscito, la tortola ridiventa quel che 'gli era prima, la sposa del Principe. La Regina, a quella vista, da prima s'impaurì; ma poi la ragazza [ [p. 119 modifica]119] cominciò a raccontargli chi lei era, e perché lei si trovassi a quel modo trasficurita in una tortola. La Regina allora manda a chiamare diviato il su' figliolo, che a rivedere la su' legittima sposa fu quasimente per cascare m terra svienuto dalla consolazione, e si scoperse accosì tutto 'l tradimento della Mora. Insenza pensarci su più che tanto, vanno dalla Mora e gli presentano la sposa. Dice il Principe: - Deccovi la tortola arrosto! La Mora a quella vista e a quelle parole saltò giù da letto, che nun aveva più male, e tremava come una foglia al vento. Dice il Principe: - Nun aver paura, ché, abbeneché tu ti meriti anco la morte, nun ti farò niente di male. Ma va' via subbito dal mi' palazzo, e che te nun sia ardita di rimetterci ma' più i piedi. Accosì la Mora se n'andiede svergognata, e gli sposi rimasano a godersela tutta la vita, perché il Principe ebbe sempre pace doppo aver trovo le Tre Melangole d'Amore.