Sermoni giovanili inediti/Sermone XVII
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SERMONE DECIMOSETTIMO.
LA RELIGIONE.
Il vïator, che tacito e pensoso
Fra le notturne tenebre si aggira
Per campo ignoto e solitario, il piede
Incerto move, e del cammin la noia
5Mal sopportando e la fatica, un mesto
Volge sospiro alle paterne case,
Ai fidi amici, alle dilette cure;
Senza che dell’amara lontananza
In quella solitudine ritrovi
10Lena e conforto il cor da fosche e tetre
Larve turbato. Ma del primo albore,
Se il raggio spunti a colorare il vario
Aspetto delle cose, egli del verde
Prato, dei lieti colli, e delle selve
15Annose, o della tremula marina
Alla vista s’allegra, e con secreta
Dolcezza inesprimibile risponde
Al dolce canto, onde al nascente giorno
La variopinta aligera famiglia
20Con amoroso desïar saluta.
Tale colui, che cieco e senza guida
Iva ramingo per la selva oscura
Dell’error, se del ciel scorge l’amica
Luce, che limpidissima rischiara,
25E benigna soccorre ed avvalora,
Dietro al fidato lume a certo segno
Mirando giunge; nè per l’aspro e lungo
Di triboli cosparso arduo sentiero
È vinto da stanchezza e da paura.
30Parla possente in noi di Dio la voce,
O sia che il guardo attonito contempli
Seminato di stelle il firmamento;
O l'immenso oceán, che i mal vietati
Delle genti confini apre ed abbraccia;
35O la ricca di piante e di animali
Terra, ch’ora s’avvalla, ed or le nubi
Tocca coll’alte cime, e cento influssi
Di benefica tempra o di tremenda
Nelle riposte viscere nasconde,
40O di fuor traggo, intorno sparge e serba,
Ai prodigi dell’arte e di natura
Inesausta materia. O sia che l’uomo
L’arcano magisterio in sè ricerchi
Della vita e del senso, o dell’eterna
45Angelica sostanza, onde simíle
È fatto al suo Fattor; tutto d’Iddio
La somma Sapïenza e Potestate
E l’infinito Amor, tutto gli svela:
Tal che ad ossequio e a riverenza inchina
50L’anima innamorata, che discioglie
Inno di lode e di letizia pieno.
Sono il vero ed il ben la meta nostra,
A cui ne scorge con superna face
Quegli che l’immutabile governo
55Tiene del mondo, e la mutabil sorte
Di se medesmo all’uom quasi confida;
Perchè di pena o di mercè, siccome
Di colpa di virtude il merto porti,
Col libero voler degno si renda.
60Ma stolto, ahi troppo, chi di sè presume,
E con orgoglio temerario sprezza
Il verbo, che infallibile ai mortali
A bene amare e a ben oprare insegna!
Stolto, chè in false imagini ripone
65La speranza, onde coglie ingrato frutto
Di amaro disinganno e pentimento
Amaro e tardo. Indomito desío
A ricercare a vagheggiar ne sforza
Quella, che fuor della diritta via
70Illude o sfugge amabile sembianza
Del bello di lassù, donde s’irraggia
La caduca beltà, che a farne fede
Fra noi risplende; e al centro primo e solo,
Ove si gode del beato riso,
75Ne chiama e porge per salire aita.
Santa legge d’amor, come ragioni
Soavemente al cor quando il peccato
Condanni e vinci, e il peccator vuoi salvo!
Quando l’offesa col perdon ricopri,
80E della vita per l’altrui salvezza
Il sagrifizio apprendi! All’ostro e all’oro,
Se una lacrima costi, il tergo volge
Chi dello spirto tuo s’informi e viva.
Da superbia e viltà libero e franco
85Ai deboli soccorre, e del suo petto
Scudo lor fa contro nemica rabbia;
Nè soffre di toccar la mano impura
Che di sangue innocente ancora grondi.
Nell’uom, ch’è fatto di fortuna gioco,
90O infermo giace, o misero travaglia,
Un amico, un fratello additi, e freddo
Non lasci il core e non asciutto il viso;
E al corpo macro, alla digiuna mente
Qual si convenga salutar vivanda
95Sollecita ricordi, e non consenti,
Che tarda l’opra alla pietà risponda.
Chi di guida, di freno e di conforto
Al dubbio passo, al lusingar fallace,
Ed al certo soffrir nel vario corso
100Della vita mortal non abbisogna?
Onde la fida scorta ed il possente
Ritegno, o l’ineffabile ristoro,
Che pace infonde e a benedir consiglia
L’arcana prova del dolore? Aperto
105Il gran libro di Dio parla alle genti
Di veritade, di giustizia e amore
Parole eterne, che la cieca insania,
O l’ipocrita usanza, o l’empia brama
Invan rinnega, od a contraria parte
110Volger procaccia. Pallido e confuso
E di se stesso fuor quasi si pente,
O si vergogna delle oneste e pie
Opre chi teme del maligno volgo
Lo scherno e l’ira; e con invidia guarda
115Come rida fortuna e il mondo applauda
Spesso ai più tristi. Ma di nuova forza
Si rinnovella ripensando a Lui,
Che dove occhio mortai mai non penètra
Securo legge e gl’íntimi consigli,
120Non men che l’opre manifeste, scrive
Nella pagina sua: chè la baldanza
Tosto non fiacca, e all’umile virtude
La corona serbando a dì più tardi,
Sempre l’una confonde e l’altra esalta:
125E decreto di Dio non si cancella.