Sermoni (Chiabrera)/VI
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VI
AL SIG. LUCIANO BORZONE.
Borzon, tosto che torni il Sol nel Cancro,
Fornirà l’anno, ch’io lasciava il Tebro,
E tornava a trovar mia Siracusa.
Come giunsi a Baccano, io diedi bando
5Al pensiero dell’ostro de’ Romani,
E dissi al Lettichiero: o Lettichiero,
Se mai non ti si azzoppi alcun de’ muli,
Ne mai ti venga men ricca vettura,
Dimmi, scorgesti tu per alcun loco
10Persona, che sembrasse esser felice?
Com’ebbi così detto, egli distese
La destra mano, ed additommi il Sole.
Rispose poi: Per quel lume di Dio!
Ho condotti soldati, ed ho condotti
15Mercanti, or Cittadini, ed or Baroni,
Ed ora Monsignori, or Cardinali,
Giovani, vecchi, e di ciasuna etade,
Ne mai m’avvenne d’incontrar pur uno
Che dello stato suo fosse contento.
20A questo è mosso un forte piato, a quello
Il mal francese ha ben tarlate l’ossa;
Chi languisce bramando una Cornetta
D’uomini d’arme; chi sbandisce il sonno,
Desiando il Toson del re di Spagna;
25Cosi falta quaggiù trovo la gente.
Cotal sua contentezza..... O contentezza
Togli se sei cotal: Così dicendo
Le mani alzò con ambedue le fiche,
E fece un salto. Io nel mio cor dicendo:
30Deh guarda qual Plutarco o qual Platone
Ho ritrovato per la via di Roma?
Indi meco medesmo io ripensai,
Come sono quaggiù nostri desiri
I nostri manigoldi. Io son ben certo,
35O Borzon, che la fiera di Piacenza,
E di Nove e di Massa altri decreti
A’ suoi propone, e che l’aver tesoro
Tocca, secondo lor, l’ultima meta
Ma che? l’oro non passa oltra il sepolcro;
40Molti qui sulla terra abbraccian ombre:
Gracchi il mondo a sua posta fortunato;
Quaggiuso è l’uomo di virtude amico.