Scritti politici e autobiografici/Viltà
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VILTÀ1
Il Tribunale Speciale ha ripreso a funzionare in grande stile. Quattro, sedici, diciotto, ventidue anni di galera, — secoli di galera per diffusione di stampati, ricostituzione di partiti disciolti, offese a lui, Mussolini. Tutte le provincie italiane sfilano attraverso i loro più nobili rappresentanti nel gabbione di Roma. Ma chi sfila? Chi sono questi uomini, questi condannati, come si chiamano?
Non si sa. I giornali fascisti, dopo aver soppresso la cronaca dei processi, hanno ricevuto l’ordine di sopprimere anche il nome dei condannati. Gli oppositori da ora in poi si seppelliscono come i morti poveri, come Malatesta, nella fossa comune, nella prigione comune.
«Un gruppo di sobillatori di Padova», «Un abitante di Genova», «Un gruppo di Bari»....
Anche il nome hanno tolto a questi nostri compagni. Perché nessuno conosca il loro sacrificio, il loro eroismo. Perché sulla loro condanna non si possano inscenare «speculazioni».
A ordinare la cancellazione dei nomi è stato l’ex-sovversivo, e l’uomo che eresse la sua fortuna politica in una condanna, su un processo clamoroso; l’uomo che il 25 novembre 1911 fu condannato a pochi mesi di prigione per aver sostenuto lo sciopero generale sabotatore contro la guerra di Tripoli, divelti i binari della ferrovia per impedire che i soldati partissero. Lui, disertore, ribelle emigrato.
Lui.
Benito Mussolini.
Ciò è vile, ciò è abietto. Glielo diciamo con molta calma, dolenti solo di dover scrivere dall’estero, dove si sembra al sicuro. Ma egli sa che queste cose gliele abbiamo dette e scritte in Italia, dalla prigione e dal confino, quando eravamo nelle sue mani. Possiamo perciò ripetergliele da Parigi.
Qual fine Benito Mussolini crede di raggiungere sopprimendo il nome dei condannati? Impedirci di esaltare le vittime, di concentrare l’attenzione dell’opinione pubblica su casi singolari? Impedirci di pubblicare nomi, e far apparire per condannati degli arrestati in attesa di giudizio? È probabile. Ma il calcolo è sbagliato. I combattenti rivoluzionari che Mussolini, con una procedura unica nella storia della reazione, ricaccia nell’anonimo, risorgono come folla, come popolo. Il «gruppo di sobillatori di Padova» diventa Padova.
Il «gruppo di sobillatori di Bari» diventa Bari.
La galera è l’Italia.
Siamo in luglio, luglio italiano. Ricomincia per Gramsci, Rossi, Pertini, Bauer, Terracini, Roberto, Lucetti, Calace, Schicchi, Zaniboni, Spinelli, Tulli, Andreis, Traquandi, Cianca, Delfini e gli altri molti, la fatale estate.
Nelle celle si soffoca. La luce abbaglia di giorno. Di notte le colonne di cimici attaccano.
Passano i giorni, lunghi, eterni. Il prigioniero sogna: verrà la liberazione? I compagni morti in galera sono già diecine. Altri stanno morendo. Le suore perseguitano Camilla Ravera, Giorgina Rossetti, le carcerate proletarie.
Facciamo forza a noi stessi.
Non imprechiamo.
Intensifichiamo invece il lavoro.
Verrà il giorno della resa dei conti: verrà la liberazione.
Note
- ↑ Da «Giustizia e Libertà»: 27 luglio 1934.