Scritti politici e autobiografici/Il silenzio di Roma
Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | Allargare gli orizzonti | La lezione della Sarre | ► |
IL SILENZIO DI ROMA1
Roma è muta. Il fascismo ha compiuto il miracolo sopprimendo le trombe degli autoveicoli. I forestieri non lasceranno più la città eterna spaventati dal rumore. I cittadini potranno dormire. «L’equilibrio psichico e vegetativo» non sarà più turbato. Finito il pericolo «di coagulazioni delle proteine animali», di «cattivo funzionamento del fegato».
«L’eliminazione avvenuta senza attrito — così continua lo «Angriff» quotidiano nazionalsocialista, citato a gara dai fogli fascisti — del rumore stradale, può farci riflettere: si è sofferto per questo rumore, lo si è accettato come un male inevitabile e ci si è adattati ad esso. Ed ora, tutto ad un tratto, in seguito a una saggia decisione, si constata che il male si poteva benissimo evitare e che per la durata di anni si era stati esposti ad un tormento inutile. Altrettanto avviene in molti altri campi della vita, senza che noi ce ne rendiamo conto».
Quale grande verità ha detto l’«Angriff» senza saperlo! Provate, lettori, a sostituire nel brano citato la parola «dittatura» all’espressione «rumore stradale». Il periodo corre a meraviglia. Anche la dittatura gli italiani l’hanno accettata come un male inevitabile. Ci si è adattati ad essa. Ma se ne soffre. Mentre basterebbe una saggia, un’energica decisione...
In luogo della soppressione della dittatura, gli italiani ottengono la soppressione delle trombe e dei klaxon: affinché i cittadini dormano, dormano sempre, di notte e di giorno, e le proteine animali non si coagulino.
Oh commovente sollecitudine del regime! Quale cura ha esso mai per i nervi dei sudditi! Non importa che gli italiani non possano vivere, parlare liberamente; non importa che la gente del lavoro debba patire umiliazioni e fame senza nome; che milioni di uomini debbano curvare la schiena sotto la minaccia della galera. Non sono questi i fatti capaci di rovinare i nervi dei sudditi, di far coagulare le proteine animali turbando il funzionamento del fegato. Quel che conta, nell’italico regno, sono le trombe strombettanti, lo spavento dei forestieri — sottodittatori di Italia — il rumore stradale.
Il silenzio di Roma è simbolico. È il silenzio delle tombe e delle prigioni. In prigione effettivamente i rumori sono ridotti al minimo. Qualche grido soffocato, qualche nenia, e la notte il suono delle inferriate percosse col ferro di controllo. Così è Roma. Così è l’Italia tutta. Silenziosa, prona, disciplinata. Non manca ormai che inventare il linguaggio muto perché i sudditi non turbino con la loro favella i suoni delle generazioni imperiali e la fatica operosa del Capo.
Un solo rumore, una sola voce può levarsi in Italia: la sua. E dopo la sua, la risposta fragorosamente sadica della folla ridotta a polvere umana che grida DU-CE, DU-CE.
È questo rumore abbietto di servitù che occorre far cessare in Italia. L’Italia è silenzio: sia pure. Ma che sia tutta silenzio. Che il dittatore giri solo coi suoi sgherri per le vie silenziose. Che un silenzio fondo risponda alle sue grida e alle sue smorfie.
Il silenzio dei popoli è la condanna dei potenti.
Nel silenzio universale si sente meglio il rumore delle catene.
Note
- ↑ Da «Giustizia e Libertà»: 4 gennaio 1935