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Manoscritto di un prigioniero - Capitolo XI

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CAPITOLO XI.


Mi par mill’anni che passi quest’ora! Uh! le finestre son sempre chiuse, – nessuno si fa vivo. Non so più quel che fare; sono andato su e giù lungo la strada come un pendolo, e le gambe si protestano, – non ne vogliono più sapere. Che diavolo! quel Signore non ha discrezione! ora potrebbe alzarsi; – il sonno soverchio ingrossa il sangue, e, quel che è peggio, fa ottusa la testa. È vero ch’ei può farne di meno, – ha una buona borsa, – ha più del bisogno. Giova tanto poco la testa! per i più non la vedrei necessaria, se non fosse che la portassero per farsela tagliare. A me fin qui non ha reso che il dolor di capo, e Dio voglia che resti lì. – Ma le finestre son sempre chiuse! O pazienza, pazienza! è passato un carro, che ha fatto rintronare anche i tegoli, ma il Signore non l’ha sentito. Si vede bene, che ha una buona coscienza! dormire di quella fatta! come farà stanotte? felice lui! non ha debiti, non ha inquietudini, e però fa tutta una tirata. Eh! non son bagattelle! son due ore buone che dorme; – il Sole è andato sotto, che non è poco; – già già si fa buio. Oh! si desti, mio bel Signore, che farà [p. 52 modifica]un’opera meritoria per me. Se potesse sognarsi, ch’io son qua fora, e mi struggo per lui, già si sarebbe levato. Sì, ho un bel dire; egli dorme, e lascia vegliar chi vuole.

Tanto tonò, che piovve. Ho sentito rumore, – qualche sedia rimossa dal luogo. Eccole finalmente riaperte quelle benedette finestre! Non entro più in me dall’allegrezza! Potrò nuovamente veder qualche cosa, – potrò raccontarla. Mi son sentito rinascere; – viva il mio buon Signore! egli ha dormito di pro, – si scorge agli occhi, alla faccia, alle membra che stira saporitamante. Ora beve un bel bicchier d’acqua; – eh! ci vuole un bel bicchier d’acqua; – sta nelle regole di chi sa ben vivere. – La buona vita fa la buona morte. Ora si affaccia alla finestra canterellando un’arietta; – mi par della Gazza Ladra, se non m’inganno; – e intanto si aggiusta sulla fronte una bella ciocca di capelli castagni, e intanto respira l’aria fresca della sera, che finisce di risvegliarlo, e lo rimette nello stato di prima.

Appena il mio Signore è ben desto, scuote risolutamente la testa in atto di accingersi a qualche facenda di rilievo. Staremo a vedere quello che saprà fare il Signore. Intanto dal movimento della bocca mi accorgo, che ha dato un ordine a qualcheduno ch’io non posso vedere, perchè rimane nel buio. Già me lo immagino sarà il soprastante. Già ho capito il tenore dell’ordine: era di accendere il lume; – non pensate mica un lume solo; – tutt’altro! – questo non usa, che in casa vostra, quando non è Luna piena, perchè allora prendete quel della Luna, che non ha bisogno di essere smoccolato, e dura la notte; – ma avranno acceso benissimo la mezza dozzina dei lumi, e più ancora. Guardate che luce [p. 53 modifica]larga e brillante prorompe fuor delle stanze! non vi sentite rallegrare a guardarla? È incontrastabile, – i lumi son sei, se non son otto; – vorreste negar la luce?

Ma stiamo attenti a quello, che vuol fare il Signore. Ecco, egli ha tolto in mano un bel mazzo di penne nuove; – ecco, ne tempera una, – ne tempera due, – ne tempera tre. Badate là, – ora prende un quaderno di carta, e la esamina di contro al lume. Per Bacco! è fina davvero quella carta, e indorata sugli orli! Eh! non vuol mica scrivere al fattore; si vede chiaro, che scrive a dei pezzi grossi!

Non vi movete. Che ve ne andate di già? – ora viene il meglio. Ecco, il mio Signore s’è messo al tavolino; – ecco che ha già cominciato. Fin qui non v’è molto da raccapezzare, ma pur qualche piccola cosa. Per un curioso tutto è buono; – il minimo che mena a delle scoperte importanti. Dall’ombra, che si disegna sul muro, vedo la sua testa via via inclinarsi e rilevarsi; – vedo tuffar la penna; – ora s’è grattato dietro all’orecchio destro; ha stracciato un foglio; – la lettera non veniva a modo suo; – un foglio nuovo, e da capo. Ora sì, che tira via, – ha trovato la strada, – non si ferma un istante, – la passione gli guida la mano. Oh! se la passione crescesse! se lo impegnasse a profferire ad alta voce quello che pensa, e che mette in carta tacitamente! Dall’allegrezza farei un salto mortale. E badate, spesso succede; e quando la passione dice davvero, non v’è più ritegno. Dimandatene agli scrittori; – pare che quel dir forte l’idea, che vanno a scrivere, la faccia completa, come la mente la concepisce. E di fatti è così; la declamazione è il colorito del pensiere. Ma zitti! zitti! il Signore s’impegna; – sento [p. 54 modifica]un mormorio; – crescerà, se Dio vuole, – diventerà voce scolpita; – diventa, diventa! Oh! io sono un uomo felice, io credo nella mia buona stella! – Ascoltiamo: – uh! se non fosse il vento, che me le mangia mezze, sentirei tutte le parole; ma mi contento; ascoltiamo:..... una nera calunnia.... così non si tratta un gentiluomo.... badare a ciò che si fa.... scoprire la cabala.... guai a lui!.... so maneggiare una spada.... Siamo il più..... sostegno dell’ordine.... la canaglia in prigione, sta bene; ha..... d’un freno.... l’anarchia regnerebbe.... le..... classi vanno rispettate.... riprese, ma non punite..... la canaglia si crede qualche..... e la Ragion di Stato è.... princìpi son conosciuti..... innocente.... non deroga a sè stesso.... riparazione pubblica.... conveniente alla mia condizione... servo – Cavaliere Scipione Frullanotti Marzocchi.

Oh! vediamo, se la metto insieme; – ho tanto in mano da ripromettermene bene.


«Eccellenza!

«Fino di stamane io sono stato tradotto nelle prigioni di questa città, senza poterne indovinare la vera cagione. Vado convinto, che Vostra Eccellenza, appena saputo il caso, darà tutte le disposizioni necessarie, perchè io sia quanto prima rimesso in libertà. Credo fermamente, che una nera calunnia abbia motivata una tal misura. Però così non si tratta un gentiluomo. Conviene badare a ciò che si fa in materie tanto delicate. Impegno la giustizia di Vostra Eccellenza a scoprire la cabala, e l’uomo perfido, che l’ha tramata. Guai a [p. 55 modifica]lui! se arrivo un giorno a conoscerlo; – so maneggiare una spada, e sul terreno vedremo a chi sta il buon diritto. Noi gentiluomini siamo il più saldo sostegno dell’ordine, e meritiamo assolutamente riguardo. Che vada la canaglia in prigione, sta bene; ha bisogno d’un freno, e senza questo l’anarchia regnerebbe. Vostra Eccellenza conosce e sente, che le alte classi vanno rispettate, e quando cadono in fallo vanno riprese, ma non punite così volgarmente. Se no, la canaglia si crede qualche cosa, – l’ordine si confonde, e la Ragion di Stato è perduta. Io fortunatamente non sono nel caso di aver commesso nessun fallo. I miei princìpi son conosciuti abbastanza; – sono innocente; – e un gentiluomo par mio per nessuna bassezza non deroga a sè stesso. Mi dirigo pertanto a Vostra Eccellenza, perchè l’onor mio abbia una riparazione pubblica, immediata, e conveniente alla mia condizione. Al tempo stesso Vostra Eccellenza accolga le proteste della mia più alta considerazione.

«Di Vostra Eccellenza


«Umilissimo e Devotissimo Servo
«Cav. Scipione Frullanotti Marzocchi.»


Aha! mi sento riavere. Mi è costata fatica, ma pure l’ho messa insieme. Eh! quando mi picco, mi picco. Ho fatto più d’un naturalista, quando da pochi frammenti d’ossa ricompone in un insieme perfetto la struttura d’un corpo qualunque. Sì, ho fatto più d’un notomista; – il corpo è una cosa certa, e definita; – lo spirito è vario, incerto, e mobilissimo. Son contento come una pasqua! contento come un [p. 56 modifica]sonettista quando ha trovato una bella chiusa! Sì, ne son contento, ne vado superbo; – confrontiamo la mia coll’originale, e scommetto che non ci corre una sillaba.

Ma va, che l’ho fatta bella! Un po’ col rimettere insieme la lettera, un po’ col compiacermene, il tempo è trascorso, e il mio Signore ha scritto le rimanenti, ed ora v’è sopra a calcare il sigillo. Ma va, che l’ho fatta buona! e adesso come si stilla? è una rottura, che non si accomoda; – chi è che sappia leggere una lettera già sigillata? Potessi averla nelle mani, farei l’estremo di mia possa; – ma vàlle a toccare, se ti riesce! Eccole là! io magari le toccherei! – ma il Signore non ci è per nulla in questo mondo? Eh! non c’è rimedio! eccole là! – il morto è sulla bara; – son quattro giuste giuste; – posso sfogarmi a leggere la sopraccarta, mercè delle lettere lunghe un mezzo dito: – basta! è meglio poco che nulla; – eccole là! son quattro in fila, nè più nè meno; si leggono come di giorno; – la prima al Marchese, l’altra al Ministro, la terza all’Arciprete, la quarta alla Contessa. Poffare! si vede bene che al Signore è già venuta a noia la prigione, che vuole uscirne per fas e per nefas. Tutto vien messo in moto, tutto a contributo, per uscir di prigione; – la toga, e la spada; lo scrigno, la cantina, e la donna. ― In prigione ci hanno a stare i poveri e i matti. ― Voi parlate come un libro, mio bel Signore. Sì, venite fuori, anch’io lo desidero; – così potrò vedere più da vicino i fatti vostri. Voi n’uscirete senz’altro, – avete troppe ragioni dalla vostra; – solamente quei titoli, che a profferirli soltanto fanno tremare i chiavistelli! Sì, mio bel Signore, voi n’uscirete, e presto; – io lo desidero anch’io, per voi, e per me. [p. 57 modifica]

Ma che sia quella carticina breve breve, elegante elegante, che il Signore guarda e riguarda, di sotto e di sopra, e a guardarla gli sfavillano gli occhi? Forse un biglietto da visita? Eh! giusto! è un billet doux, – è una cosa, che mi passa l’anima per non averla sentita. Scrivermi un billet doux sotto gli occhi e non poterlo sentire! Se ci penso un momento di più, addio cervello, addio tutto. Un billet doux! non vi par di dir nulla, un billet doux! Io che per leggere un billet doux non avrei quasi scrupolo di portarlo! Io, che, se potessi leggerli tutti, non vorrei far più altro; – lascerei tutto, il teatro, la taverna, la scienza, i crocchi, l’amore, i vizi e le virtù; – non mangerei, non dormirei, farei la vita d’un martire, mi ridurrei magro come un Cristo di Cimabue! Oh! se ci penso dell’altro, voi ne vedrete delle belle! – una e una due; – ma questa è più agra dell’altra; – questa, e l’affar dell’imposte mi fanno dubitare della mia buona stella.

Certo la mia buona stella in questi due casi si è portata male; – una cometa non poteva farmi di peggio; – e poichè ella ha preso la mala piega, stimerei prudenziale di levar le tende da questa strada onde non m’avesse a incogliere un qualche malanno più grave. Già l’ora è tarda; – saranno l’undici al tocco e non tocco, e non passa più un’anima. Tuttavia, se devo confessarmi giusto, me ne vado malvolontieri. Non so chi mi lega, ma ci starei tutta la notte. Ma zitto! sento salire una scala, – sento girar mollemente una chiave; vedete cosa vuol dire un minuto? Un minuto spesso decide di tutto; – spesso non ci è tesoro, che possa pagare il valor d’un minuto. ― E chi sarà in un’ora sì tarda? ― [p. 58 modifica]Oh bella! è il solito soprastante, colla solita voce, e colla solita frase:

― È permesso? si può passare?

― Appunto voi; passate, passate.

― Ho forse tardato troppo?

― No, siete venuto in tempo: ho finito in questo momento. Eccovi un mazzo di lettere; dimani a un’ora competente, che sieno tutte spedite. Non fate sbagli, vi raccomando; son cose che premono.

― Vossignoria non dubiti di nulla; conosco ad una ad una le persone a cui vanno, e senza adulazione posso dire, che Vossignoria non potrebbe esser meglio appoggiata; son persone che fanno e disfanno, e dopo non c’è nulla a ridire. Ella già non ha bisogno di tutto questo; – si vede bene l’equivoco; si vede bene che hanno preso un granchio, e non vorrei esser nei piedi di chi s’è preso un simile arbitrio. Specialmente quando lo saprà la Contessa, è capace di sputar fuoco. Io son vecchio di queste cose, e so come vanno a finire. Alberghi come questi non sono per la gente par suo. Quando io la vidi arrivare, trasecolai, credetti dì travedere. Si figuri, son quarant’anni che faccio il mestiere! si figuri, se non conosco un uomo alla cera; appena lo vedo, comprendo subito di quel che si tratta; di questo posso vantarmene. Stia allegra Vossignoria; – riposi bene; – se stanotte ha bisogno, non faccia che chiamare; io dormo qui vicino, e son sempre all’erta.

― Non andate anche via. Ho un’altra commissione da darvi. Vi siete già scordato l’affare, di cui vi ho parlato stamani?

― Perdoni Vossignoria, sono uno smemoriato, però mi ricordo di tutto. Il numero, mi pare, 1613? [p. 59 modifica]

― Certamente, e dev’essere un palazzo con due riuscite. Eccovi la letterina; fate che recapiti con bel garbo. Già non ci andrete voi?

― Eh! diavolo! che mi crede ammattito affatto? Son uomo di mondo anch’io, e nessuno mi deve insegnare. Non pensi, si lasci servire. Ci mando la mia Rosina, e la cosa vien fatta d’incanto. Ha null’altro da comandarmi?

― Null’altro per ora.

― Dunque la lascio in libertà; riposi bene; buona notte.