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sonettista quando ha trovato una bella chiusa! Sì, ne son contento, ne vado superbo; – confrontiamo la mia coll’originale, e scommetto che non ci corre una sillaba.
Ma va, che l’ho fatta bella! Un po’ col rimettere insieme la lettera, un po’ col compiacermene, il tempo è trascorso, e il mio Signore ha scritto le rimanenti, ed ora v’è sopra a calcare il sigillo. Ma va, che l’ho fatta buona! e adesso come si stilla? è una rottura, che non si accomoda; – chi è che sappia leggere una lettera già sigillata? Potessi averla nelle mani, farei l’estremo di mia possa; – ma vàlle a toccare, se ti riesce! Eccole là! io magari le toccherei! – ma il Signore non ci è per nulla in questo mondo? Eh! non c’è rimedio! eccole là! – il morto è sulla bara; – son quattro giuste giuste; – posso sfogarmi a leggere la sopraccarta, mercè delle lettere lunghe un mezzo dito: – basta! è meglio poco che nulla; – eccole là! son quattro in fila, nè più nè meno; si leggono come di giorno; – la prima al Marchese, l’altra al Ministro, la terza all’Arciprete, la quarta alla Contessa. Poffare! si vede bene che al Signore è già venuta a noia la prigione, che vuole uscirne per fas e per nefas. Tutto vien messo in moto, tutto a contributo, per uscir di prigione; – la toga, e la spada; lo scrigno, la cantina, e la donna. ― In prigione ci hanno a stare i poveri e i matti. ― Voi parlate come un libro, mio bel Signore. Sì, venite fuori, anch’io lo desidero; – così potrò vedere più da vicino i fatti vostri. Voi n’uscirete senz’altro, – avete troppe ragioni dalla vostra; – solamente quei titoli, che a profferirli soltanto fanno tremare i chiavistelli! Sì, mio bel Signore, voi n’uscirete, e presto; – io lo desidero anch’io, per voi, e per me.