Scritti editi e postumi/Lettere/Lettera IV
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IV.
- Carissimo Padre
Le notizie intorno la cattiva salute della mia povera Madre mi hanno profondamente angustiato, e potete immaginare, che io non sarò mai affatto tranquillo, finchè non la senta ristabilita nel suo stato primitivo. Però vi prego con tutta sollecitudine a darmi altre nuove di lei, sperando che sieno migliori delle già ricevute.
A quel vostro amico, che vi disse in confidenza, che noi subiremmo un Processo alla Francese, dite che vi ha raccontato una novella. La natura della nostra Legislazione non ammette siffatta procedura; oltredichè noi abbiamo avuto già l’esame sui princìpi di questa settimana, e la nostra causa si agita per mezzo di un Processo economico. Ora per vostra regola, e quiete al tempo stesso, dovete sapere, che quando gli affari sono di poca importanza si trattano economicamente; quando sono di molto rilievo, allora vanno sottoposti alle forme di un processo ordinario. Il Cancelliere che ci ha esaminati è il signor F.*** B.***, la più cortese persona, che io m’abbia conosciuto in questo mondo; e mi ha fatto maraviglia come in un impiego, dove da mattina a sera si rimescolano tutti i peccati degli uomini, egli abbia potuto conservare tanta squisitezza d’anima. In passato, quando io pensava ad un Cancelliere criminale, mi si destava subito in mente l’idea dell’orco; ma vedo, che sempre non è così, e ai fatti bisogna credere.
Il Signor Cancelliere mi ha fatto sperare, che le cose non andranno in lungo; queste parole però possono avere un significato, e possono non averne nessuno. Quello nondimeno, che mi ha fatto intendere di positivo, è che si crede bene di tenerci in sicuro fino a che non si siano dissipati certi torbidi, che si dice sieno per aria. Io, che sono nel Limbo, non posso saper nulla di queste cose; ma voi, che siete nel mondo, potete vederle, e in ogni caso informarvene, e, dai ragguagli che vi daranno, potrete calcolare approssimativamente il tempo della nostra detenzione. E se il torbo esiste, pregate Dio, che mandi una tramontana tagliente e spietata, che spazzi il benchè minimo nuvolo dal nostro cielo.
Devo anche dirvi, che si sono offerti spontaneamente a pensare alla nostra sussistenza in quel modo, che meglio si addice alla nostra condizione, di più i comodi delle nostre stanze sono stati aumentati in guisa, che non manca più nulla, tranne l’andarcene, cosa che farebbe comodo a noi, ed anche a quei Signori, che hanno il disturbo di custodirci. Dunque voi vedete, che, se siamo in una gabbia, la gabbia almeno è indorata.
Sento vivamente il dispiacere della malattia irremediabile del signor N., perchè era un uomo di cuore, ed uno dei migliori sostegni del commercio di Livorno; ma che dobbiamo farci? nella morte non vi è ingiustizia; – chacun à son tour.
Io vi dico, che séguito a star bene di corpo, e sarebbe lo stesso in quanto allo spirito, se il pensiere di mia Madre non mi turbasse. Salutate caramente la famiglia, e gli amici, e credetemi
- Dalla ***, 19 ottobre 1833.
Il vostro Carlo.