Scritti editi e postumi/Lettere/Lettera III
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III.
- Carissimo Padre
Ieri mi fu consegnato il baule che mi spediste, e tornano a dovere tutti gli oggetti contenuti nel medesimo.
Ho sentito dolorosamente la grave malattia, che ha dovuto subire la mia povera Madre in séguito della mia deportazione; ma poi mi sono riconfortato alle nuove del suo miglioramento, e spero fermamente, che al giunger di questa mia sarà ristabilita nella sua primitiva salute.
In quanto a voi, vi esorto a sopportare virilmente il dolore della mia lontananza; è vostro dovere, – non avete me solo di figli.
Io ho piena fiducia, che la mia detenzione non andrà in lungo; e se a quest’ora mi avessero interrogato, credo che tutto sarebbe finito per il meglio.
Non vi date pensiero di me; non ho bisogno di esser consigliato alla rassegnazione. Per questo sono abbastanza ragionevole; e poi io son forte di animo, e forte della mia coscienza. Se non fosse il dispiacere di non trovarmi fra i miei parenti, la prigione sarebbe per me una privazione poco significante. Oltre di ciò non dovete far dei romanzi colla vostra immaginazione; non dovete figurarvi uno stato orribile. Noi siamo in una custodia militare, e sapete che i soldati sottosopra son gente di cuore, e non sono avvezzi a mettere in uso tutta quella teologia di rigori inutili, come farebbe un soprastante delle carceri civili. Noi siamo trattati con tutto il riguardo; possiamo leggere, – possiamo scrivere; e relativa mente ai comodi della vita, ogni cosa che dimandiamo ci viene accordata nell’istante. Quello solamente che ci affligge è che non possiamo vivere insieme; ma in questo le Autorità locali non possono nulla, poichè dipendono in tutto e per tutto dagli ordini superiori.
Del resto, io godo perfetta salute, e perfetta calma di spirito. Non ho mai mancato di niente, mediante la cordiale assistenza di tutta la famiglia M.***, e se voi le scrivete, ringraziatela anche voi di tante prove di verace amicizia, che mi hanno dimostrato nelle circostanze attuali.
Io aveva fatto venir del danaro per passarlo al G.*** secondo il d’accordo, ma contemporaneamente gli furono pagate non so da chi Lire 200, e per questa volta non ne ha avuto bisogno. In séguito io non mancherò di fornirgli il necessario ad ogni sua richiesta, dandovene avviso per vostra regola.
Io non ho debiti, perchè non era mio sistema di farne, e più ancora perchè non ne aveva motivi. Soltanto presi certa roba per vestirmi da estate da G.***, che avrei già pagata senza il caso del mio arresto. Se volete pagarla voi, sarà lo stesso.
Quello di cui poi mi raccomando caldamente, è che consoliate la mia povera Madre. Voi sapete, che le donne son cose deboli per natura, molto più poi se aggiungete in loro il sentimento dell’amore materno. Di tutto si allarmano, ingigantiscono tutto, d’un atomo ne fanno una montagna. Ci vuole un’arte squisitissima per maneggiare il cuore di enti così delicati. Ditele, che io sto bene, – che son trattato bene, – che ogni giorno mi menano un’ora al passeggio per il Forte, – che le Domeniche ci conducono alla Messa in città, – che non tema di nulla, – che viviamo sotto un Governo moderato; – che appena il Governo si sarà sincerato de’ suoi dubbi, tutto sarà finito; – che non siamo briganti, ma buona e pacifica gente; – che la prigione non prova nulla, perchè in prigione ci può andare anche un Santo; – che non sono molti anni ci stette anche un Papa. – In somma a voi tocca il dirle tutte le cose opportune per ridonare la tranquillità al suo spirito.
- Date un bacio per me all’Enrichetta, e credetemi
- Dalla ***, 3 Ottobre 1833.
Il vostro Carlo.