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Lettere - Lettera V

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V.


Carissimo Padre

Ricevo la vostra del 23 corrente, e mi gode l’animo a sentire le notizie della migliorata salute di mia Madre, e a quest’ora spero che sarà libera di quello strascico di mal essere, che lasciano dietro di sè le lunghe infermità.

In quanto a me veramente non saprei cosa dirvi; la mia vita non ha variazioni, e potrei ripetervi oggi quello che vi scrissi a principio. Io sto bene al solito, e mi sento disposto a durare un bel pezzo così.

Voi mi dite, che secondo la voce pubblica si spera, che presto saremo a casa. Anch’io lo spero, e tutti speriamo bene in questo mondo, perchè così vuole l’istinto; per altro io vi esorto a non dare ascolto alla voce pubblica, perchè si muove a caso, [p. 245 modifica]e non dietro un dato positivo. Che volete che sappia il pubblico di una misura stabilita a uscio chiuso fra tre o quattro Signori, che non hanno niente che fare col pubblico? Il termine della nostra detenzione dipende dalle deliberazioni dei nostri padroni, e non dalle congetture del pubblico, che parla sempre, e parla di tutto, perchè le parole non gli costano nulla; altrimenti sarebbe più riservato. Il meglio è per la vostra quiete, che voi non vi regoliate con un termometro così fallace; voi potreste trovarvi a sperare invano da un giorno all’altro, e la speranza così indugiata è un dolore non leggiero. Attendete pacificamente, che il nodo si sciolga da sè, e tenete fisso in cuore, che non vi è nulla a temere, ma che noi siamo altrettanti pegni politici!

Fate i miei più cordiali saluti a T.*** B.***, e ditegli, che, se io non l’ho mai rammentato nelle lettere trascorse, è seguíto non so perchè, ma che io l’ho continuamente nella memoria. Egli mi conosce troppo bene per non credere alla sincerità di queste mie parole.

Salutate pure la famiglia, e gli altri miei pochi amici. Addio.

Dalla ***, 29 Ottobre 1833.

Carlo.