Sciotel/Parte Prima/Capitolo Quinto
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Capitolo Quinto
1. Quando io, per l’affare dello Sciotel, al 1876 da Napoli mi misi in corrispondenza col Bonichi, egli non avea altro desiderio se non quello di ottenere l’adempimento dei patti contenuti nella cessione fatta a Munzinger, come governatore egiziano; il pagamento cioè delle lire sterline 700 e l’ufficio promesso; che egli non ottenne mai, avendo soltanto avuto, dopo molti anni e dopo moltissimi stenti, le lire 700.
2. Ma io, avendo ben ponderato i fatti, mi convinsi che quella cessione era per noi di nessun effetto, e che avremmo potuto, con la certezza di una buona riuscita, rivendicare agli italiani il territorio di Sciotel, e ristaurare ivi la nostra colonia.
A questi due scopi, che in fondo in fondo si compenetrano, si confondono e ne formano un solo, a questi due scopi io dedicai sin d’allora tutta la mia vita, tutti i miei averi; mettendomi subito all’opera con quella fede, con quello ardore, con quella energia, con quella costanza di propositi che sono dote peculiare di un animo fermamente convinto e risoluto.
3. Le ragioni per cui io credo e sostengo che, ove mai si verrà a patti con l’Abissinia, il nostro Governo può vittoriosamente propugnare l’annullamento della cessione fatta da Bonichi, e quindi anche la rivendicazione di Sciotel, sono le seguenti:
a) Il Governo egiziano non mantenne i patti stipulati con Bonichi. b) I diritti su Sciotel non appartenevano solo a Bonichi, anzi in massima parte appartenevano ad Emma ed Elena Zucchi. c) Il Principe Haylù avea espressamente vietato che il territorio si potesse cedere per danari.
4. Fu nel 1872 che il Bonichi cedette Sciotel al Governo egiziano; e propriamente (come egli mi scriveva dal Cairo agli 11 Dicembre 1876) fu a Massaua che «dal Governatore Munzinger, in nome di S. A. il Kedivè, mi fu promesso in corrispettività, a titolo di rimborso di spese, Lire egiziane settecento, ed, in compenso delle mie penose fatiche e sofferenze, una pensione mensile di 12 lire.
Il Governo italiano, da me informato, incaricò questo Console generale de Martino di assistermi e farmi conseguire in Cairo quanto avevo fissato e concordato a Massaua; ma con questa assistenza e dopo una lungaggine di una decina di mesi, non potei avere altro che il rimborso suddetto; ed invece della pensione, a suggerimento dello stesso Console, la promessa verbale di un impiego nei nuovi Tribunali. Ma siccome questa promessa non mi è stata fin qui mantenuta, e le pratiche che qui ho fatto sono state infruttuose ecc. ecc.» 1.
Debbo però confessare che, oltre la dichiarazione del Bonichi medesimo, io non ho altri documenti da dimostrare la promessa d’impiego a lui fatta. Ma credo che al Consolato italiano, e forse anche al Ministero degli Esteri, vi debba essere qualche documento; del resto era un fatto notorio in tutta la colonia italiana di Egitto, nè credo che il de-Martino potrebbe negarlo, o meglio, non rammentarlo: come è anche notorio che il Bonichi non ottenne mai l’ufficio promesso.
Stando così i fatti, è evidente, che si può rivendicare Sciotel; poichè presso tutti i popoli, anche mezzanamente inciviliti, chi non adempie i patti di un contratto, può essere costretto alla risoluzione di esso.
5. Il Governo egiziano trattò lo acquisto di Sciotel col solo Bonichi, come se costui fosse proprietario, o il solo proprietario, di quella regione; ma nel fatto sta che il Bonichi non era il solo ad avere diritti su quel territorio, anzi era il meno interessato.
E per vero il medesimo Bonichi, nella relazione del 15 Ottobre 1867, mandata al nostro Governo da Massaua, dice così:
«Per questo accidente (cioè la morte di Zucchi) la maggior parte dei soci si è ritirata, ed ha lasciato lo stabilimento e tutte le sue pertinenze; che, ai termini contrattuali dei patti di associazione, si sono concentrati e riuniti nelle due eredi Zucchi, nel sig. Stella, e nei soci capitalisti-industriali D. Ferdinando Bonichi ed Alberto Buccianti». Dunque il Bonichi non era il solo avente diritti su Sciotel; nè si potrà in alcun modo opporre che le Zucchi avessero perduto i loro diritti per avere abbandonato la colonia. Poichè Elena Zucchi, se lasciò la colonia e venne in Italia, non lo fece con l’animo di abbandonarla, ma col proposito di giovare alla colonia medesima, impetrando l’aiuto del nostro Governo. Ciò risulta in modo chiaro dal secondo volume dei documenti che sono presso di me, dove si vede quanto le Zucchi si sono adoperate in prò della colonia, stando in Egitto, e venendo in Italia.
Di più, non si può dire che elleno avessero abbandonato la colonia, se, pur essendo lontane colla persona, erano ivi rappresentate dai capitali, che Pompeo Zucchi, vi avea largamente impiegati. Capitali, che, senza tener presenti le spese di viaggio, d’impianto, e di mantenimento della colonia che certo hanno assorbito una gran somma, ammontano a circa 7000 lire, come risulta da poche fatture (essendo che molte altre andarono disperse) degli oggetti comprati dallo Zucchi per la colonia; fatture che si leggono nel secondo volume dei miei documenti.
Il Bonichi infine confessa, nella relazione sopra menzionata, che nel contratto, tra Stella e Zucchi, c’era il patto che dandosi luogo alla vendita o cessione di Sciotel, si dovesse detrarre prima l’ammontare di tutte le spese sostenute da Zucchi, e sul resto il Zucchi, come direttore e capitalista, percepisse il cinquanta per cento. «Sotto queste condizioni il signor Zucchi associò alla impresa diversi europei» e quindi anche il Bonichi, come risulta dalla nota dei titoli riportati a pag. 28.
È vero che questi documenti si sono dispersi, ma c’è il decreto del console che non volle riceverli in deposito; e la dichiarazione spontanea del Bonichi non può essere sospetta, perchè fatta molto prima della cessione del 1872, cioè nel 1867.
Nè le Zucchi mancarono di risentirsi e di far valere le loro ragioni presso il Governo egiziano, ma indarno; come si può vedere dalle rimostranze che il Caruana, marito di Emma Zucchi e suddito inglese, diresse per mezzo del suo console al ministero egiziano: le lettere sono nel secondo volume dei documenti.
Mi pare adunque che anche per questo aspetto la cessione fatta dal Bonichi è di nessun effetto; perchè egli non era il solo proprietario, avea la coscienza di non esserlo, ed il Governo egiziano, contrattando con lui, ha illegalmente contrattato, giacchè è massima universale che nemo dat quod non habet:
6. Nella relazione del Bonichi, più volte mentovata, nell’altra che mi mandò dal Cairo per presentarla al Ministro degli Esteri Melegari, nelle lettere di Elena Petrucci, ed in conto altri luoghi dei due volumi di documenti che io offro, è detto a chiare note che:
«I coloni, secondo i contratti col Principe Haylù, non potevano alienare per denaro lo Sciotel, ma usarne, usufruttarne, e servirsene, esclusivamente per lo scopo della concessione; perciò di vendita e di cessione non si volle mai parlarne ad alcuno ecc.» 2.
E lo scopo della concessione, come asseriva la Petrucci al Ministro degli Esteri, era principalmente quello di proteggere i sudditi di Haylù dalle vessazioni delle Tribù musulmane 3.
Non poteva adunque il Bonichi, anche ammesso che egli fosse l’unico proprietario di Sciotel, anche ammesso che il Governo egiziano avesse adempito tutti gli obblighi assunti verso di lui, non poteva cedere per danaro, ed in particolar modo agli stranieri, quel territorio, che il Principe Haylù avea concesso al padre Stella per veder sorgere, prosperare e divenire potente una colonia italiana.
E siffatta restrizione, che a prima giunta potrà ad alcuno sembrare forse strana, non è poi tale se si tien presente che Haylù avea in gran concetto gli italiani, e soltanto in essi avea fede a conseguire il suo nobile e filantropico ideale.
Ho però il dovere di affermare che di siffatta buona opinione che avea di noi il Principe Haylù, della fiducia somma che egli in noi riponea, noi andiamo debitori al magnanimo ed immortale padre Stella, al quale i futuri coloni di Sciotel dovranno innalzare una statua.