Saul (Alfieri, 1946)/Atto primo
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ATTO PRIMO
SCENA PRIMA
David.
onnipossente Iddio, tu vuoi ch’io ponga?
Io quí starò. — Di Gelboé son questi
i monti, or campo ad Israél, che a fronte
sta dell’empia Filiste. Ah! potessi oggi
morte aver quí dall’inimico brando!
Ma, da Saúl deggio aspettarla. Ahi crudo
sconoscente Saúl! che il campion tuo
vai perseguendo per caverne e balze,
senza mai dargli tregua. E David pure
era giá un dí il tuo scudo; in me riposto
ogni fidanza avevi; ad onor sommo
tu m’innalzavi; alla tua figlia scelto
io da te sposo... Ma, ben cento e cento
nemiche teste, per maligna dote,
tu mi chiedevi: e doppia messe appunto
io ten recava... Ma, Saúl, ben veggio,
non è in se stesso, or da gran tempo: in preda
Iddio lo lascia a un empio spirto: oh cielo!
Miseri noi! che siam, se Iddio ci lascia? —
Notte, su, tosto, all’almo sole il campo
cedi; ch’ei sorger testimon debb’oggi
tu, Gelboé, fra le piú tarde etadi,
che diran: David quí se stesso dava
al fier Saulle. — Esci, Israél, dai queti
tuoi padiglioni; escine, o re: v’invito
oggi a veder, s’io di campal giornata
so l’arti ancora. Esci, Filiste iniqua;
esci, e vedrai, se ancor mio brando uccida.
SCENA SECONDA
Gionata, David.
cui del mio cor nota è la via.
David Chi viene?...
Deh, raggiornasse! Io non vorria mostrarmi,
qual fuggitivo...
Gion. Olá. Chi sei? che fai
dintorno al regio padiglion? favella.
David Gionata parmi... Ardir. — Figlio di guerra,
viva Israél, son io. Me ben conosce
il Filisteo.
Gion. Che ascolto? Ah! David solo
cosí risponder può.
David Gionata...
Gion. Oh cielo!
David,... fratello...
David Oh gioja!... A te...
Gion. Fia vero
Tu in Gelboé? Del padre mio non temi?
Io per te tremo; oimè!...
David Che vuoi? La morte
in battaglia, da presso, mille volte
vidi, e affrontai: davanti all’ira ingiusta
del tuo padre gran tempo fuggii poscia:
Or, piú non temo io, no: sta in gran periglio
col suo popolo il re: fia David quegli,
che in securtade stia frattanto in selve?
Ch’io prenda cura del mio viver, mentre
sopra voi sta degli infedeli il brando?
A morir vengo; ma fra l’armi, in campo,
per la patria, da forte; e per l’ingrato
stesso Saúl, che la mia morte or grida.
Gion. Oh di David virtú! D’Iddio lo eletto
tu certo sei. Dio, che t’inspira al core
sí sovrumani sensi, al venir scorta
dietti un angiol del cielo. — Eppur, deh! come
or presentarti al re? Fra le nemiche
squadre ei ti crede, o il finge; ei ti dá taccia
di traditor ribelle.
David Ah! ch’ei pur troppo,
a ricovrar de’ suoi nemici in seno
ei mi sforzava. Ma, se impugnan essi
contro lui l’armi, ecco per lui le impugno,
finché sian vinti. Il guiderdon mio prisco
men renda ei poscia; odio novello, e morte.
Gion. Misero padre! ha chi l’inganna. Il vile
perfid’Abner, gli sta, mentito amico,
intorno sempre. Il rio demon, che fero
gl’invasa il cor, brevi di tregua istanti
lascia a Saulle almen; ma d’Abner l’arte
nol lascia mai. Solo ei l’udito, ei solo,
l’amato egli è: lusingator maligno,
ogni virtú che la sua poca eccede,
ei glie la pinge e mal sicura, e incerta.
Invan tua sposa ed io, col padre...
David Oh sposa!
Oh dolce nome! ov’è Micol mia fida?
M’ama ella ancor, mal grado il padre crudo?...
Gion. Oh! s’ella t’ama?... È in campo anch’essa...
Vedrolla? oh gioja! Or, come in campo?...
Gion. Il padre
ne avea pietade; al suo dolor lasciarla
sola ei non volle entro la reggia: e anch’ella
va pur porgendo a lui qualche sollievo,
benché ognor mesta. Ah! la magion del pianto
ella è la nostra, da che tu sei lungi.
David Oh sposa amata! A me il tuo dolce aspetto
torrá il pensier d’ogni passata angoscia;
torrá il pensier d’ogni futuro danno.
Gion. Ah, se vista l’avessi!... Ebbeti appena
ella perduto, ogni ornamento increbbe
al suo dolor: sul rabbuffato crine
cenere stassi; e su la smunta guancia
pianto e pallore; immensa doglia muta,
nel cor tremante. Il dí, ben mille volte,
si atterra al padre; e fra i singhiozzi, dice:
«Rendimi David mio; tu giá mel desti».
Quindi i panni si squarcia; e in pianto bagna
la man del padre, che anch’egli ne piange.
E chi non piange? — Abner, sol egli; e impera,
che tramortita come ell’è si strappi
dai piè del padre.
David Oh vista! Oh! che mi narri?
Gion. Deh! fosse pur non vero!... Al tuo sparire,
pace sparí, gloria, e baldanza in armi:
sepolti sono d’Israello i cori;
il Filisteo, che giá fanciullo apparve
sotto i vessilli tuoi, fatto è gigante
agli occhi lor, da che non t’han piú duce:
e minacce soffriamo, e insulti, e scherni,
chiusi nel vallo, immemori di noi.
Qual maraviglia? ad Israello a un tempo
manca il suo brando, ed il suo senno, David.
Io, che giá dietro ai tuoi guerrieri passi
sento al ferir la destra. Or, che in periglio,
a dura vita, e da me lungi io veggo
te, David mio, sí spesso; or, piú non parmi
quasi pugnar pel mio signor, pel padre,
per la sposa, pe’ figli: a me tu caro,
piú assai che regno, e padre, e sposa, e figli...
David M’ami, e piú che nol merto: ami te Dio
cosí...
Gion. Dio giusto, e premiator non tardo
di virtú vera; egli è con te. Tu fosti
da Samuél morente in Rama accolto;
il sacro labro del sovran profeta,
per cui fu re mio padre, assai gran cose
colá di te vaticinava: il tuo
viver m’è sacro, al par che caro. Ah! soli
per te di corte i rei perigli io temo;
non quei del campo: ma, dintorno a queste
regali tende il tradimento alberga
con morte: e morte, Abner la da; la invia
spesso Saulle. Ah! David mio, t’ascondi;
fintanto almen che di guerriera tromba
eccheggi il monte. Oggi, a battaglia stimo
venir fia forza.
David Opra di prode vuolsi,
quasi insidia, celar? Saúl vedrammi
pria del nemico. Io, da confonder reco,
da ravveder qual piú indurato petto
mai fosse, io reco: e affrontar pria vo’ l’ira
del re, poi quella dei nemici brandi. —
Re, che dirai, s’io, qual tuo servo, piego
a te la fronte? io di tua figlia sposo,
che di non mai commessi falli or chieggo
a te perdono: io difensor tuo prisco,
ch’or nelle fauci di mortal periglio
compagno, scudo, vittima, a te m’offro. —
vero è, mi accolse; e parlommi, qual padre:
e spirò fra mie braccia. Egli giá un tempo
Saulle amava, qual suo proprio figlio:
ma, qual ne avea mercede? — Il veglio sacro,
morendo, al re fede m’ingiunse e amore,
non men che cieca obbedíenza a Dio.
Suoi detti estremi, entro il mio cor scolpiti
fino alla tomba in salde note io porto.
«Ahi misero Saúl! se in te non torni,
sovra il tuo capo altissima ira pende.»
Ciò Samúel diceami. — Te salvo
almen vorrei, Gionata mio, te salvo
dallo sdegno celeste: e il sarai, spero:
e il sarem tutti; e in un Saúl, che ancora
può ravvedersi. — Ah! guai, se Iddio dall’etra
il suo rovente folgore sprigiona!
Spesso, tu il sai, nell’alta ira tremenda
ravvolto egli ha coll’innocente il reo.
Impetuoso, irresistibil turbo,
sterpa, trabalza al suol, stritola, annulla
del par la mala infetta pianta, e i fiori,
ed i pomi, e le foglie.
Gion. — Assai può David
presso Dio, per Saúl. Te ne’ miei sogni
ho visto io spesso, e in tal sublime aspetto,
ch’io mi ti prostro a’ piedi. — Altro non dico;
né piú dei dirmi. Infin ch’io vivo, io giuro
che a ferir te non scenderá mai brando
di Saúl, mai. Ma, dalle insidie vili...
Oh ciel!... come poss’io?... Quí, fra le mense,
fra le delizie, e l’armonia del canto,
si bee talor nell’oro infido morte.
Deh! chi ten guarda?
David D’Israéle il Dio,
se scampar deggio; e non intera un’oste,
veder poss’io la sposa? Entrar non debbo
lá, fin che albeggi...
Gion. E fra le piume aspetta
fors’ella il giorno? A pianger di te meco
viene ella sempre innanzi l’alba; e preghi
porgiam quí insieme a Dio, per l’egro padre. —
Ecco; non lungi un non so che biancheggia:
forse, ch’ella è: scostati alquanto; e l’odi:
ma, se altri fosse, or non mostrarti, prego.
David Cosí farò.
SCENA TERZA
Micol, Gionata.
mai non sparisci?... Ma, per me di gioja
risorge forse apportatore il sole?
Ahi lassa me! che in tenebre incessanti
vivo pur sempre! — Oh! fratel mio, piú ratto
di me sorgesti? eppur piú travagliato,
certo, fu il fianco mio, che mai non posa.
Come posar poss’io fra molli coltri,
mentre il mio ben sovra la ignuda terra,
fuggitivo, sbandito, infra covili
di crude fere, insidíato giace?
Ahi d’ogni fera piú inumano padre!
Saúl spietato! alla tua figlia togli
lo sposo, e non la vita? — Odi, fratello;
quí non rimango io piú: se meco vieni,
bell’opra fai; ma, se non vieni, andronne
a rintracciarlo io sola: io David voglio
incontrare, o la morte.
Gion. Indugia ancora;
e il pianto acqueta: il nostro David forse
in Gelboé verrá.
dov’è Saúl, David venirne?...
Gion. In loco
dov’è Gionata e Micol, tratto a forza
dal suo ben nato cor fia David sempre.
Nol credi tu, che in lui piú assai l’amore
che il timor possa? E maraviglia avresti,
s’ei quí venirne ardisse?
Micol Oh ciel! Per esso
io tremerei... Ma pure, il sol vederlo
fariami...
Gion. E s’ei nulla or temesse?... E s’anco
l’ardir suo strano ei di ragion vestisse? —
Men terribil Saúl nell’aspra sorte,
che nella destra, sbaldanzito or stassi
in diffidenza di sue forze; il sai:
or, che di David l’invincibil braccio
la via non gli apre infra le ostili squadre,
Saúl diffida; ma, superbo, il tace.
Ciascun di noi nel volto suo ben legge,
che a lui non siede la vittoria in core.
Forse in punto ei verrebbe ora il tuo sposo.
Micol Sí, forse è ver: ma lungi egli è;... deh! dove?...
e in quale stato?... Oimè!...
Gion. Piú che nol pensi,
ei ti sta presso.
Micol Oh cielo!... a che lusinghi?...
SCENA QUARTA
David, Micol, Gionata.
Micol Oh voce!... Oh vista! Oh gioja!...
Parlar... non... posso. — Oh maraviglia!... E fia...
ver, ch’io t’abbraccio?...
Morte, s’io debbo oggi incontrarti, almeno
quí sto tra’ miei. Meglio è morir, che trarre
selvaggia vita in solitudin, dove
a niun sei caro, e di nessun ti cale.
Brando assetato di Saúl, ti aspetto;
percuotimi: quí almen dalla pietosa
moglie fien chiusi gli occhi miei; composte,
coperte l’ossa; e di lagrime vere
da lei bagnate.
Micol Oh David mio!... Tu capo,
termine tu d’ogni mia speme; ah! lieto
il tuo venir mi sia! Dio, che da gravi
perigli tanti sottraeati, invano
oggi te quí non riconduce... Oh quale,
qual mi dá forza il sol tuo aspetto! Io tanto
per te lontan tremava; or per te quasi
non tremo... Ma, che veggo? in qual selvaggio
orrido ammanto a me ti mostra avvolto
l’alba nascente? o prode mio; tu ignudo
d’ogni tuo fregio vai? te piú non copre
quella, ch’io giá di propria man tessea,
porpora aurata! In tal squallor, chi mai
potria del re genero dirti? All’armi
volgar guerrier sembri, e non altro.
David In campo
noi stiamo: imbelle reggia or non è questa:
quí rozzo saio, ed affilato brando,
son la pompa migliore. Oggi, nel sangue
de’ Filistei, porpora nuova io voglio
tinger per me. Tu meco intanto spera
nel gran Dio d’Israél, che me sottrarre
può dall’eccidio, s’io morir non merto.
Gion. Ecco, aggiorna del tutto: omai quí troppo
da indugiar piú non parmi. Ancor che forse
opportuno tu giunga, assai pur vuolsi
venirne appunto in quest’ora sogliamo:
noi spíerem, come il governi e prema
oggi il suo torbo umore: e a poco a poco
preparando l’andrem, se lieta è l’aura,
alla tua vista; e in un torrem, che primo
null’uomo a lui malignamente narri
la tua tornata. Appartati frattanto;
che alcun potria conoscerti, tradirti;
ed Abner farti anco svenare. Abbassa
la visiera dell’elmo: infra i sorgenti
guerrier ti mesci, e inosservato aspetta,
ch’io per te rieda, o mandi...
Micol Infra i guerrieri,
come si asconde il mio David? qual occhio
fuor dell’elmo si slancia a par del suo?
brando, chi ’l porta al suo simíl? chi suona
cosí nell’armi? Ah! no; meglio ti ascondi,
dolce mio amor, fin che al tuo fianco io torni.
Misera me! ti trovo appena, e deggio
lasciarti giá? ma per brev’ora; e quindi
no, mai piú, mai, non lascerotti. Or pure
vo’ pria vederti in securtá. Deh! mira;
di questa selva opaca lá nel fondo,
a destra, vedi una capace grotta?
Divisa io spesso lá dal mondo intero,
te sospiro, te chiamo, di te penso;
e di lagrime amare i duri sassi
aspergo: ivi ti cela, infin che il tempo,
sia di mostrarti.
David Io compiacer ti voglio
in tutto, o sposa. Appien securi andate:
è senno in me; non opro a caso; io v’amo;
a voi mi serbo: e solo in Dio confido.