Saggio intorno ai sinonimi della lingua italiana/Timore - Paura
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TIMORE - PAURA.
La paura è un errore de’ sensi, e viene da viltà; il timore è un errore di calcolo, e viene da un eccesso di prudenza; l’uno ha per opposto la speranza, l’altra il coraggio. Paura è effetto d’alterazione d’animo, timore procede da ragionamento, e quando il ragionamento è falso, allora si dice timor vano, timor panico, accertando con questi addiettivi un significato, che naturalmente non ha. Nell’indagare l’origine della voce si trova che paura è dal lat. pavor, e questo pavor viene dai grammatici latini originato dal verbo pavio1, battere, quasi che la paura ti dia una stretta, un battimento al cuore; non così il timore che è più occulto e meno concitato. Timore può prendersi in senso buono, paura non mai; ed anche preso in mala parte, timore è sempre meno di paura. Timore chiamiamo poi quel sentimento di ossequio, che gli uomini onesti hanno per le leggi divine ed umane: quindi diciamo quegli è timorato d’Iddio, quei teme le leggi, nè si potrebbe dire quegli ha paura d’Iddio, e solo i malandrini hanno paura delle leggi.
Di questa differenza ebbi io una graziosa lezione in quella contrada, ove il popolo non potrebbe, volendo, errare nelle proprietà dei vocaboli, voglio dire nella Toscana. Un accidente m’obbligò ad arrestarmi per pochi momenti in Barberino, terra posta sulla via dei colli, che mette da Firenze a Siena; appena sceso dal legno si fece ad incontrarmi una gentil contadina profferendo con tutta modestia il suo ajuto: le pendeva dal collo un rosato fanciullo, ed io volendola pur ricambiare della sua cortesia, e sapendo quanto son tenere le madri de’ loro figliuoli, la ringraziai come seppi, poi le lodai il bimbo, e gli stesi la mano per accarezzarlo, ma egli stizzito mise un grido, e nascose il capo in seno alla donna; ne rimasi mortificato, e dissi: spiacemi d’avergli fatto paura; ma ella accortasi del mio rossore, e volendo scusare il fanciullo, rispose subito con bel garbo: è timore, non è paura. Io sfido tutti i filologi a far un complimento con maggior grazia della villana da Barberino.
Nei derivati timido e pauroso la differenza sfuma un po’ più, e divien meno sensibile a cagion dell’impiego pressochè indistinto delle due voci: m’ingegnerò tuttavia di dimostrarla. Un prode soldato, che ha sempre versato nei quartieri e ne’ campi della guerra, viene introdotto in una splendida conversazione; uomini e donne gli si fanno intorno ad accoglierlo, ad onorarlo; sopraffatto egli da questi modi arrossisce ad ogni inchiesta, balbetta le risposte, e si rannicchia confuso in un canto; poverino, esclamano le donne che hanno il sentimento d’ogni gentilezza, egli è timido; nè direbbero mai egli è pauroso.
Note
- ↑ Festus ap. Forcell..