Saggio di racconti/XI/II
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ossia l’Adolescenza d’un Artista nel secolo XVI
Una sorella
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La madre di Francesco era morta da lungo tempo, e il padre stando tutto di fuori di casa per attendere al lavorio, aveva dato il governo della famiglia ad una sua figliuola chiamata Anna. Ella, di quattordici anni, aveva già tanto senno e si destreggiava così bene in far da massaia, che Michelangelo poteva proprio dormire fra due guanciali. Vestita con semplice leggiadria, piena d’ingenne grazie, con un bel volto, occhi neri e vivaci, nera di capello, svelto il personale e le maniere tutte soavi, non si sapeva se in lei prevalesse più la vigoria dell’ingegno o il candore dell’animo; pareva instancabile nelle faccende, non si lagnava mai d’aver troppo da fare, e tutto in quella casa andava a puntino per effetto dei suoi avveduti pensieri; sicchè ella godendosi l’opera sua e la contentezza del padre n’era beata.
Ma coll’andar del tempo incominciò a farle pena il contegno di Francesco, che di fanciullo vispo e sano, era divenuto malinconico e macilento. Egli che tanto le si rassomigliava nella serenità dell’animo, egli che un tempo avrebbe avuto bisogno di temperare l’ardore della fanciullezza, era già troppo docile e taciturno, e pareva spesso dimentico di sè stesso. Forse il padre ingolfato nelle faccende di bottega e distratto dalle novità che correvano grandi per la repubblica, non se ne accorgeva, o stimava non esser cosa da farne caso. Era contento di vederlo assiduo a bottega, obbediente e discreto, e all’età crescente attribuiva la serietà e la magrezza. Ma l’Anna con l’occasione di vederlo più spesso ne conosceva meglio il temperamento, e non poteva vivere tranquilla sul conto suo.
Un giorno gli si accostò amorosamente, gli pose un braccio sul collo, mentre egli se ne stava malinconico a capo basso e abbandonato della persona, e cominciò con modi amorosi: «Cecchino, ti ricordi di avermi detto tante volte che volevi confidare tutto tutto alla tua sorella? Ah! fratel mio, tu hai qualche gran dispiacere da un pezzo in quà, e non mi dici nulla!...» Francesco alzato languidamente il capo a guardarla, rispose: «Ah, se tu ci potessi rimediare!...» — «Ma sentiamo, replicò stringendolo al seno, sentiamo; e quand’anco non ci potessi rimediare, conti per nulla il bene che ti voglio? Se gli sapessi anch’io i tuoi dispiaceri, ti potrei almeno aiutare a sopportarli con più coraggio.» La voce della sorella gli toccava il cuore, e sospirando esclamò: «Anna mia, si tratta di una disobbedienza a mio padre!» — «Oh! riprese ella levandogli il braccio di sopra il collo, tu disobbedire al babbo? Non è possibile.» Allora Francesco impallidì, e trovatosi in quel modo quasi respinto da lei, ebbe bisogno d’andare a buttarsi a sedere sopra una sedia, esclamando: «Non c’è rimedio!» L’Anna gli tornò subito accanto: «Ma dimmi, ripigliava pietosamente, dimmi il perchè tu hai disobbedito, e in che cosa. Io non posso credere che tu lo abbia fatto per cattivo cuore o per ingratitudine;... E se ora ne sei pentito, perchè disperarti?» Francesco un poco rianimato rispose: «Tu sai che il babbo mi destinò al mestiere di tessitore; che ha sempre detto che io debbo aiutarlo, succedere a lui nella direzione del traffico, e fare insomma tutto quello che gli sarà impedito dalla vecchiaia. Tu vedi quali speranze ha fondato sopra di me!... Ebbene! io non posso obbedirlo; è un pezzo che fo forza a me stesso, e non mi riesce; sento che proprio non ho disposizione al mestiere.» — «O che vorresti tu fare? So che l’ozio non ti piace; in casa ti veggo sempre occupato; e dubito che anche la notte... lo conosco dal consumo dell’olio.... dubito che anche la notte, invece di dormire, tu stia lì a tavolino... non so a che fare.... non sono più la tua confidente.» — «Sì, Anna, sì, ti confiderò ogni cosa, riprese egli mortificato da quel rimprovero. Ti ricordi di quando il babbo mi vietò di disegnare, di praticare il Diacceto, e m’impose di rendergli i suoi cartoni?» — «Ah! me ne ricordo pur troppo! seguitò la sorella, e l’ho osservato, sì, che da quel giorno in poi tu principiasti ad essere malinconico, a perdere l’appetito...
Fran. Che vuoi che ti dica? mi provai ad obbedire per qualche tempo; e quando venne il Diacceto qui in casa a domandarmi perchè gli avessi rimandato i disegni senza finir di copiarli, tu (e la guardava con aria di rimprovero), tu stessa che avevi udito il volere del babbo, con buona maniera lo congedasti.» — «Ah! sì, esclamò ella quasi compunta, lo feci perchè mi accorsi che non ti dava l’animo di palesargli da te quel divieto. Il giovinetto prudente capì, non se l’ebbe a male, e andò via.» — «Ebbene, seguitò Francesco, pochi giorni dopo m’imbattei nel Diacceto; v’era anche il Naldini. Essi furono i primi a tenermi proposito del disegno, e mi dissero un visibilio di cose: Che avrei fatto male a lasciarlo; che io era nato per le belle arti; che era un danno vedermi alle telaia, mentre che in breve... Basta, giacchè un animo mi aveva detto tante volte le stesse cose, mi lasciai metter su a portare a casa di nascosto al babbo i disegni; cominciai a studiarvi sopra la notte; e ora, ah! ora non mi riesce più d’abbandonarli... Ma! tu lo vedi; è una continua disobbedienza a mio padre... e una volta o l’altra se ne accorgerà. Io tremo sempre... Oh! sorella mia, eccomi tutto nelle tue braccia; salvami, se tu puoi, da questa tribolazione.» L’Anna stava col capo appoggiato alla palma della mano, come chi e assorto in profonda riflessione; e Francesco tutto in lei confidente pendeva dalle sue labbra. Quand’ella, risoluta lo prese per la mano, e gli disse: «Animo, non ti sgomentare, Francesco. A tutto v’è il suo rimedio. Il babbo va obbedito, lo so; e ad ogni costo devi obbedirlo; non più nottate; non più sotterfugi; fa di non aver da arrossire o da tremare di faccia a lui. Procacciati la contentezza di saperlo obbedire. E poi, e raddolciva la voce, e poi lascia a me la cura del rimanente. Il babbo è amorevole sai? più amorevole che non credi. Tu... me ne sono accorta... con questo patema sull’anima, tu lo temi troppo severo; non ardiresti palesargli francamente il tuo stato come hai fatto con me. Questo vuol dire che sarebbero giusti i suoi rimproveri. Ma intanto fa di non meritarli, ed io vedrò se senza andar contro la sua volontà, senza affliggerlo, tu potessi ripigliare i tuoi studj. Se hai una vera vocazione anch’egli deve conoscerla, e saprà rispettarla; ma prima di tutto, ch’ei la conosca. Hai tu capito? Darai tu retta al mio consiglio? Avrai fiducia in me?» — «Cosa vuoi? rispose egli con rassegnazione, farò a tuo modo. Ma so che se dovessi rinunziare al disegno morirei di dolore.» — «Che di’ tu? esclamò con impeto la sorella. Oh! io non ti voglio credere pusillanime a questo segno. M’immagino: quanto ti debbano premere le belle arti; ma se si trattasse di abbandonarle per dovere di buon figliuolo, per amore del babbo, con la speranza che un giorno ci riesca di ottenere da lui quel che desideri?... No no! non ti dare subito in braccio alla disperazione. Ah! ma ti compatisco, fratello mio... Tu sei ancora troppo fanciullo; tu ne hai provati pochi dei dispiaceri; le son pur tante le cose che si vorrebbero avere e che ci vengono negate dalla fortuna o dagli uomini! E per questo, dobbiamo noi lasciarci abbattere in un momento? Più coraggio, Cecchino mio, più coraggio! Rammentati che devi essere uomo alla fine. Oh! io non ti terrei per fratello se ti vedessi così debole. Pensa alla povera mamma... Quanto bene mi voleva! Tu eri piccolo, e non sai cosa voglia dire perdere una mamma quando s’è imparato a conoscere l’amor suo. Anch’io, vedi, anch’io sul principio credei di doverle andar dietro. Piansi giorno e notte, mi ammalai, perdetti l’appetito e le forze; e quella fu una disgrazia senza rimedio! Nonostante mi restava il babbo, il suo amore, l’amore del mio fratello, e lo abbracciava teneramente, e alla fine mi detti pace. Penso a lei ogni giorno; conosco quanto abbiamo perduto; ma cerca d’imitare il suo coraggio. Oh quanto ne aveva!» E lacrimando insieme sulla memoria della madre, Francesco sfogò il suo dolore, e si sentì sollevato. Allora l’Anna, preso un tuono più confidente: «Sì, continuò, sì, sta di buon animo. Astienti per ora dal disegnare, e il cuore mi dice che presto sarai consolato.» Poi gli dette un bacio, e lo lasciò pieno di conforto. Francesco non s’era mai sentito commosso come in quel giorno; benedisse l’affetto della sorella, e fece proposito di seguirne i consigli.