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cecchin salviati | 95 |
un’arte più difficile e bella, e si provò a copiarli e ad immaginarne dei nuovi. Le quali prove, comecchè fossero trastullo di fanciulletto, mostravano tuttavia inclinazione singolare alle belle arti. Inoltre egli aveva modi tanto leggiadri, e così ingenua piacevolezza, che i figliuoli di Domenico Naldini, ragguardevole cittadino, molto si dilettavano della sua compagnia. Il maggiore di essi studiava la pittura, e Francesco praticando nella loro casa in via dei Servi, sempre più si vedeva tutto volto a costumi gentili e onorati, e vi trovava continua occasione di secondare la sua smania per il disegno. Il Diacceto giovine orefice, suo cugino e maestro al Naldini, insegnava anche a lui e lo accomodava di molti disegni di diversi valentuomini, sopra i quali con incredibile studio si esercitava. Ma venuto ciò a notizia del padre ne fu turbato, temendo che il figliuolo pel diletto del disegnare avesse a perder l’amore al mestiero, e gliene fece rigoroso divieto.
La madre di Francesco era morta da lungo tempo, e il padre stando tutto di fuori di casa per attendere al lavorio, aveva dato il governo della famiglia ad una sua figliuola chiamata Anna. Ella, di quattordici anni, aveva già tanto senno e si destreggiava così bene in far da massaia, che Michelangelo poteva proprio dormire fra due guanciali. Vestita con semplice leggiadria, piena d’ingenne grazie,