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96 | racconto undecimo |
con un bel volto, occhi neri e vivaci, nera di capello, svelto il personale e le maniere tutte soavi, non si sapeva se in lei prevalesse più la vigoria dell’ingegno o il candore dell’animo; pareva instancabile nelle faccende, non si lagnava mai d’aver troppo da fare, e tutto in quella casa andava a puntino per effetto dei suoi avveduti pensieri; sicchè ella godendosi l’opera sua e la contentezza del padre n’era beata.
Ma coll’andar del tempo incominciò a farle pena il contegno di Francesco, che di fanciullo vispo e sano, era divenuto malinconico e macilento. Egli che tanto le si rassomigliava nella serenità dell’animo, egli che un tempo avrebbe avuto bisogno di temperare l’ardore della fanciullezza, era già troppo docile e taciturno, e pareva spesso dimentico di sè stesso. Forse il padre ingolfato nelle faccende di bottega e distratto dalle novità che correvano grandi per la repubblica, non se ne accorgeva, o stimava non esser cosa da farne caso. Era contento di vederlo assiduo a bottega, obbediente e discreto, e all’età crescente attribuiva la serietà e la magrezza. Ma l’Anna con l’occasione di vederlo più spesso ne conosceva meglio il temperamento, e non poteva vivere tranquilla sul conto suo.
Un giorno gli si accostò amorosamente, gli pose un braccio sul collo, mentre egli se ne stava malinconico a capo basso e abbandonato della persona, e cominciò con modi amorosi: «Cecchino, ti ricordi di avermi detto tante volte che volevi confidare