Saggi poetici (Kulmann)/Parte seconda/La festa di Pindaro
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LA FESTA DI PINDARO
Come uno scintillante
Immenso aurato disco,
In lieve nebbia avvolto
Il nuovo sole appare
5Sovra le azzurre cime
Dell’Ipato ch’è sede
Di Giove altitonante.
Affrettansi le turbe
Cadmée a dense schiere
10Di Pindaro al delubro.
E le sonore trombe
Annunziano tre volte
A’ popoli vicini
La cominciante pompa.
15Accorre il villanello,
Che abbandona incompito
Il principiato solco;
Accorre il cacciatore,
Abbandonando il cervo
20Che inseguiva dall’alba
Con premuroso passo.
S’affollano le genti
Sulle rive Dircee.
Ecco qual neve candida
25Bianchissimi destrieri
In risplendenti arnesi
Quai d’argento e quai d’oro,
In ben disposte carra
Trarre ambulante selva
30Di fiorenti rosai.
Seguono giovanetti
Di porpora vestiti,
Con serti nella chioma
Che folleggiante scende
35Sugli omeri robusti.
Essi in scolpiti vasi
Recano e miele e vino
E latte, e i rari aromi
Al sacro rito imposti.
40Ecco, lo scelto fiore
Della beltà tebana;
Che in bianche vesti incede
Ed in cintole azzurre
Modestamente altera.
45Sembran due scelte fila
Di perle destinate
Alla sovrana Giuno
O alla madre d’Amore.
Sostengono intrecciate
50Lunghissime ghirlande,
Che servivan di fregio
All’ara dell’Eroe.
Ora vengon tre cori
Dalle sonore voci,
55Poi la reale schiera
De’ santi sacerdoti,
E alfin, sola vien dietro
Coll’aurea lira in mano,
Coronate le tempie
60Del vittorioso lauro,
La tebana Corinna.
Chiudono la solenne
Marcia que’ fortunati
Atleti, vincitori
65Nell’olimpica lizza,
Nell’istmico Corinto,
In Delfi od in Nemea,
Cui vanto e gloria accrebbe
Pindaro co’ suoi versi.
70E come nave carca
Della sacra ecatombe
Con mille ricchi doni,
Che ogni anno a Febo invia
O la piena di rose
75Altera Rodi, ovvero
La misteriosa Cipro,
Giugne al porto seguita
Dall’onde biancheggianti:
Tal seguono di Cadmo
80L’innumere bandiere.
Già s’ode il mormorio
Del fiume che precipita
Nella fiorita Dirce;
Ma non si vede ancora
85li placido mirteto
Che di Pindaro ha nome.
Là il giovane poeta
Della città fuggendo
Il rumor e le turbe,
90All’ombra solitaria
D’antica e queta selva
Invocava d’Apollo
Con umiltà l’aïta,
Prima d’abbandonarsi
95All’estro suo sublime.
Ei bentosto sentiva
Sull’infiammate guance
Del Nume la soave
Inspiratrice lena.
100In que’ sacri momenti
Il susurrar del bosco
Gli par lontano canto:
Il sordo mormorio
Dell’ampia cateratta
105Armonïoso sembragli
Concerto di strumenti:
Inaspettato un raggio
Del sol penetra ’l bosco
E degli alberi indora
110La cupa irsuta scorza,
E tosto pargli udire
Delle Muse la voce,
Dal liuto accompagnata
Del sempre giovin Dio.
115Ma la valle s’incurva,
Ed ecco innanzi n loro
Di Pindaro l’ameno
Monumental delubro.
Lo saluta la turba
120Con alto e lungo grido,
Tre volte replicato;
Poi ’l coro accompagnato
Dal dolce suon del flauto,
Intuona l’inno usato:
125Ombra sacra, ricevi
I doni che depone
Sovra la tomba augusta
Tebe con grata man!
Finchè, dal tempo illese,
130Le sue superbe mura
Adorneran quel colle,
Tua gloria non morrà.
Porgiamo questi doni
Al tuo velo, deposto
135In questo suol; tu stesso
Stai con gli Dei nel ciel.
Cessò il solenne canto,
E si volge lo sguardo
Dell’adunata folla
140Ver le lontane cime
De’ monti in occidente.
Al tramontar del fulgido
Tebano Sole-Pindaro,
Nel suo Delfico tempio
145Cosi Febo rispose
Al nunzio apportatore
Dell’ingioconda nuova:
«L’alta Tebe consacri
Un tempio e un sacro bosco
150Al solo fra mortali,
Che nelle feste mie
Alla mia mensa ammisi;
L’onori quale Eroe
Con annui sacrifizj,
155Ed ognora a me invii
Per ricever la fiamma,
Onde bruciar l’incenso,
Offerto al Semidio.»
Mandava dunque Tebe
160Ogni anno un messaggero
Ad Apollo, il dì innanzi
Della festa sacrata
Del deificato Vate.
Della turba improvviso
165Esce solenne un grido
Che annunzia l’aspettato
Del messagger ritorno
E s’inchinano tutte
Le teste, riverendo
170Del Nume il sacro dono,
Mentre tra mezzo a loro
Lo reca il messaggero.
Con destra man frattanto:
De’ giovani una schiera
175Circonda dell’Eroe
Il tempio coi vaghissimi
Roseti, ed all’intorno
Dell’ara rilucente
Le ghirlande ha sospese
180De’ più squisiti fiori.
Ricevono dagli altri
I santi sacerdoti
Il mele, il latte, il vino
Ed i preziosi aromi,
185Che già con impazienza
La sacra fiamma aspetta.
In tacite preghiere
Invocano il favore
Del padre Semidio
190Pïamente gettando
Tre volte a mani piene
L’incenso nella fiamma,
Che subito del tempio
All’alta volta sorge
195E a sè d’intorno sparge
La vivida chiarezza
Di lampi abbagliatori.
Prosternata la turba
Colla fronte il suol preme,
200E ’l Dio presente adora.
E sei donzelle in candida
Veste qual neve intatta
Bella stirpe di Cadmo
S’appresentano innanzi
205Di Mirtoo gloriosa
Alla felice alunna —
Corinna, di Tanagra.
Dall’un lato e dall’altro
La seguon tutte, in schiera
210Alla dorata sede,
Che innanzi al simulacro
Di Pindaro si vede.
L’artefice ingegnoso
Rappresentò ’l Cantore
215Allor, che fisi al cielo
Tiene gli occhi, disciolto
D’ogni terrestre affetto,
E intento ascolta il canto
Delle canore Muse.
220Sul tripode, ch’è tutto
D’oro, Corinna assisa
Così scioglie la voce:
Dammi tua lira, o Febo!
La vostra voce, o Muse,
225Datemi, or che degg’io
Pindaro celebrar.
Ei nella cuna ancora
Muto bambin giacea,
Quando con l’ali aperte
230Piombâr dal ciel due cigni.
E destramente presa
Coi rostri l’umil cuna,
Ratti la trasportâr
Alla Parnassea cima.
235Là voi, Febo e Camene,
L’attendeste benigni,
Per coronare il pargolo
Principe della lira.
Lo tiene l’alma Clio
240E se lo stringe al petto;
Le labbra gli lavò
Con fresca onda Castalia
Febo, e gli inspirò ’l dono
Di magica armonia;
245Cinsero le sorelle
Con alloro la cuna.
E con sonanti penne
Tra stupefatti venti
I cigni il riportâr
250Alle sponde Dircee.
Chi dir potrebbe ’l lieto
Spavento de’ parenti,
Ritornati dal campo,
Così veggendo il figlio?
255Non già, non già di Cadmo,
Nè d’altra illustre stirpe
I suoi natali fur,
Di padre oscuro prole:
Ma gli immortali Dei
260A lor talento innalzano,
A lor talento abbassano
L’umana e debol schiatta.
Fu Pindaro da quelli
Eletto Re de’ Vati.
265È il fanciullesco già
Suo balbettar sonoro.
Il giovane, schivando
Spesso i lieti compagni,
L’alto silenzio cerca
270D’una grotta o d’un bosco.
Quivi, sua voce al canto
Sciogliendo, il correr rapido
Dimentica del Sol,
Mentre tempra la lira.
275Un dì, la fama il dice,
Quand’egli in seno al bosco
Modula un carme, Pane
Sul vicin prato balla.
Capinera e fringuello,
280Benchè dolce, Natura
Il canto a lor donò;
Pure se odono vaghi
Augelletti garrire
In altra selva nati,
285Essi gli imitan tosto
E mutano il lor verso.
Sol l’usignuol, fra tutte
L’alate turbe, canto
Non imita stranier.
290Dell’innato tesoro
D’armonïa contento,
Egl’in sè stesso trova
Tutti i suoi lieti o mesti,
Dolci o sublimi suoni.
295Così a null’altro vate
Pindaro mai somiglia.
All’Asopo è simil,
Re de’ beozj fiumi.
In cima al Citerone,
300Fra le vetuste querce,
Ei strepitoso sorge
Colonna di diamante:
Arcobaleno in polve
Poi trasformato il vedi
305Con tuono assordator
Cader cangiato in rivo:
Piomba di rupe in rupe,
E nella valle, a fonti
Di sciolta neve unito,
310Sen va superbo fiume.
Ei nel suo ratto corso
La vaga Erea1 rincontra,
Ove le Grazie stan.
Rinunziando alla gloria,
315Ei rimaner vorria
Colla vezzosa amante;
Ma l’austera Giunone2
Sbandì l’amor nascente.
Con tacit’onda passa
320Là dove spenti furono
Gl’immortali guerrier,
Che fecondar col sangue
Loro, e con quel de’ Persi
Platea, là dove sorse
325Di libertà la quercia,
Tutta l’Ellade ombrando.
Già l’aspetta ’l canoro
Ismeno3 caro a Febo,
E il Termodonte4 ancor,
330Che ai pié di Giove sgorga,
E lo Scamandro5, d’uve
Purpuree inghirlandato,
Per fargli bella scorta
Nel suo pomposo giro.
335Con i sonanti flutti
L’alte sponde battendo
Un fiume più non par,
Mentre all’ondoso inoltrasi
Colle d’Anfiarao6:
340Sembra un lago corrente,
E viene, non vassallo,
Ma, Rege a Rege, al mare.
Sublime, audace, vago
O Pindaro, tu sei,
345Vate che non ha par;
In un severo e dolce,
Tu lanciti a tua meta:
Con forte man tu innalzi
Ogni terrena cosa
350Al ciel, tua stanza usata.
Agli alti carmi tuoi
Ognor porgea l’orecchio
Apollo con piacer.
Dinne, che mai provasti
355Allor che ’l sacerdote
Nel tempio ad alta voce
Chiamò te uom mortale
Del Nume all’alta mensa?
Nel santuario istesso,
360Onde piacere al Dio,
I Greci da quel dì
Il tripode ti posero
D’or puro, in faccia al Dio
E tu, com’egli stesso,
365Seduto e incoronato
Cantavi gli inni tuoi!
E tu, la negra invidia
Nè il vil odio sentisti
Pel genio emulator
370Che vincerti tentava,
Tu che sicuro stavi
Del possente tuo genio
E de’ tuoi merli conscio,
Fatto simile a un Dio.
375«Chi con sublime canto
Le vostre radunanze
Venture abbellirà
Se recusiamo i premj
Ai giovani cantori?»
380Dicesti tu quel giorno,
Che di glorioso lauro
Il capo mi cingesti.
Benchè della vecchiaja
L’augusta regia fronte
385Ti cingesse l’albor,
Anzi tempo tu fosti
Ritolto al patrio suolo
Dai Numi, che impazienti
Ti voleano fra loro
390Nelle celesti stanze.
Eroe tu caro ai Numi,
Dell’Ellade e di Tebe
Sii sempre protettor,
E i nostri prieghi ascolta!
395Questo serto ricevi,
Premio del canto mio!
Chi innanzi a te potria
Incoronar sua fronte?
(Ella prende la corona d’oro
destinatale e la pone sul
capo di Pindaro.)