Ed al paterno tetto,
Poco meno ch’ascoso
Da florida pervinca
E variopinte viti, 75Stanca rediva e lieta:
Posava il corpo lasso
Sulle ruvide spoglie
Di spaventevol orso,
E ritornava al bosco 80Pria che spuntasse l’alba
Dalle dita di rose.
Ogni garzone ardea
Per lei, che bella e altera
Amor spregiava. Il padre 85Diceale: «Mira, al figlio
Di Citereo soggiacciono
Gli Dei, non che i mortali.
E tu pensi sottrarti
Al comun fato, o figlia? 90Ama: felice sia
Sposo, che tal te renda;
E fa che lieto stringere
Al seno io possa ancora
I tardi figli miei.» 95Ed ella a lui, scherzosa:
«Padre, dicea, prometto
Dar la mia mano a lui,
Che sappia tormi il core.»
E baciando la fronte 100Del mesto genitore,
Ella sapea mai sempre
Sgombrar l’ansia e l’affanno
Dalla paterna mente.
Un dì, seguendo un daino, 105La foresta percorse
Dallo spuntar del sole
Fin al meriggio ardente.
Ode, assetata e stanca,
Il mormorio d’un rivo 110Fra le piante nascosto,
Il cerca, il segue e scorge
Ampio spazio racchiuso.
Altissime, muscose
E secolari querce 115L’adombran sì, ch’appena
V’entrin del sole i rai.
Distendono le piante
L’immobile lor ombra
Sovra le placid’onde 120D’un limpido laghetto,
Che molti rivi nutrono
Con cristallini umori.
Circonda il cheto lago
Erbetta molle e folta, 125Ed al riposo invita.
Narcisa affaticata,
Deposto l’arco d’oro
E ’l lucido turcasso
D’alate freccie pieno, 130Appiè d’una robusta
Antichissima quercia
Siede del chiaro lago
Sulla florida sponda,
E avidamente l’aura 135Balsamica respira.
Odesi all’improvviso
La dolce e mesta voce
D’un usignuol romito,
Che piange il vuoto nido: 140E par che la foresta
Al piano suo pur piange.
La cacciatrice, scossa
Alle dolenti note,
Turbato il cor da ignoti 145Sensi, che non intende,
Involontaria rompe
In sospiri affannosi.
Dagli occhi un caldo fonte
Di lacrime le gronda; 150Ed in pensieri immersa
Or lieti, or spaventosi,
Ella insensibilmente
La bella testa inchina
Ver la fiorita sponda