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Il periodo che segna la trasformazione del governo repubblicano in potestà imperiale è certo dei più gloriosi per la storia dell’arte romana. Quando Giulio Cesare cominciò il suo grande lavoro di riorganizzazione, si trovava ad avere un popolo mirabilmente preparato ad ogni suo tentativo e oramai pronto a seguirlo nella nuova via. Come tutti i fondatori d’imperi egli aveva la visione di una grande metropoli, ricca di edifici meravigliosi, degna veramente di essere la sede e la reggia delle grandezze cui la preparava. Inoltre, uomo raffinato e spirito letterario, educato alle grazie greche e alla squisitezza dell’arte ellenica, egli non poteva tollerare la miserabile città repubblicana, le cui strade disordinate e i cui edifici rozzissimi non [p. 42 modifica] testimoniavano certo in favore della sua grandezza. Se egli avesse potuto condurre a fine il disegnò grandioso a cui aveva indirizzato tutti gli sforzi della sua vita, avrebbe lasciato senza dubbio ai suoi successori un gruppo di monumenti e di edifici che sarebbero stati documento prezioso della sua attività. I decreti de augenda urbe sono, d’altronde, una testimonianza preziosa per l’interesse che egli portava nella trasformazione edilizia della città. L’epoca nella quale egli visse era favorevolissima a questa sorta d’impresa. Abbiamo veduto infatti come da oltre un palatino — avanzi della casa di livia.
(Fot. Alinari).
secolo si fosse venuto modificando il primitivo spirito italico e come gli elementi ellenici avessero influito sull’evoluzione dell’arte romana. Gli scultori greci erano stati chiamati a ornare di statue i nuovi edifici e si può dire che le sculture di quel periodo non sono se non riproduzioni di opere ellenistiche. In una forma di arte però — nel ritratto — i nuovi artisti dovettero subire l’influenza italiana. I busti che ci rimangono di quell’epoca, sono già mirabili esempi di ricerca psicologica e di espressione. Il busto di Giulio Cesare (Museo di Napoli), quello di Augusto giovinetto (Vaticano), quello così profondamente umano di Bruto (Campidoglio) e sopratutto il mirabile ritratto di Cicerone (Londra, collezione Apseley) sono il più puro prodotto [p. 43 modifica] della abilità tecnica dei Greci, unita alla acutezza analitica dei Latini. Disgraziatamente noi non possediamo così importanti avanzi architettonici, da poter paragonare le due arti.

Delle molte opere edilizie intraprese da Giulio Cesare, pochissime furono condotte a fine sotto di lui e di queste poche quasi più nulla ci rimane. Noi sappiamo che uno dei suoi primi pensieri fu di riorganizzare il Foro Romano e di edificarvi la nuova basilica che doveva portare il suo nome. A questo fine egli spostò dal loro luogo di origine i rostri, e gli scavi recenti ci hanno dimostrato — dietro un avanzi del criptoportico che conduceva alla casa di caligola. acuto suggerimento di Giacomo Boni — dove questi nuovi rostri fossero situati. Ma di loro non rimane ormai che il basamento composto da riquadri di tufo e della basilica Giulia non vediamo che le basi dei colonnati, il pavimento lastricato di marmo e la scalinata d’accesso. E ancora questi avanzi meschini appartengono al restauro di Augusto, quando — distrutta la basilica da un incendio — egli la riedificò dalle fondamenta prendendo occasione per ingrandirla. Essa doveva comprendere un grande rettangolo di oltre cento metri di lunghezza su cinquanta di profondità, fronteggiato da un colonnato che si apriva sulla pubblica via. Nell’interno vi era il tribunale, il cui pavimento era decorato da marmi preziosi.

Del resto era quella un’epoca di grande attività edilizia e si sarebbe detto che [p. 44 modifica]ogni cittadino volesse imitare o emulare il Dittatore nella riedificazione della città. Il console Lucio Emilio Paullo, infatti, otteneva da Cesare mille e seicento talenti Per compiere la basilica Emilia che il suo antenato aveva eretto venticinque anni io, da un quadro di nicia — pittura murale nella casa di livia sul palatino. prima; mentre per conto suo il grande Pompeo edificava un teatro circondato da portici, che fu il primo teatro in muratura costruito dentro la cinta di Roma. In quel periodo ansioso di trasformazione — e fu la prima trasformazione veramente radicale che ebbe a subire il popolo di Roma — ognuno seguiva fatalmente la via tracciata dagli eventi. Se Cesare fosse vissuto, è molto probabile che una meravi[p. 45 modifica]gliosa città sarebbe sorta sulle rovine dell’antica. Ma disgraziatamente il Dittatore cadeva trafitto nella Curia, ai piedi della statua di Pompeo, ed altri doveva attuare il suo programma. La tradizione pietosa o piena di venerazione dei Romani, vuole riconoscere nel mediocre simulacro di Pompeo del palazzo Spada, la statua contro la quale venne a cadere sanguinoso il più alto rappresentante della latinità. polifemo e galatea.
pittura murale sulla casa di livia sul palatino.
Noi non abbiamo nessun documento che affermi o smentisca questa tradizione: conserviamola pietosamente per quello che ha in sè di bellezza e di forza.

Il compito di compiere il vasto disegno di Cesare, fu così riservato ad Augusto suo erede morale e materiale. Egli pensò prima di tutto di stabilire solidamente il nuovo stato e di dare al suo popolo insieme con istituzioni nuove una religione ufficiale più severa e più degna delle sue tradizioni antiche. Egli fu l’organizzatore venuto dopo il creatore: colui che ordinò i cittadini con altrettanta saggezza di quella impiegata nel ricostruire la città. E — fondatore di una dinastia — ebbe la visione estetica del suo sogno e amò gli edifici sontuosi e tutti gli abbellimenti dell’arte. Avendo trovato una città mediocre, si diede a ricostruirla quasi intieramente, tanto che — ci avverte Svetoniojure sit gloriatus marmoream se relinquere quam lateritiam accepisset; «si gloriò giustamente di lasciare una città di marmo là dove ne aveva trovata una di mattoni». Inoltre, non potendo da solo compiere il suo disegno troppo vasto, consigliò i suoi amici di seguirne l’esempio e noi vediamo Marcio Filippo e Lucio Cornificio e Asinio Pollione e Statilio Tauro e Marcello e Agrippa e Mecenate e Cornelio Balbo divenire i munifici edificatori della città.

Augusto ebbe dunque la sorte di veder compiere la grande trasformazione che si andava preparando ormai da due secoli e di dare il suo nome al secolo d’oro dell’arte e della letteratura romana. Rimasto padrone dell’impero, dopo la battaglia d’Azio e la conquista dell’Egitto, egli si diè subito a compiere il suo programma di rifacimento morale e materiale della città. Cominciò col condurre a fine gli edifici cominciati da Cesare — che erano circa in numero di quaranta — adornò la tri[p. 46 modifica]buna pubblica coi rostri delle navi conquistate ad Azio, riordinò l’apertura delle strade e la distribuzione delle acque, divise la città in quattordici regioni, creò le sette Stationes Vigilum o posti di vigili che dovevano occuparsi degli incendi e della polizia interna di Roma. Intanto procedeva nell’abbellimento della città innalzando un tempio ad Apollo e un palazzo sul Palatino che iniziava così la sua trasformazione e diveniva ufficialmente l’abitazione dei Cesari. Del tempio di Apollo non si riconoscono con esattezza gli avanzi, ma si conserva ancora in Vaticano la statua tempio di saturnio e di vespasiano. bellissima del dio Citaredo, opera di arte greca del buon periodo e messa da Augusto nel santuario del tempio da lui edificato. Qualche rudero più importante invece rimane del suo palazzo che doveva estendersi verso la Villa Mills e la chiesetta di San Bonaventura e che gli scavi già progettati rimetteranno un giorno alla luce.

Ma di tutti gli edifici augustiani del Palatino — e si potrebbe aggiungere di tutti gli edifici imperiali di quel colle — il più importante per la sua conservazione è la così detta casa di Livia, o palazzo privato di Livia, dove si ritirò dopo la morte dell’imperatore che aveva sposato in seconde nozze, non senza forse il pensiero di assicurare il trono a Tiberio, figlio avuto dal primo marito. La casa è preceduta da [p. 47 modifica] un criptoportico che conduco nel vestibolo il cui pavimento è adorno di mosaico e si apre sopra un cortiletto quadrato che doveva essere adorno di una fontana. Intorno al cortile sono tre stanze decorate da pitture murali che per la loro finezza e per l’epoca in cui furono eseguito rimangono fra le più belle di quante se ne conservano a Roma. Rappresentano figurazioni mitologiche, scene della vita dei campi, decorazioni architettoniche e floreali. In una si vede Polifemo che fuggente sul dorso di un Tritone; in un’altra si rappresenta il mito di Io arco e mura dei pantani. (Fot. I. I. d’Arti Grafiche). perseguitata da Giunone per l’amore che le portava Giove; in una terza è Mercurio inviato dal Padre degli Dei per addormentare Argo. Le decorazioni architettoniche di una grande purezza di linee, riquadrano queste pitture e i semplici specchi dipinti di un bel rosso vivo o adorni di ghirlandette e di foglie. Altrove sono fasce monocrome dove si svolgono scene campestri, sacrifici agli dei, lavorazione dei campi, tutta la vita operosa della campagna. Altrove ancora — come nell’elegantissimo Triclinium — trofei di frutta, vasi di cristallo, gruppi di cacciagione corrono intorno alla faccia superiore, mentre le pareti spariscono sotto una sontuosa tinta vermiglia, che i secoli non hanno offuscato. Tutte queste pitture furono eseguite senza dubbio da artisti [p. 48 modifica] greci e la scena di Io custodita da Argo è una fedele riproduzione del quadro di Nicia d’Atene, nipote e scolaro di Eufronoro. Nel loro insieme rappresentano dunque un centone d’arte ellenica, e formano una decorazione varia e sontuosa al tempo stesso che ci permette di ricostruire con esattezza le tendenze pittoriche di quel secolo d’oro dell’arte romana.

Mentre gli architetti e gli artisti augustei arricchivano così le abitazioni private alla sua famiglia, il fondatore dell’impero continuava la costruzione dei nuovi edifici nel Foro. Abbiamo veduto come egli avesse riedificato e ingrandito la basilica Giulia distrutta dall’incendio che, durante i tumulti nati sul corpo sanguinoso del Dittatore, aveva danneggiato molti edifici del Foro Romano. Lo stesso doveva fare per il tempio della Concordia e per la basilica Emilia. Il primo — edificato in origine da Camillo per commemorare l’approvazione della legge Licinia e la pace sopravvenuta fra patrizi e plebei — fu sotto il suo regno restaurato con sì grande magnificenza da Tiberio che prese il nome di Templum Concordiae Augustae e fu consacrato l’anno 9 dell’Era volgare. La seconda — distrutta dall’incendio — fu rifatta a sue spese e adornata da fregi mirabili e da quelle colonne di pavonazzetto che più tardi l’imperatore Teodosio doveva adoperare per la riedificazione della basilica di San Paolo. Inoltre sul luogo stesso dove fu arso il cadavere di Cesare, la notte che seguì l’uccisione, tra l’ululo del popolo e dei legionari sul rogo dove divamparono i mobili della Curia, innalzò un tempio dedicato al Dio l’anno 29 avanti G. C. e di cui oggi non rimangono che scarsi frammenti.

Ma col crescere della potenza di Roma e con lo straordinario aumento della sua popolazione il Foro Romano cominciava a non esser più sufficiente. Augusto rimediò a questo inconveniente col costruire ed aprire un nuovo Foro che prese nome da lui e che comunicava con l’antico tanto da esserne la continuazione. Il nuovo Foro era limitato da un’alta muraglia di pietra Gabina, nei cui fianchi si apriva la porta arcata d’accesso. La muraglia era stata eretta per circoscrivere l’area e separarla dalla vista delle case private che sorgevano in quel luogo popolatissimo di Roma. Il Foro aveva forma rettangolare circoscritto ai lati da due emicicli simmetrici ed era circondato da portici adorni con le statue dei capitani più illustri nella storia di Roma. Nel centro poi, s’innalzava un tempio d’ordine corinzio — di cui sussistono le colonne colossali dedicato a Marte Ultore e promesso da Augusto al Dio della guerra, il giorno della battaglia di Filippi, per vendicare l’assassinio di Cesare. Questo tempio sontuoso, decorato nell’interno da mirabili colonne di giallo antico e arricchito coi capolavori della scultura e della pittura greca, finì col dare il nome a tutto il Foro che nel medioevo era detto Martis Forum, da cui ebbe origine il nome di Marforio, dato al vicolo che di là conduceva al Campidoglio.

Nel tempo stesso Ottaviano Augusto aveva restaurato il Circo Massimo che fino allora era stato di legno e che egli costruì in muratura, innalzando sulla Spina, in memoria delle sue vittorie egiziane, due obelischi di granito1 e si faceva erigere all’estremità del Campo Marzio il sontuoso mausoleo che doveva accogliere nelle sue profondità i membri della sua famiglia e i suoi successori fino a Nerva. Questo monumento funebre colossale, di forma rotonda, sorgeva in mezzo a un parco [p. 49 modifica] magnifico ed era coronato da un terrapieno piramidale su cui era stato piantato un boschetto di cipressi e sulla cui cima s’innalzava la statua dell’imperatore.

avanzi del tempio di marte ultore ed arco de’ pantani.(Fot. Alinari).

Ma l’edificio più importante che egli abbia eretto e che rimane fra i più insigni di tutta l’antichità è senza dubbio l’Ara della Pace. È noto come, debellato Antonio alla battaglia di Azio, pacificate le Spagne, dato assetto alla repubblica, Augusto [p. 50 modifica]mausoleo di augusto — incisione di stefano du pérac — dall’opera: «i vestigi delle antichità di roma». roma, 1575. chiudesse il tempio di Giano Quirino che dalla sua fondazione una volta sola era stato chiuso. Si capirà facilmente come il «buon Augusto» dovesse solennizzare questo avvenimento con un edificio che fosse al tempo stesso un ricordo del fatto e una manifestazione del suo spirito religioso. In processione i sacerdoti e i famigliari di Augusto seguiti da una gran turba di popolo partirono dal tempio della dea Pale, sul Palatino, e sostarono ai principali santuari della città fino al Campo Marzio, che allora era un luogo paludoso e scarsamente abitato. Qui era stata innalzata una intavolatura, dietro la quale si trovava un altare provvisorio su cui vennero consumati i sacrifici. Tre anni dopo il luogo fu cinto di mura e i due architetti della Corte di Augusto — quel Sauros e quel Batrakhos che firmavano le loro opere con la rana e la lucertola, immagini dei propri nomi e che ritroviamo un poco in tutti i monumenti augustiani — eressero l’edificio marmoreo che doveva custodire l’Ara della Pace. Oramai gli scavi intrapresi da Angelo Pasqui sulla scorta del Petersen e i frammenti già portati alla luce e le tracce trovate dieci metri sotto terra ci permettono in parte di ricostruire il singolare edificio. Era questo un quadrilatero con una fronte di undici metri sopra una profondità di dieci, che formava il recinto marmoreo adorno di fregi e coronato da un prezioso bassorilievo. Una porta alta tre metri si apriva sulla facciata, in corrispondenza dell’ara, e dietro questa una porticina minore serviva al passaggio delle vittime per il sacrificio. I marmi che rivestivano le pareti esterne erano tutti adorni di greche, di tralci e di viticci, fra i quali scherzavano piccoli mammiferi, uccelletti e rettili intagliati con quella finezza che non fu mai superata nè meno dagli artisti del rinascimento. E finalmente la parte superiore era coronata dal grande [p. 51 modifica]bassorilievo, dove si svolgeva la cerimonia dell’inaugurazione dell’ara: i sacerdoti, i patrizi, i senatori, i cavalieri, il popolo che dal tempio della dea Pale scendeva allo steccato del Campo Marzio dove sarebbe dovuto sorgere il grande altare della Pace. Ognuna di quelle figure rappresenta un individuo che noi abbiamo conosciuto nelle pagine di Svetonio o di Tacito, nelle odi di Orazio o nelle ecloghe di Virgilio. È la ricostruzione — o per essere più esatti — la rievocazione di quell’epoca gloriosa che aveva avuto i più grandi artisti della storia romana e aveva udito i suoi più grandi poeti cantare dietro il suggerimento della grandezza presente le imprese e i trionfi del passato!

L’attività edilizia dell’imperatore era dunque stata notevole: altrettanto doveva esserla quella dei suoi famigliari o dei suoi amici che dietro il suo esempio preparavano con edifici sontuosi la nuova metropoli del mondo, tra questi vanno ricordati Ottavia, sorella amatissima di Augusto e moglie tenacemente e virtuosamente fedele di Antonio, che non seppe approfittare di quella sua appassionata divozione e la respinse quando più utile ne sarebbe stato l’aiuto: e Balbo e Marcello edificatori di teatri meravigliosi e Mecenate che fu forse il consigliere definitivo per l’accentramento dei poteri pubblici in mano dell’imperatore e che in seguito giovò a fargli accogliere i più illustri intelletti del suo tempo e finalmente Marco Agrippa, la cui vita preclara e la cui rettitudine un poco sdegnosa non doveva salvarlo dalla tempesta di sangue che Tiberio seppe scatenare su Roma atterrita. ara pacis augustae — disegno di g. durm. [p. 52 modifica]

Di Ottavia rimangono i portici edificati da Augusto in onore della sorella prediletta, sul luogo stesso dove Quinto Cecilio Metello aveva eretto un tempio a Giove per solennizzare le sue vittorie in Macedonia. Questi portici contenevano biblioteche, templi e capolavori dell’arte greca. Fra questi si notavano principalmente le statue di Diana e di Esculapio, scolpite da Cefisodoto figlio di Prassitele; la Giunone e il Giove di Policleto e l’Afrodite di Fidia. Alle pareti della Schola stavano appesi i due quadri di Antifilo rappresentanti Esione e Filippo di Macedonia; Minerva e Alessandro Magno. Marmi preziosi ne decoravano la facciata e i pavimenti e trecento ara pacis — particolare della grande processione. colonne d’ordine corinzio ne sostenevano la volta. L’edificio dedicato alla sorella carissima dell’imperatore doveva esser degno del suo nome e della sua virtù.

Fu poco distante da questi portici che Marcello costruì il suo teatro. Abbiamo veduto come già Pompeo iniziasse la costruzione dei teatri in muratura e come Augusto ne seguisse l’esempio rifacendo il Circo Massimo fino allora di legno. Marcello sorpassò l’uno e l’altro in magnificenza e il suo teatro rimane anche oggi fra le più grandiose architetture dell’antichità. Decorato da due ordini d’arcate adorne di mezze colonne doriche e ioniche, ricche di statue, di bassorilievi e di fontane, questo teatro, che poteva contenere oltre ventimila spettatori, fu fra i più sontuosi ornamenti della nuova Roma. E tale rimase fino all’XI secolo quando i Pierleoni lo trasformarono in fortezza. D’allora la vecchia costruzione augustea fu circondata da abitazioni private, e divenne il nucleo di quella fosca Roma medioevale che sembra [p. 53 modifica] addensarsi alle falde del Campidoglio, tra le chiese papali dell’Aventino e le uscure porte del ghetto.

Così cresceva Roma, che Augusto arricchiva di templi e di palazzi, che i suoi famigliari dotavano di teatri, di portici, di terme e di giardini. Questi ultimi furono cari specialmente a Mecenate, l’amico elegante di Orazio e il protettore dei poeti e degli oratori. Le sue ville suburbane erano modelli di ricchezza e di arte e sono note per la fama che ne è giunta fino a noi a traverso le liriche dei suoi protetti. Meno noti invece sono i suoi giardini urbani che occupavano una considerevole ara pacis — particolare della grande processione. estensione di terreni sull’Esquilino. Questa regione, che nei tempi antichissimi era servita di necropoli alle popolazioni circostanti, godeva di cattiva fama durante l’epoca repubblicana e serviva d’asilo alle streghe e ai fattucchieri, mentre un tempio a Mefite metteva in guardia i Romani contro l’insalubrità della sua atmosfera. Augusto volle rimediare a questo sconcio e ne iniziò la bonifica. Dietro suo consiglio. Mecenate trasformò una gran parte di quella regione desolata in un parco meraviglioso ricco di fontane e di boschetti, popolato di statue e splendente di fiori rari e meravigliosi. Un piccolo edificio ellittico in via Merulana, è oggi l’unico avanzo di quel giardino felice. Se bene si voglia comunemente indicare come l’Auditorium o teatrino privato dove i comici e i mimi davano le loro rappresentazioni dinnanzi agli amici di Mecenate, pure sembra più probabilmente che si tratti di una serra dove l’inverno si riponevano i fiori esotici e le piante più rare. Ma se bene il tempo [p. 54 modifica] abbia distrutto il grande parco romano, pure la sua influenza benefica durò a lungo nei secoli. A poco a poco il colle malsano fu trasformato; le principali famiglie di Roma seguirono l’esempio dell’amico di Augusto e le terre desolate e insalubri, convegno di streghe e di fattucchiere, furono trasformate in un parco frondente di alberi, squillante di fontane e olezzante di fiori. Nunc licet Esquiliis habitare salubribus: sulle rovine del tempio di Mefite era sorta per incanto tutta una città verde e fiorita! ara pacis — frammento del fregio floreale.

Ma di tutti gli edifici del periodo di Augusto, il più popolare e il più noto è senza dubbio il tempio che Marco Agrippa eresse a tutti gli Dei, durante il suo terzo consolato, l’anno 27 avanti l’Era volgare. Disgraziatamente però l’edificio primitivo fu arso e gli studi intrapresi dal Chedanne prima e dal Ministero della Pubblica Istruzione più tardi ci hanno dimostrato che il Pantheon, quale noi lo vediamo, appartiene dalle sue fondamenta al lucernario circolare che ne corona la cupola al periodo — così fecondo di belle opere d’arte — dell’imperatore Adriano. Vedremo dunque più tardi, quando dovremo occuparci degli edifici di quell’imperatore che [p. 55 modifica]fu egli stesso un architetto, quale doveva apparire il bel Todi fido nell’epoca del suo più grando splendore.

statua d’augusto.

Così dunque regnò Cesare Ottaviano Augusto, primo imperatore dei Romani, uomo calcolatore che — essendo giunto al potere a traverso stragi sanguinosissime — seppe mantenervisi con una temperanza che per molti anni doveva apparire favolosa [p. 56 modifica] agli abitanti tiranneggiati dai suoi successori. Sotto di lui si completò quella trasformazione dello stile romano che già era cominciata da tempo e se per un certo riguardo questa trasformazione si volse più specialmente verso lo stile ellenico, pure non mancarono influenze straniere che fondendosi a quello ne definirono il vero e proprio carattere nazionale. Abbiamo veduto infatti, come dopo la vittoria di Azio, Augusto innalzasse nella Spina due obelischi egiziani; ma molte altre opere d’arte avanzi del frontone del portico d’ottavia. (Fot. Alinari). e molte divinità dell’Egitto seguirono a Roma il carro di trionfo che invano aveva sperato incatenare la bellissima Cleopatra al suo asse. E questa invasione di sculture egiziane non rimase senza esercitare la sua influenza, tanto che noi vediamo qualche tempo dopo — l’anno 12, cioè, prima dell’Era volgare — Caio Cestio, pretore tribuno del popolo e membro del collegio dei Septemviri epulones, ordinatori dei banchetti sacri, scegliere la forma piramidale per il suo sepolcro funebre. E questa piramide alta 37 metri, fu fatta — come ci avverte una iscrizione — in 33 giorni sotto la direzione di L. Ponzio Mela e del liberto Pothus: amici e famigliari del morto.

A traverso i secoli colui che Dante chiamò il «buon Augusto» ci apparisce [p. 57 modifica] recinto di un’aureola di bontà e di rispetto, quale non siamo abituati a vedere intorno ai reggitori dell’impero romano. Egli sembra uscire dalle tenebre della storia con un gesto di pace, quale lo vediamo ancora nella bella statua vaticana, che l’imperatrice Livia aveva eretta in suo onore e por sua memoria nella villetta suburbana che ancora verdeggia tutta negli affreschi immortali delle sue pareti, fra i pini, i mirtilli e le vitalbe di Prima Porta.

avanzi del teatro di marcello in piazza montanara.(Fot. Alinari).


  1. I due obelischi sono oggi sulla piazza del Popolo e sulla piazzetta di Montecitorio. Quest’ultimo continua a compiere l’ufficio di gnomone solare, come all’epoca di Augusto.