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Indice delle illustrazioni II

[p. 9 modifica]sarcofago trovato in s. m. antiqua — foro romano.

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II
N un’epoca antichissima — che può risalire fra il X e il XII secolo prima dell’Era cristiana — le popolazioni che abitavano i monti del Lazio o della Sabina allettate dalla pianura fertile ed irrigua che si stendeva d’innanzi a loro, spinsero gli armenti e i greggi lungo i fiumi che si dipartivano dalle loro terre, e scesero ad occuparla. Quella pianura era vasta, solcata da un grande fiume, paludosa nelle sue bassure, densa di boschi e di selve nei colli che la accidentavano. E questi colli si prestavano mirabilmente — per ragioni di salute e di difesa — ad essere abitati dai nuovi immigranti. A poco a poco le cime delle anonime colline si popolarono di abitazioni, i fianchi scoscesi furono rafforzati da opere primitive, e i pastori che avevano cercato un terreno più propizio alla vita loro e dei loro armenti, costituirono i nuovi villaggi sulle alture che dominavano la valle. Di questi popoli primitivi, noi abbiamo scarse notizie. Essi appartennero a vari ceppi ed ebbero riti e costumanze diverse. Le loro industrie erano grossolane imitazioni di quelle che i mercanti dell’Arcipelago cominciavano già ad importare in Italia. I loro morti, alcuni cremavano offrendo ai loro spiriti cibi e banchetti funebri: altri seppellivano col tesoro delle loro suppellettili, delle loro armi, dei loro adornamenti.

Dai villaggi inerpicati sulle varie alture e sopra tutto da quella che si chiamava comunemente il Colle, e che più tardi fu detta del Quirinale, gli abitanti scendevano nella depressione fluviale portando il cadavere dell’estinto e questo seppellivano alle radici stesse della collina coprendone il sepolcro con diversi materiali che ciascuno recava con sè. Gli scavi recenti di Giacomo Boni hanno rimesso alla luce l’antichissimo sepolcreto latino, ed è questo antichissimo sepolcreto che può [p. 10 modifica] considerarsi corno il primo nucleo e il più remoto intorno al quale doveva crescere e svolgersi la grandezza di Roma. La scoperta delle tombe preromulee è stata una delle pagine più emozionanti della storia degli scavi nel Foro Romano: d’un tratto in mezzo ai tumulti della vita moderna e fra le vestigia della storia romana, la vita dei primitivi abitatori dei colli Tiberini è apparsa dinnanzi ai nostri sguardi, sollevando un lembo del velo che ci nascondeva quella remota civiltà. Due sorta di sepolture, come ho già detto, e che indicano forse due razze distinte, sono radunate nella breve valletta che si apre ai piedi del tempio di Antonino e Faustina: le sepolture a incenerazione e quelle a inumazione. i vasi contenuti nel «dolum» della tomba o sepolcreto preromuleo.

Nelle prime troviamo il grande vaso di terra coperto da un coperchio di tufo convesso, che i latini chiamavano dolium. In esso sono contenuti vari vasi votivi di una terracotta grossolana, coperta malamente da una patina nericcia e l’urna cineraria, a forma di capanna, nella quale sono le ossa calcinate del personaggio cui appartenne la sepoltura. Avanzi dei pasti funebri che vennero fatti in onore del morto sono stati identificati in alcuni dei vasi, dove in una specie di poltiglia si ritrovarono fave, chicchi di grano, ossa di montone o di maiale, lische di pesce ed acini d’uva. Lo stesso corredo di vasi e di suppellettili si ha nelle tombe a inumazione, dove lo scheletro giace in mezzo al suo tesoro fittile, in parte di fattura indigena e in parte di provenienza greca. In queste seconde fosse, riescono importanti le sepolture dei due o tre fanciulli al disotto dei dieci anni. — Lo scheletro infantile è racchiuso in un tronco di rovere, tagliato in mezzo per il lungo e scavato rozzamente. — In questo [p. 11 modifica] sarcofago primitivo — che forse riuniva il concetto della cremazione col legno e del seppellimento nella terra — sono stati chiusi i cadaverini adorni dei loro vestiari e dei loro gioielli primitivi. Stelline di metallo, che dovettero appartenere ai ricami della veste, anelli di osso, e piccole perle della collana, sono state trovate insieme coi vasi di terracotta o di bucchero dove rimangono le solite traccie del pasto Parte superiore dello scheletro in una tomba del sepolcro preromuleo. rituale; fave, legumi e lische di un pesce fluviale, forse un luccio. A canto a queste tombe, rimangono ancora piccole fossette circolari e poco profonde, il più delle volte vicinissime l’una all’altra, dove fra molti cadaveri di anellidi sono avanzi d’orzo e di grano. E queste furono probabilmente le fossette votive, entro cui dai parenti veniva rinnovata ogni anno l’offerta del frumento e del latte: di qui l’origine dei vermi rimasti nella poltiglia.

Ma a poco a poco, il sepolcreto esposto alle alluvioni del fiume, scomparve sotto un nuovo strato di terra o fu abbandonato dai primitivi abitatori del colle. Di [p. 12 modifica]palatino — avanzi delle mura di romolo.(Fot. Alinari). fronte al Quirinale andava crescendo e sviluppandosi la città degli abitatori del monte, che per essere forse più vicina al fiume e quasi posta a sentinella della pianura, cominciava ad esercitare una specie di egemonia sui borghi circostanti. Fu, infatti, sul Palatino — che allora chiamavano il Monte per distinguerlo dal Quirinale detto semplicemente il Colle — che nacque la città dovuta forse all’unione o federazione di tre stirpi, quella dei Ramni, dei Tizii e dei Luceri. Secondo il Mommsen, e l’ipotesi è delle più accettabili, questa federazione spiegherebbe l’origine della divisione trina di Roma. Certo che a poco per volta la città degli abitanti del Monte cominciò ad avere una specie di supremazia sulle città o borgate vicine, supremazia che in seguito a guerre fortunate e alla sua speciale disposizione topografica divenne una vera e propria egemonia.

Così, dunque, secondo la storia e la critica moderna ebbe origine Roma. Più tardi i favolisti e i poeti vollero nobilitare la nascita della città che signoreggiava il mondo e crearono le due leggende distinte, l’una delle quali faceva risalire a Enea e a Venere la fondazione di Roma e l’altra a Romolo e ai principi della stirpe di Alba Longa. Per molti anni la favola greca e la nazionale sussistettero contemporaneamente, finchè le due tradizioni non si contaminarono e crearono, in modo abbastanza ingenuo, il racconto ufficiale di Enea fondatore d’Alba Longa, da uno dei cui re dovevano nascere i due gemelli fondatori di Roma. [p. 13 modifica]palatino - avanzi della porta mugonia e tempio di giove statore. (Fot. Alinari).

Disgraziatamente per noi, poco o nulla rimane di quelli antichi tempi, che gli storici antichi fanno rimontare a 753 o 754 anni avanti l’Era cristiana, ma che la critica moderna respinge più indietro. I pochi avanzi della Roma Quadrata sul limite estremo del Palatino sono le uniche testimonianze della città primitiva, edificata dagli uomini del Monte dopo la loro confederazione. Fu Romolo, secondo la favola del re indigete, che tracciò con l’aratro, a cui erano aggiogati un torello e una giovenca, il solco che doveva limitare il circuito delle mura e fu anche Romolo che — dileggiato dal fratello — lo uccise con le memorabili parole suggerite senza dubbio all’ingenuo favolista dalla potenza romana. Qualche rudero di queste mura che dovettero recingere lo spazio quadrangolare della nuova città ci mostra ancora la rozza costruzione delle fortificazioni primitive. Sono blocchi irregolari di tufo, scavati nei fianchi stessi del monte e sovrapposti senza muratura oltre un fosso di cinta. E in questo punto che doveva aprirsi la Porta Mugionis, che con le altre tre formava la viabilità del villaggio. Anche qui la leggenda ci riconduce ai tempi mitici e il nome della porta ci fa ricordare il muggito dei bovi rubati da Cacco e riconquistati da Ercole con la forza e con l’astuzia. Più oltre un informe basamento di pietra è generalmente riconosciuto per quel tempio di Giove Statore che Romolo stesso avrebbe consacrato al Dio, per il voto fatto durante la battaglia contro i Sabini, quando i suoi soldati cominciavano a indietreggiare. [p. 14 modifica]

Ma nulla si può dire di preciso intorno a questi pochi ruderi sparsi, i quali è molto probabile appartengano a un’epoca posteriore di quella in cui si pone l’origine stessa di Roma. Come poco si può dire del successivo sviluppo della città fino all’ampliamento e alla riorganizzazione detta di Servio Tullio. Questo spazio di tempo fu veramente occupata da re saggi e legislatori come Numa Pompilio o da re guerrieri e conquistatori come Anco Marzio? O pure la città che aveva imposto la sua supremazia ai borghi vicini intese a rafforzare la nuova dominazione e a creare un insieme di leggi religiose e civili che giovassero a cementare e a giustificare la avanzi delle mura serviane alla dogana. lega? Secondo Teodoro Mommsen il rapido sviluppo si dovette allo spirito commerciale e cittadino dei suoi abitanti contro lo spirito essenzialmente agricolo e contadinesco delle altre città latine. Questo spirito le permise fin da principio di divenire l’emporio dei paesi latini e di prendere una posizione che doveva essere l’inizio della sua potenza. E, in ogni caso, certo, che a un dato punto della storia di Roma non ci troviamo d’innanzi a uno straordinario ingrandimento: i vari villaggi isolati sulle cime dei colli sono compresi dentro un solido recinto di pietra che forma un baluardo potente e unifica sotto un’unica protezione le varie popolazioni disperse.

I ruderi notevoli di questo baluardo, che è noto col nome di recinto serviano, e le tracce delle sue fondamenta scoperte negli scavi recenti ci permettono di ricostruirlo in tutto il suo sviluppo. Secondo Tito Livio (I,36) il re Servio Tullio aveva [p. 15 modifica]cominciato il lavoro grandioso prima che scoppiasse la guerra coi Sabini. Vinti i nemici, l’opera interrotta era stata ripresa e il muro condotto a fine col suo largo agger che doveva proteggerlo dagli urti dei nemici. Si tratta — a quello che ancora si vede — di una costruzione grandiosa di circa 50 piedi di altezza che partendosi dalla Porta Collina — sull’area dove è ora il Ministero delle Finanze — scende per il Viminale alla Dogana, traversa via Merulana e la via delle Quattro Fontane, passa per la piazza Magnanapoli, gira attorno all’Aventino e va a finire vicino al Tevere all’Arco della Salara. È un recinto di molti chilometri, che doveva abbracciare i mura serviane a porta s. paolo. (Fot. I. I. d’Arti Grafiche). varii pagi che formavano la nuova lega cittadina e nei cui fianchi si aprivano molte porte d’accesso di cui conosciamo i nomi. Oltre alla Porta Collina, già citata e che derivava il suo nome dal Quirinale che ancora si chiamava il Colle, vi erano la porta Viminale, l’Esquilina, la Celimontana, la Querquetulana, la Nevia, la Capena, la Rauduscolana, la Trigemina e la Sanquale. Quest’ultima si può ancora vedere nel cortile del palazzo Antonelli a Magnanapoli. È una costruzione bassa, chiusa nell’arco da un blocco di tufo rozzamente squadrato. Doveva il suo nome alla vicinanza di un tempio dedicato a Semo Sancus, il misterioso Dio Sabino il cui culto era ancora molto esteso in quei primi anni, quando gli elementi sabini, se non predominavano erano per lo meno molto numerosi nella nuova città. [p. 16 modifica]

Ma intanto, costruito il recinto, lo spazio che ne era compreso si andava popolando di edifizi nuovi e di lavori di pubblica utilità. Già, molto probabilmente, la pianura che si stendeva tra il Palatino e il Quirinale ora divenuta un luogo di riunione e di conversazione per i mercanti che dovevano trattare gli affari e per i borghigiani che volevano incontrarsi con loro maggior agio. Uno dei primi lavori che dovettero farsi, fu senza dubbio il prosciugamento del suolo paludoso e l’incanalamento dei rigagnoli che lo irrigavano. L’incanalazione dello Spinon, che era forse porta sanquale nel palazzo amonelli a magnanapoli. il più importante di quei rigagnoli, costituì quella Cloaca Maxima che, a traverso infinite vicende e vari mutamenti, continua a compiere il suo ufficio anche ai nostri giorni. Se bene la leggenda attribuisca questo lavoro importante al re Tarquinio Prisco, è invece molto più probabile che essa rimonti a un’epoca anteriore e sia stata eseguita da ingegneri etruschi, molto pratici in questo genere di lavori. Certo è che il drenaggio della valle fu la prima origine del Foro Romano, Su quel terreno pianeggiante e secco, cominciarono a poco a poco a sorgere gli edifici, fra i quali rimangono anche oggi — vestigia antichissime e rovinate — la Curia Ostilia e il pozzo aperto alle radici del colle capitolino, pozzo che fu detto Tullianum e che è una rozza costruzione eminentemente latina, composta da blocchi di tufo peperino [p. 17 modifica] e coperta in origine da una pietra convessa come i tesori di Arcomeno e di Micene o come i sepolcri di Cere e la fonte dello mura Tuscolane.

Di più, resa praticabile la valle paludosa, essa diveniva la via di comunicazione più diretta, per giungere al Campidoglio dove fino dai primi tempi sorgeva l'Arce comune. Nelle primitive cittadelle italiche esisteva uno spazio cinto da un muro di fortificazione e posto sul punto più alto del colle, dove in caso di pericolo gli abitanti si ritiravano coi loro greggi e i loro averi. In esso era anche un tempio per la preghiera; sbocco nel tevere della cloaca massima. ma sembra che all’infuori di circostanze speciali l’arce rimanesse disabitata. Il Campidoglio compì in origine questo ufficio, presso le popolazioni dei borghi tiberini. Più tardi, quando la potenza di Roma costrinse i suoi storici a crearle un’origine fatidica e divina, fu inventata la favola del capo sanguinoso rinvenuto mentre si scavavano le fondamenta del tempio di Giove. Questa lugubre reliquia era appartenuta a un certo Oleo, così che da Caput Olei sarebbe derivato il nome alla collina famosa. Interrogato l’oracolo su questo presagio, questi avrebbe risposto che la città sarebbe stata un giorno a capo del mondo. Un’altra leggenda, anch’essa posteriore di molto, cercava di spiegare l’origine della roccia scoscesa dalla quale si [p. 18 modifica] precipitavano i rei di alto tradimento. È noto come i favolisti narrassero che durante la guerra di Romolo contro i Sabini, assediati i Romani nell’Arce Capitolina, si difendevano così strenuamente che il loro re Tito Tazio pensò di ricorrere al la rupe tarpea.(Fot. Alinari). sotterfugio per espugnare la rocca. Si diresse infatti a Tarpea, figlia di Spurio Tarpeio custode della fortezza, e un giorno in cui ella usciva per attingere acqua alla fonte la persuase ad aprire le porte di notte tempo in seguito ad un compenso pattuito. Tarpea accettò e i Sabini conquistarono l’Arce; ma l’atto parve loro così infame che avendo richiesto la giovinetta in premio del suo tradimento le [p. 19 modifica]la rupe tarpea. [p. 20 modifica] la lupa del campidoglio — palazzo dei conservatori.(Fot.Alinari). armille e gli ornamenti che i Sabini portavano ai bracci, questi li scagliarono contro la malcapitata con tanta forza che ne rimase uccisa. Di qui l’origine del nome di Roccia Tarpea, e dell’ufficio cui fu impiegata nei delitti di tradimento verso la patria. Ma all’infuori di queste leggende, noi non abbiamo nessuna testimonianza delle costruzioni primitive sorte sul colle Capitolino. Queste comprendevano certamente l’Arx sul lembo estremo dove è ora la chiesa di Santa Maria in Aracoeli e nel cui recinto doveva essere compreso il tempio di Juno Moneta e dal lato opposto, il tempio di Giove Ottimo Massimo. Questo dovette essere edificato negli ultimi anni del regime regio e consacrato nei primi della repubblica dal console Orazio Pulvillo. Era un edificio d’origine etrusca, decorato da terrecotte policrome e coronato da una quadriga anch’essa di terracotta. Frammenti di queste decorazioni furono trovate nel 1896 e rappresentano antefisse decorate da palmette e il busto di una donna vestita di tunica e dipinto di rosso. Ma, come ho notato, tutta l’epoca delle origini è avvolta da un velo profondo e le misteriose divinità italiche, scavate dalle zolle della terra madre, sembrano proteggere col loro sorriso enimmatico il segreto religioso che chiude nel cerchio delle sue leggende, la nascita prima della città che doveva signoreggiare il mondo.