Rivista di Scienza - Vol. I/La Science et l'Hypothèse e La Valeur de la Science

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La Science et l'Hypothèse e La Valeur de la Science
La science moderne Sulla trasmissibilità dei caratteri acquisiti
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H. Poincaré - La Science et L’Hypothèse. Paris, Flammarion. — La Valeur de la Science. Paris, Flammarion.

Il Poincaré, di cui ogni cultore di scienze conosce i meriti insigni, ha voluto con questi due libri fare per conto suo, almeno nel campo della Fisico-matematica, quello che la Rivista di Scienza si propone di ottenere da quanti, con i metodi più disparati, nelle discipline più varie, promuovono e accelerano il progresso delle ricerche scientifiche. Nel primo, il Poincaré esamina quale sia il posto occupato dall’ipotesi nella matematica e nella fisica, nel secondo, dall’esame di questioni interessanti di geometria, astronomia e fisica matematica egli sale a una valutazione generale della Scienza, dei suoi metodi e dei suoi risultati e cerca di trattenere nei giusti limiti un nominalismo eccessivo che in [p. 144 modifica]qualche frase del suo primo volume aveva, forse non del tutto a torto, creduto di trovare appunto una conferma.

Del resto non è difficile spiegarsi come questo equivoco abbia potuto sorgere e non è improbabile, che ad altre inesatte interpretazioni del pensiero del Poincaré si debba assistere. Gli studi, ora raccolti in due volumi, furono prima pubblicati in articoli e conferenze staccate e non possono apparire come l’espressione di una veduta organica intorno ai problemi più urgenti della filosofia scientifica, se non a chi sappia trovare i loro nessi, più o meno nascosti, in un fondo di cultura fisico-matematica assai estesa, e sappia trovare in conoscenze tecniche precise e profonde le correzioni necessarie a certe affermazioni del Poincaré, che talvolta sono state, forse, più recise e più taglienti di quel che non sarebbero riuscite, se lo scrittore, invece di trovarsi costretto ad adoperare un linguaggio alla portata di un largo numero di lettori avesse potuto esprimersi sempre nel modo più rigoroso.

Notisi però che, quando si astragga da questo, uno dei meriti maggiori dei due libri in discorso sta appunto nella loro forma artisticamente viva, disinvolta e nervosa, e, se pure essi, come opera di critica, hanno provocato e provocheranno dei malintesi, saranno d’altra parte d’una mirabile efficacia suggestiva per le menti ancora asservite a pregiudizi e convenzionalismi.

I capitoli migliori sono, senza alcun dubbio, quelli in cui nel Poincaré lo scienziato prevale sul filosofo, o, almeno, i due si fondono in un’unica ed armonica personalità intellettuale. Così, ad esempio, l’inattendibilità della teoria Kantiana, per la quale lo spazio e il tempo si riguardano come intuizioni pure a priori rispetto alle sensazioni ed all’esperienza, è pienamente dimostrata dalle molte pagine rivolte a chiarire la genesi psicologica del continuo e dello spazio, dove si distingue lo spazio fisico geometrico, con le sue proprietà di omogeneità e di isotropia, dai vari spazi fisiologici (visivi, tattili, muscolari), che danno luogo al primo mediante successivi processi di associazione e astrazione; e la Storia della Meccanica, intesa in senso lato, è ricostruita con sintesi geniale e perspicua, mediante la distinzione di ciò che il Poincaré chiama «la fisica delle forze centrali» da ciò che egli chiama «la fisica dei principi».

La fisica matematica, nato e cresciuta con meravigliosa rapidità sotto l’influsso della meccanica celeste, fu indotta, assai naturalmente, a trasportare nell’intero campo della realtà fisica l’ipotesi delle forze centrali, che tanto utili servigi aveva prestato nell’astronomia, organizzando in modo coerente mediante la legge newtoniana di gravitazione universale, tutti i movimenti dei corpi celesti. Così, modificando opportunamente, a seconda del caso, la [p. 145 modifica]legge fondamentale di Newton, ma lasciandone intatta la forma, Laplace fornì una teoria matematica della Capillarità, Biot si occupò di questioni ottiche e il Maxwell dei gas.

Ben presto però si riconobbe (e già il Fourier si era tenuto in disparte, con la sua teoria del calore, da una tale interpretazione di tutta la natura fisica) l’insufficienza dell’ipotesi delle forze centrali, o almeno la grave difficoltà che s’incontra a svolgerla nei suoi particolari; e allora, poichè essa aveva avuto sopratutto il merito di porre in luce alcuni principi generali che da essa discendono come conseguenze, i fisici vennero tratti a lasciar cadere l’ipotesi iniziale assumendo addirittura come postulati, e non più come teoremi, i principi suddetti.

Si è passati per tal modo alla fisica dei principi, nella quale si pongono a base della trattazione sistematica dei fenomeni naturali:

1° il principio di Carnot, o principio della degradazione dell’energia;
2° il principio di Newton, o principio dell’uguaglianza dell’azione e reazione;
3° il principio di relatività;
4° il principio di Mayer o della conservazione dell’energia;
5° il principio di Lavoisier o della conservazione della massa;
6° il principio di azione minima.

Ma neppure questa fase di sviluppo della Fisica teorica può essere tenuta come definitiva.

Anzi il Poincaré fa rilevare come la critica recente investa più d’uno di questi prìncipi e lasci presagire prossima una nuova crisi, cioè una profonda trasformazione delle ipotesi, mediante le quali la somma delle esperienze viene ordinata agli effetti della previsione concreta, che è lo scopo di ogni teoria scientifica.

Ora attraverso il bel quadro tracciato dal nostro A. ci sembra importante di mettere in luce una conseguenza importante, d’ordine logico, cioè che la deduzione appare nello sviluppo della scienza non soltanto come mezzo di verifica delle premesse supposte, ma anche come un mezzo di trasformazione di queste, cioè come un momento di quel processo induttivo che ci spinge ognora verso ipotesi più generali.

Ma non sempre la fusione dello scienziato e del filosofo è, nel Poincaré, tanto compiuta e felice, e (almeno per quanto sembra resultare da ciò che vien detto a proposito delle Geometrie non euclidee) si direbbe che ciò avvenga quasi per un intimo contrasto nella coscienza dello scrittore, per il quale il geometra, trascinato dall’entusiasmo e dalla devozione quasi amorosa per la disciplina [p. 146 modifica]coltivata di preferenza si arretra davanti alla critica del filosofo, che valutando questa alla stregua di tutte le altre scienze viene a toglierle quel posto di onore che, per altri, dapprima, indiscutibilmente le apparteneva.

Così il Poincaré, che per un lato si stacca dal Kant, respingendone la teoria dell’intuizione pura a priori, dall’altro finisce per riaccostarvisi, accettandone quel concetto, derivato dal Newton, di un ordine gerarchico fra le conoscenze, inteso in senso gnoseologico assoluto, che la critica filosofica, oggi, chiaramente respinge.

La questione intorno alla natura dei postulati della geometria, complicata dal carattere di particolare evidenza luminosa che essi rivestono, diventa facile quando si riguardi la geometria come una parte della fisica; ma obbliga alle più astruse e strane ricerche, se in ogni modo si vuol mantenere alla scienza dei rapporti spaziali come un posto d’onore fra tutte le altre.

Il Poincaré, occupandosi della genesi psicologica del continuo e dello spazio, enumera le esperienze elementari che portano alle nozioni e ai principi fondamentali della geometria: ma quando si tratta di raccogliere il frutto delle lunghe e geniali discussioni intraprese, per non dare alla geometria un carattere di approssimazione e di provvisorietà, egli interpreta quelle nozioni e quei principi non come immagini ideali di fatti e rapporti reali, ma come convenzioni create liberamente dallo spirito umano, sebbene nello stabilirle questo si lasci guidare dall’esperienza.

Così avviene: «que les postulats peuvent rester rigoureusement vrais quand méme les lois expérimentales qui ont déterminé leur adoption ne sont qu’approximatives» e che «cette question: la geometrie euclidienne est-elle vraie?» «n’a aucun sens».1

Ora questo risultato è del tutto illusorio. Chi domanda se una proposizione sia vera o falsa non può fare a meno d’intendere che se ne prenda in esame il contenuto intuitivo: così chi domanda se la geometria euclidea sia vera (va da sè, che questa parola si adopera qui nel solo senso permesso da una sana filosofia positiva), appunto perchè intende porre una questione che abbia senso, non vuol sapere se i principi della geometria siano veri, in quanto non involgono contradizioni, ma se presentino con i fatti reali, che essi traducono, tale corrispondenza che, nei limiti dell’osservazione, le conseguenze, da essi dedotte in modo puramente formale, si traducano a lor volta in previsioni abbastanza approssimate di altri fatti e fenomeni reali.

Ne segue che non il Gauss e il Lobatcefschi sono state vittime di una illusione quando intrapresero delle misure effettive degli angoli di triangoli di grandi dimensioni per stabilire la verità [p. 147 modifica]sperimentale del postulato d’Euclide, ma sibbene il Poincaré che, per conferire ai postulati geometrici un carattere di verità rigorosa convenzionale, li spoglia di ogni verità positiva reale.

Gli ultimi capitoli di «La Valeur de la science» sono dedicati a respingere note teorie del Le Roy sull’«artificialità» della scienza o ad enunciare in termini precisi la controversia fra contingentisti e deterministi.

Per il Le Roy la scienza non è che una regola d’azione, e non vi è nulla da obbiettare se con ciò si vuol dire che la scienza serve a prevedere e spiegare; ma il Le Roy tende a trarne la conclusione che «nous ne pouvont rien connaître», e allora, pur tralasciando di osservare che a questa proposizione fan da substratum vedute agnostiche e nozioni metafisiche (sostanza, noumeno, ecc.) ormai superate, si può ragionevolmente ribattere col Poincaré:

«Il n’y a pas moyen d’échapper à ce dilemme; ou bien la science ne permet pas de prévoir, et alors elle est sans valeur comme regle d’action; ou bien elle permet de prévoir d’une façon plus ou moins imparfaite, et alors elle n’est pas sans valeur comme moyen de connaisance».

Così è vero che lo scienziato crea il fatto scientifico, nel senso che egli sceglie i fatti meritevoli d’essere osservati e stabilisce il linguaggio nel quale enunciarli; ma ciò non basta a giustificare quell’eccessivo nominalismo per il quale non solo qualche principio, ma tutte le leggi e tutti i fatti scientifici sono delle pure convenzioni.

Il nominalismo assoluto è dunque (e perciò ci siamo fermati su quest’ultima parte del secondo volume) respinto anche dal Poincaré: solo che, come già si è osservato, egli largheggia di concessioni nel determinare la parte di vero, che esso, al pari di ogni altro sistema filosofico, contiene, quando paragona il valore dell’affermazione della verità del postulato d’Euclide a quello della proposizione: «l’unité de longueur est le mètre».

G. S.

Note

  1. La Science et l’Hypothèse - pag. 66.