Rivista di Cavalleria - Volume I/IV/Ancora sull'Iniziativa ed autonomia degli squadroni

Filippo Abignente

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IV - Ancora sull'Iniziativa ed autonomia degli squadroni
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Ancora sull’Iniziativa ed autonomia degli squadroni




L’autore dell’articolo Iniziativa ed autonomia degli squadroni?1 si mostra non contrario, anzi conferma o col silenzio secondo il proverbio, o con parole per noi lusinghiere (delle quali vogliamo prima d’ogni altro dichiararci soddisfatti e grati) tutto quanto svolgemmo nel secondo fascicolo di questa liberale rivista.

Ciò che l’A. — così conveniamo di chiamarlo semplicemente a causa della lunghezza ed omonimia dei vari scritti — dice in proposito nel fascicolo passato, avrebbe potuto in gran parte essere di utile complemento al nostro lavoro; e se non accennammo alla necessità di una rigorosa selezione non fu già perchè non ce ne sia balenata l’idea, sì bene perchè crediamo non possa nè dirsi illuminato, nè essere spietatamente severo un giudizio, se il giudicando non ebbe modo di esplicare le proprie attitudini — Noi ci associamo dunque pienamente a quanto l’A. espone circa la compilazione delle note caratteristiche, e lo scarto inesorabile dei non idonei, specie in cavalleria per la quale manca lo sfogo di posizioni sedentarie, ove ufficiali non atti al servizio nelle righe possano rendersi ancora utili. Ma crediamo però che il criterio per tale eliminazione, debba avere ausilio e suggello nei fatti, ossia nelle prove che il capitano darà, quando sarà libero nei suoi movimenti e perciò responsabile pieno degli effetti di essi.

È dunque una questione di precedenza che divide noi dall’A., ma è questione che si riaffaccia ad ogni periodo, ritorce ogni argomento e ci lascia in un circolo vizioso, dal quale non s’esce senza spezzarlo. Così quando l’A. ci dice che sono gl’inetti, i semplici esecutori di ordini, le così dette brave persone che incosciamente fanno causa comune cogli accentratori, noi rispondiamo: Benissimo, verissimo; ma tutta codesta categoria di persone, che sussiste cogli accentratori e non raramente ne gode stima e fiducia, cadrebbe invece naturalmente nel baratro della propria insufficienza non appena le mancasse guida e sostegno.

E così quando dice: «A pesare giusto ci vogliono le subitanee ed [p. 419 modifica]improvvise ispezioni, fuori in aperta campagna, di fronte ad una supposta situazione di guerra (precisamente quello che invocavamo noi) per vedere come il capitano ha saputo condurre il suo reparto, per chiedergli quale elemento ha portato a combattere» noi rispondiamo: — Quale elemento? quello che hanno fatto e voluto.... gli altri.

E finalmente all’assicurazione che «quando i fatti dimostreranno la capacità assoluta di tutti i comandanti di squadrone» allora sorgerà l’alba del giorno da noi invocato, noi potremmo rispondere: — Quando brillerà l’alba di quel giorno, e gli occhi lungamente rimasti al buio vi si saranno abituati, allora i comandanti di squadrone potranno dimostrarvi coi fatti, se non la capacità assoluta di tutti (che sarebbe domandare l’impossibile) almeno una capacità non inferiore a quella media di tutti gli altri gradi e degli eserciti più progrediti.

Questo e niente altro possiamo rispondere alla principalissima obiezione che l’A. oppone al nostro articolo; non rimane dunque che una questione di modo di vedere.

E avremmo finito. Ma vi sono altre cose nell’articolo dell’A., le quali non debbono passare sotto silenzio. Ad una non si può rispondere che da noi, soli possessori degli elementi per farlo; quanto alle altre, sarebbe doveroso lasciarne il compito a più autorevoli colleghi, e se ci assumiamo di farlo noi si è solo pel dubbio che altri, rispettando la nostra priorità in argomento, tacessero, ed alcuni giudizi dell’A. parrebbero accettati senza protesta.

1° Se noi ci tenevamo pronti con dovizia di argomenti a tutte le prevedibili discussioni, trascende invece ogni nostra aspettativa il sentir l’A. parlarci quasi in nome dei nostri colleghi di grado, ai quali crederemmo in verità di far troppo la corte se li riconoscessimo in possesso di quelle virtù che l’A. attribuisce loro. Essi infatti costituirebbero una incredibile eccezione nel genere umano, poichè se pur fossero dotati della sì rara sapienza di conoscere sè stessi (ed allora sarebbero anche più che capaci capitani) difficilmente avrebbero contemporaneamente la non meno rara virtù di proclamarsi, colla loro indifferenza od opposizione alle nostre idee, impari al proprio grado.

Per conto nostro ci basterà opporre il fatto di numerosissime congratulazioni, individuali e collettive, pervenuteci a voce ed in iscritto. E se ciò non bastasse aggiungeremmo che il nostro articolo fu da più d’uno qualificato — colla identica parola -— scultorio; nè soffrirebbene la nostra modestia perchè qui non trattasi d’un’opera d’arte, e quel giudizio si riferisce certo alla fedeltà nella riproduzione di quanto [p. 420 modifica]realmente avviene, e di quanto si passa nell’animo dei comandanti di squadrone.

Noi dunque non siamo per nulla a disagio di fronte ai nostri colleghi, i quali tutt’altro che indifferenti, come l’A. opina, ci hanno confermato buoni profeti sull’impressione che l’articolo avrebbe prodotto.

Il nostro egregio critico ha tutto il diritto di fare i suoi apprezzamenti, ma gli contestiamo quello di parlare in nome dei capitani, fra i quali per quanto ho sopracennato, egli rappresenterebbe una rarissima eccezione.

2. L’A. dice che noi avremmo dovuto cominciare col battere in breccia tutto l’elemento incapace di avere iniziativa ed autonomia, tutto l’elemento che alla prova dei fatti potrebbe smentire le nostre asserzioni, e non «subito e direttamente attaccare quelli che questa iniziativa e questa autonomia non vogliono concedere».

Qui ci occorre di fare una distinzione e un commento.

Quando noi parliamo di autonomia sottintendiamo sempre nel periodo di preparazione. È in questo periodo che i comandanti di squadrone sono impossibilitati ad attendere efficacemente al proprio lavoro. Quando si è in libera manovra, oh, allora a nessuno verrebbe in mente di negare la libertà d’azione: è soltanto allora anzi — ed è qui la bizzaria della cosa — è allora che si tira fuori la grande parola iniziativa e si citan magari i paragrafi di quel regolamento fin’allora negletto, per accollare responsabilità (per quanto di poca conseguenza) ai comandanti di squadrone, che non ebbero agio di preparare i loro reparti e di foggiarli in guisa da poterne rispondere.

Il commento è questo:

La tesi da noi sostenuta potrebbe restringersi in più modesti confini e ridursi alla seguente:

A parte altre modificazioni che proponevamo per il nostro Regolamento di servizio interno, e qualche contraddizione fra i suoi principii e talune disposizioni, sta però il fatto che esso vige e quindi, dato pure che sia permesso discuterlo sulle Riviste o nelle conferenze, gli si deve obbedienza. Le parole negare e concedere sono fuori di posto. Non può essere frutto di una concessione ciò che è un diritto sanzionato dal regolamento. Il negarlo non solo lederebbe le prerogative del grado di capitano, ma danneggerebbe il servizio, perchè nel momento del bisogno gli squadroni dovranno pure essere librati a sè stessi. E allora...?

3. Qui ci è forza dissentire ancor più dall’egregio contraddittore, imperocchè il suo articoletto è troppo improntato a pessimismo; e [p. 421 modifica]questo lo fa prorompere in un giudizio che se sol rasentasse la verità, sarebbe assai sconfortante non solo pei capitani, ma eziandio per quelli che rivestono gradi elevati.

«Ci si potrà opporre — egli scrive — che la eliminazione dell’elemento non atto verrebbe man mano chiaramente suggerita nel seguire il metodo; ma ormai che tutti ci conosciamo sappiamo come non abbisognino prove ulteriori per aver l’equa misura negli apprezzamenti

Ma questo suo giudizio è grave, egregio collega, più grave di quanto a prima vista possa sembrare; poichè questo elemento su cui la porta in modo così assoluto e generale; questo elemento, pur ritenuto in progresso rispetto a quello di tempo fa, comprende non solo gli attuali comandanti di squadrone, ma ancora — in potenza — i futuri comandanti di corpo e di brigata, come quelli di oggi provengono dai capitani d’un giorno. Nè ci si può opporre che la selezione per i gradi superiori cambi di molto la cosa, perchè anche per questi, quando non si abbiano anni o demeriti soverchi, la promozione arriva abbastanza regolarmente.

Noi siamo dunque ben lontani dal condividere questo giudizio, la cui stessa e patente esagerazione è provvidenziale e gli toglie valore presso i probabili lettori di tutta Europa.

Non vogliamo con ciò contradire l’A. là dove dice che non tutti sono alla desiderata altezza; ma ciò si verifica dovunque ci siano uomini. Anche noi vorremmo che ciascun capitano fosse un vero valore — e così sarebbe assicurata anche la eccellenza nei gradi superiori; crediamo però che nella massima parte dei nostri colleghi vi sia buona stoffa poco utilizzata pei deplorati difetti di metodo e che il lavoro di eliminazione invocato dall’A. e da noi (a suo tempo) non risulterebbe superiore a quello occorrente negli altri gradi. Vorremmo anzi che tal lavoro cominciasse appunto dai gradi superiori, a garanzia che gli ulteriori giudizii siano pronunziati alla stregua delle odierne esigenze.

Perciò pure crediamo esagerato il pericolo dì lasciare l’arma dell’autonomia in mano ai capitani, (se questo era il pensiero dell’A.), tanto più che regnum regnare docet, e tanto più ancora perchè là dove manchi un buon capitano nessuno può portare efficace rimedio.

E con ciò facciamo punto e basta sull’argomento, lasciando libero il campo, perchè altri colleghi ci aiutino a dissipare il dubbio, emesso dall’A., che le nostre aspirazioni siano unanimemente condivise, e che molti fra noi vadano in brodo di giuggiole al tintinnio delle loro catene.

Filippo Abignente.

Note

  1. V. fascicolo III di questa Rivista.