Rivista di Cavalleria - Volume I/III/Iniziativa e autonomia degli squadroni?

Anonimo

Iniziativa e autonomia degli squadroni? IncludiIntestazione 16 novembre 2023 100% Da definire


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Iniziativa ed autonomia degli squadroni?




L’autore dell’articolo sulla iniziativa e sulla autonomia degli squadroni si attende, quale sufficiente compenso alla tesi che ha egregiamente svolto, la generale approvazione dei comandanti di squadrone, ma ahimè, noi crediamo che egli si sia troppo facilmente illuso.

Non tutti i capitani comandanti di squadrone possono fare eco alle sue aspirazioni, perchè disgraziatamente non tutti si trovano all’altezza delle sue vedute, e nessuno, si capisce, vuole dare contro sè stesso.

Non si può così vivamente reclamare una salutare innovazione senza avere il personale capace di immedesimarsela e di praticarla; — senza il terreno capace di accoglierlo e di fecondarlo, il miglior germe è sterile.

L’autore, reclamando quanto ha reclamato, se non voleva trovarsi a disagio di fronte alla indifferenza di molti colleghi e soprattutto di fronte alla opposizione che gli accentratori faranno alle sue idee, doveva incominciare col battere in breccia tutto l’elemento incapace di avere iniziativa ed autonomia, tutto l’elemento che alla prova dei fatti potrebbe smentire le sue asserzioni, e non subito e direttamente attaccare quelli che questa iniziativa e questa autonomia non vogliono concedere.

A noi pare che l’autore anzichè trovare il vero punto debole da toccare in chi alle sue idee si oppone, abbia proprio battuto sul duro, si sia cioè portato troppo in alto senza guardare le fondamenta, poichè mentre una parte dei suoi colleghi non può assecondarlo, tutti o quasi tutti i comandanti di corpo possono oggi dimostrare con prove alla mano come non sia loro possibile lasciare completa l’iniziativa e l’autonomia a tutti i loro comandanti di squadrone.

E vi par poco lasciare un’arma così potente in mano a chi alla sola stregua dei fatti può dimostrarvi il contrario di quanto voi proclamate?

E mentre da una parte stanno schierati gli inetti e gli accentratori, dall’altra non molti sono capaci di sostenere la lotta colla prova di sè stessi.

Noi conveniamo con l’autore che iniziativa ed autonomia ci vogliono, che i tempi questo reclamano, che le unità squadroni per essere vere unità di guerra debbono educarsi ed istruirsi come egli [p. 306 modifica]giustamente dice, ed anzi avremmo la parola più faconda per poter dire di più, ma oggi i fatti ci arrestano tale parola sulle labbra.

Se questi fatti non avvenissero, se l’assurdo principio ammesso dagli accentratori, cioè che il grado di capitano nell’arma può e deve essere raggiunto da qualsiasi subalterno, fosse sfatato, se divenisse canone imprescindibile che il capitano di cavalleria debba assolutamente essere un vero valore, e non un automa che ha bisogno di essere legato alla corda del comando, allora, ma allora soltanto potremo dire ai comandanti di reggimento: «dateci l’iniziativa e l’autonomia che ci abbisognano».

È da questo punto che devono partire le recriminazioni per il nocivo accentramento, è questo il campo sul quale si devono chiamare a combattere gli oppositori non concessionari, perchè solo qui troveremo la parte debole da sorprendere e da percuotere.

Sono gli inetti, sono i così detti semplici esecutori di ordini, le così dette brave persone che inconsciamente fanno causa comune cogli accentratori e costituiscono in mano ad essi un’arma potente, che impediscono il decentramento; strappiamo quest’arma, diciamo ai nostri superiori che ci pesino sulle bilance delle odierne esigenze, che si tolgano d’attorno gli elementi non atti alla iniziativa e che non si lascino intenerire dalla voce di una malintesa pietà.

Su questo lavoro coscienzioso si deve insistere, questa è la cura radicale per poter avere quanto l’autore reclama, poichè se l’iniziativa e l’autonomia venissero concesse oggi nelle condizioni in cui ci troviamo, il principio stesso sarebbe mortalmente colpito.

Quando i fatti dimostreranno la capacità assoluta di tutti i comandanti di squadrone, quando gli accentratori non potranno più, in appoggio alle loro idee, sfoderare quest’argomento principe, e, bisogna convenirne, fin ad ora inoppugnabile, il decentramento verrà volenti essi o nolenti, ed il regolamento ammetterà la sanzione coi fatti di quanto ha proclamato come principio.

Ci si potrà opporre che la eliminazione dell’elemento non atto verrebbe man mano chiaramente suggerita nel seguire il metodo, ma ormai che tutti ci conosciamo sappiamo come non abbisognino prove ulteriori per aver l’equa misura negli apprezzamenti.

E gli ufficiali superiori, specialmente i colonnelli, conoscono molto bene i loro dipendenti, e sanno ben loro discernere tra il semplice esecutore d’ordini e quegli cui bastano le sole direttive; la questione ora sta nell’esaminare quale dei due sia preferito nei reggimenti. L’esame è breve, e noi, si può dire, l’abbiamo già dichiarato.

Sovente le note caratteristiche rappresentano il sugo di svariate considerazioni, mentre di considerazioni non ve ne dovrebbero essere: o si è capace del comando di uno squadrone in guerra o non si è capace.

A pesare giusto ci vogliono le subitanee ed improvvise ispezioni, fuori, in aperta campagna, di fronte ad una supposta situazione di guerra, per vedere come il capitano ha saputo condurre il suo reparto, [p. 307 modifica]per chiedergli conto del suo operato, per esaminare quale elemento ha portato a combattere.

Così verrebbero fuori le madornali magagne per l’iniziativa non voluta concedere ai buoni, e l’inettitudine assoluta degli altri.

Fatta questa coscienziosa disamina, provata la necessità del decentramento, e scomparsi quindi i non valori, i semplici esecutori di ordini, gli elementi non coscienti della propria posizione, e tolta questa arma agli accentratori, allora anche noi, con l’autore, reclameremo l’iniziativa e l’autonomia degli squadroni; altrimenti, pur gridando, avremo sempre torto.

Torino, 25 febbraio 1898.

O. L.