Ritratto delle cose della Magna
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RITRATTI
DELLE COSE DELL’ALAMAGNA
COMPOSTI PER
NICCOLÒ MACHIAVELLI
Perchè li popoli in privato sieno ricchi, la ragione è questa, che vivono come poveri; non edificano, non vestono, e non hanno masserizie in casa. Basta loro lo abbondare di pane, di carne, ed avere una stufa, dove rifuggire il freddo: e chi non ha dell’altre cose fa senza esse, e non le cerca. Spendonsi in dosso duoi forini in dieci anni, ed ognuno vive secondo il grado suo a questa proporzione, e nissuno fa conto di quello gli manca, ma di quello che ha di necessità, e le loro necessitadi sono assai minori che le nostre. E per questi loro costumi ne risulta, che non escono danari del paese loro, sendo contenti a quello che il loro paese produce, e nel loro paese sempre entrano, e sono portati danari da chi vuole delle loro robe lavorate manualmente, di che quasi condiscono tutta Italia. Ed è tanto maggiore il guadagno che fanno, quanto il forte che perviene loro nelle mani è delle fatture e opere di mano, con poco capitale loro d’altre robe. E così si godono questa loro rozza vita e libertà; e per questa causa non vogliano ire alla guerra, se non soprappagati; e questo anche non basterebbe loro, se non fussino comandati dalle loro comunitadi. E però bisogna ad un Imperatore molto più danari che ad un altro principe, perchè quanto meglio stanno gli uomini, peggio volentieri escono alla guerra.
Resta ora che le comunitadi si unischino con li principi a favorire le imprese dell’Imperatore, o che loro medesime lo vogliano fare, che basterebbeno. Ma nè l’una, nè l’altra vorrebbe la grandeza dell’Imperatore, perchè qualunque volta in proprietà lui avesse stati, o fusse potente, domerebbe ed abbasserebbe i principi, e gli ridurrebbe ad una ubbidienza di sorte, da potersene valere a posta sua, e non quando pare a loro; come fa oggidì il Re di Francia, e come fecie già il Re Luigi, il quale con le armi, ed ammazzarne, qualcuno, gli ridusse a quella ubbidienza che ancora oggi si vede. Il medesimo interverrebbe alle comunitadi, perchè le vorrebbe ridurre in modo, che le potesse maneggiare a suo modo, e che avesse da loro quello che chiedesse e non quello che pare a loro. Ma s’intende la cagione della disunione tra le comunitadi, e gli principi essere i molti umori contrarj, che sono in quella provincia, che venendo a due disunioni generali, dicono che i Svizzeri sono nimicati da tutta l’Alamagna, e li principi dall’Imperatore. E pare forse cosa strana a dire, che gli Svizzeri e le comunitadi sieno nimiche, tendendo ciascuno ad un medesimo segno di salvare la libertà, e guardarsi dai principi. Ma questa loro disunione nasce, perchè gli Svizzeri non solamente sono nimici alli principi, come le comunitadi, ma eziandio fono nimici alli gentiluomini, perchè nel paese loro non è dell’una specie nè dell’altra, e godonsi senza distinzione alcuna d’uomini, fuori di quelli che seggono nelli magistrati, una libera libertà. Questo esempio degli Svizzeri fa paura alli gentiluomini, che sono rimasti nelle comunitadi, e tutta l’industria de’ detti gentiluomini è in tenerle disunite, e poco amiche loro. Sono ancora nimici de’ Svizzeri tutti quelli uomini delle comunitadi, che attendono alla guerra, mossi da una invidia naturale, parendo loro d’essere meno stimati di quelli; in modochè non se ne può raccozzare in un campo sì poco, nè sì gran numero, che non si azzuffino.
Quanto alla nimicizia delli principi con le comunitadi e con gli Svizzeri, non bisogna ragionare altrimenti, fendo cosa nota, e così di quella fra l’Imperatore e detti principi. Ed avete ad intendere, che avendo l’Imperatore il pricipal suo odio contro ai pricipi, e non potendo per se medesimo abbassarli, ha usato i favori delle comunitadi; e per questa medesima cagione da un tempo in quà ha intrattenuti i Svizzeri, con li quali pareva già esser venuto in qualche confidanza. Tanto che considerato tutte queste disunioni in comune, ed aggiuntovi poi quelle, che fono tra l’un principe e l’altro, e l’una comunità e l’altra, fanno difficile questa unione dello Impero, di che uno Imperadore avrebbe bisogno. E benchè chi fa le imprese della Magna gagliarde et riuscibili, pensi che non è nella Magna alcuno principe che potesse o ardisse opporsi alli disegni di uno Imperadore, come hanno usato di fare da qualche tempo indietro, tuttavolta non pensare, che a uno Imperadore è assai impedimento non essere da’ principi aiutato ne’ suoi disegni: perchè chi non ardisce farli guerra, ardisce negarli aiuti; e chi non ardisce negargliene, ha ardire, promissi che li ha, non li osservare; e chi non ardisce ancora questo, ardisce differire tanto le promesse, che non sono in tempo che se ne vaglia; e tutte queste cose impediscono et perturbano li disegni. E si conosce così essere la verità, quando lo Imperadore la prima volta volle passare, contro alla volontà de’ Veneziani e Francesi in Italia, che li fu promesso dalle comunitadi della Magna nella dieta tenuta in quel tempo a Gostanza sedici mila persone, tre mila cavalli, e non se ne essere mai potute mettere insieme tante che agiugnessino a cinque mila; e questo perchè quando quegli d’una comunità arrivavano, quelli d’un’altra si partivano per avere finito, e qualcuna dava in cambio danari: i quali, per pigliare luogo facilmente, e per questa e per l’altre ragioni, le genti non si raccozzavano e l’impresa andò male.
La potenza della Magna si tiene certo esser più assai nelle comunitadi, che nelli principi, perchè li principi sono di due ragioni, temporali o spirituali. Li temporali sono quasi ridotti ad una grande debilità, parte per loro medesimi (sendo ogni principato diviso in più principi, per la divisione equale delle eredità ch’egli osservano), parte per averli abassati l’Imperadore con il favore delle comunitadi, come è detto: talmente che sono inutili amici. Sonvi ancora li principi Ecclesiastici, i quali se le divisioni ereditarie non gli hanno annichilati, gli ha ridotti al basso l’ambizione delle comunitadi loro, ed il favore dell’Imperatore, in modo che gli Arcivescovi Elettori, ed altri simili non possono niente nelle comunitadi grosse proprie. Di che ne è nato, che loro nè intra le loro terre, sendo divise insieme, non possano favorire le imprese dell’Imperatore quando bene volessino. Ma vegnamo alle comunitadi franche et Imperiali, che sono il nervo di quella provincia, dove sono danari, e l’ordine. Costoro per molte cagioni sono per essere fredde nella loro libertà, non che di acquistare imperio; e quello che non desiderano per loro, non si curano che altri lo abbia. Dipoi, per essere tante, e ciascuna fare capo da per sè, le loro provisioni, quando le vogliono fare, sono tarde, e non di quella utilità che si richiederebbe. E in esempio ci è questo, che non molti anni sono gli Svizzeri assaltarono lo stato di Massimiliano e la Svevia. Convenne sua maestà con queste comunitadi per reprimerli, e loro si obbligarono tenere in campo xiv. mila persone, e mai vi se ne accostò la metà; perchè, quando quelli di una comunitadi venivano, li altri se ne andavano. In modo che l’Imperadore, disperato di quella impresa, fece accordo con li Svizzeri e lasciò loro Basilea. Ora se nelle imprese proprie gli hanno usato termini simili, pensate quello farieno nelle imprese d’altri. Donde messe queste cose tutte insieme, fanno questa loro potenza tornare piccola, e poco utile all’Imperadore. E li Veneziani per il commercio ch’egli hanno colli mercanti delle comunità della Magna, in ogni cosa ch’egli hanno avuto a fare o trattare con l’Imperadore, l’hanno intesa meglio che nessuno altro, e sempre sono stati in sull'onorevole. Perchè s'egli avessino temuto questa potenza, avrieno preso qualche sesto o per via di danari o col cedere qualche terra, e quando egli avessino creduto che questa potenza si potesse unire, non se li sarieno opposti. Ma sapendo questa impossibilità, sono stati sì gagliardi, sperando nelle occasioni. E però se si vede che in una città le cose che appartengono a molti sono stracurate, tanto più debbe intervenire in una provincia. Dipoi sanno le comunitadi che lo acquisto che si facesse in Italia o altrove, sarebbe per li principi, e non per loro, potendoseli godere personalmente, il che non può fare una comunità. E dove il premio abbia ad essere inequale, li uomini malvolentieri equalmente spendono. E però la potenza è grande, ma in modo da non se ne valere. E se chi ne teme discorressi le sopraddette cose, e li effetti che ha fatti questa potenza da molti anni in quà, vedria quanto fondamento vi si potesse fare suso.
Le gente d’arme Tedesche sono assai ben montate di cavalli, ma pesanti, ed altresì sono molto bene armate in quella parte che usano armare. Ma è da notare che in un fatto d’arme contro ad Italiani o Francesi non farieno prova: non per la qualità degli uomini, ma perchè non usano a’ cavalli armadura di alcuna sorte, e le selle piccole, deboli e senza arcioni, in modo ch’ogni piccolo urto li caccia a terra. Ecci un’altra cosa che li fa più deboli: cioè che dal corpo ingiuso, cioè coscie e gambe, non armano punto; in modo che non potendo reggere al primo urto, in che consiste la importanza delle genti e del fatto d’arme, non possono anche poi reggere con l’arme corta, perchè possono essere offesi loro e li cavalli nelli detti luoghi disarmati, ed è in potestà d’ogni pedone con la picca trarli da cavallo, o sbudelarlo loro, e poi, nello agitarsi i cavalli per la gravezza loro male reggono.
Le fanterie sono buonissime, ed uomini di bella statura, al contrario delli Svizzeri, che sono piccoli, e non puliti, nè belli personaggi; ma non si armano, o pochi, con altro che colla picca, o daga per essere più destri, espediti e leggieri. Ed usano dire, che fanno così per non avere altro nimico che le artiglierie, dalle quali un petto, o corsaletto, o gorzarino non gli difenderia. Delle altre armi non temono, perchè dicono tenere tale ordine, che non è possibile entrare fra loro, nè accostarseli quanto è la picca lunga. Sono ottime genti in campagna a far giornata, ma per espugnare terre non vagliono, e poco nel difenderle; ed universalmente dove non possano tenere l’ordine loro della milizia, non vagliono. Di che si è vista la isperienza, poichè hanno avuto a praticare Italiani, e massime dove hanno avuto ad espugnar terre, come fu Padova, ed altri luoghi, in che hanno fatto cattiva prova; e per l’opposito dove si sono trovati in campagna, l’hanno fatto buona. In modo che se nella giornata di Ravenna tra li Francesi e gli Spagnuoli, i Francesi non avessino avuto i Lanzichinec, avrieno perso la giornata; perchè, in mentre che l’una gente d’arme coll’altra erano alle mani, gli Spagnuoli avevano di già rotte le fanterie Francesi e Guascone, e se gli Alemanni colla ordinanza loro non le soccorrevano, vi erano tutte morte e prese. E così si vide che ultimamente, quando il Cattolico Ee ruppe guerra a Francia in Ghienna, che le gente Spagnuole temevano più di una banda di Alamanni che aveva il Re di dieci mila, che di tutto il resto delle fanterie, e fuggivano le occasioni del venire seco alle mani.