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che vivono come poveri; non edificano, non vestono, e non hanno masseri­zie in casa. Basta loro lo abbondare di pane, di carne, ed avere una stufa, dove rifuggire il freddo: e chi non ha dell’altre cose fa senza esse, e non le cerca. Spendonsi in dosso duoi forini in dieci anni, ed ognuno vive secondo il grado suo a questa proporzione, e nissuno fa conto di quello gli manca, ma di quello che ha di necessità, e le loro necessitadi sono assai minori che le nostre. E per questi loro costumi ne risulta, che non escono danari del paese loro, sendo contenti a quello che il loro paese produce, e nel loro paese sempre entrano, e sono portati danari da chi vuole delle loro robe lavorate manualmente, di che quasi condi­scono tutta Italia. Ed è tanto maggiore il guadagno che fanno, quanto il forte che perviene loro nelle mani è delle fatture e opere di mano, con poco capitale loro d’altre robe. E così si godono questa loro rozza vita e libertà; e per questa causa non vogliano ire alla guerra, se non soprappagati; e questo anche non basterebbe loro, se non fussino comandati dalle loro comunitadi. E però bisogna ad un Imperatore molto più danari che ad un altro principe, perchè quanto meglio stanno gli uomini, peggio volentieri escono alla guerra.

Resta ora che le comunitadi si unischino con li principi a favorire le imprese dell’Imperatore, o che loro medesime lo vogliano fare, che basterebbeno. Ma nè l’una, nè l’altra vorrebbe la grandeza dell’Imperatore, perchè qualunque volta in proprietà lui avesse stati, o fusse potente, domerebbe ed abbasserebbe i principi, e gli ridurrebbe ad una ubbidienza di sorte, da potersene valere a posta sua, e non quando pare a loro; come fa oggidì il Re di Francia, e come fecie già il Re Luigi, il quale con le armi, ed ammazzarne, qualcuno, gli ridusse a quella ubbidienza che ancora oggi si vede. Il medesimo interverrebbe alle comunitadi, perchè le vorrebbe ridurre in modo,


che