Rime varie (Alfieri, 1912)/XXXVIII. A Dante Alighieri

XXXVIII. A Dante Alighieri

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XXXVIII. A Dante Alighieri
XXXVII. Come scriverà, d'ora innanzi, le sue tragedie XXXIX. Alla Repubblica di Venezia

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XXXVIII [liii].1

A Dante Alighieri.

O gran padre Alighier, se dal ciel miri
Me tuo discepol non indegno starmi,
Dal cor traendo profondi sospiri,
4Prostrato innanzi a’ tuoi funerei marmi;
Piacciati, deh! propizio ai be’ desiri,
D’un raggio di tua luce illuminarmi.
Uom, che a primiera eterna gloria aspiri,
8Contro invidia e viltà de’ stringer l’armi?2

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Figlio, i’ le strinsi, e assai men duol; ch’io diedi
Nome3 in tal guisa a gente tanto bassa,
11Da non pur calpestarsi co’ miei piedi.
Se in me fidi, il tuo sguardo a che si abbassa?
Va, tuona, vinci:4 e, se fra’ pié ti vedi
14Costor, senza mirar, sovr’essi passa.5


Note

  1. Allontanatosi da Roma nel 1783, dopo tre settimane di soggiorno in Siena, avvicinandosi la festa dell’Ascenza, l’A. si avviò alla volta di Venezia; ma giunto a Bologna, fece una digressione per visitare il sepolcro di Dante a Ravenna, e un giorno intero vi passò «fantasticando, pregando e piangendo». (Aut., IV, 10°). Il 31 maggio, tra Imola e Faenza, come rilevasi dal ms., compose, a sfogo dell’ira che gli bolliva nel cuore per le molte e aspre critiche fatte alle sue tragedie, il presente sonetto, ispirato, non v’è dubbio, dal dialogo fra Dante e Cacciaguida su, nella sfera di Marte (Par., XVII, 108 e segg.).
  2. 7-8. Dante, nel cit. passo:
    Giú per lo mondo senza fine amaro,
    E per lo monte dal cui bel cacume
    Gli occhi della mia donna mi levaro,
    E poscia per lo ciel di lume in lume
    Ho io appreso quel che s’io ridico
    A molti fia savor di forte agrume;
    E s’io al vero son timido amico,
    Temo di perder viver tra coloro
    Che questo tempo chiameranno antico.
    Primiera, grande, non seconda a nessun’altra.
  3. 10. Nome, fama.
  4. 13. Ricorda il cesariano: Veni, vidi, vici.
  5. 14. È di Dante (Inf., III, 51):
    Non ragioniam di lor, ma guarda e passa.
    Nel ms. questo sonetto ha la coda seguente:
    Ciò detto, ei tace e lassa
    Me tutto pieno d’un tremor devoto:
    Io la gran tomba adoro, e sciolgo il voto.

    Il Mazzoni, nel cit. art., riferisce un anonimo sonetto satirico da lui trovato fra le carte Albergati della Biblioteca comunale di Bologna, in risposta a questo alfieriano; ma non vale la pena di riportarlo, tanto è inferiore al suo originale.