Rime varie (Alfieri, 1912)/XXV. La morte di Alessandro il Macedone

XXV. La morte di Alessandro il Macedone

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XXV. La morte di Alessandro il Macedone
XXIV. Altri tempi, altri uomini XXVI. Contro la propria avarizia

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XXV [xlii].1

La morte di Alessandro il Macedone.

Quel già sí fero fiammeggiante sguardo
Del Macedone invitto emul di Marte,2
Pregno il veggio di morte: è vana ogni arte,
4Ogni rimedio al crudel morbo è tardo.

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Or, se’ tu quei, che l’Indo, il Perso, il Mardo,3
E genti e genti hai dome, estinte, o sparte?
Quei, che credesti a onor divini alzarte,
8Piantando a Grecia in cor l’ultimo dardo?
Tu sei quel desso; e la natía grandezza
Morendo serbi, quel chi in tomba seco4
11Porta di eterna gloria alta certezza.
Gloria? Oh qual sei di regia insania cieco?
Gloria a Persian tiranno, ove all’altezza
14Nato era pur di cittadino Greco?


Note

  1. Il presente sonetto, incominciato il 9 luglio 1778 e ripreso molto piú tardi, perché accanto alla seconda quartina si legge nel ms.: «29 maggio 1786», è, come la tragedia Timoleone, frutto della lettura di Plutarco a cui l’A. si diè, per la seconda volta, con grande ardore, verso il 1780: ecco in qual modo il biografo greco narra la morte di Alessandro: «Convitato avendo una volta splendidamente Nearco, ed ivi lavato essendosi, come solea, nel mentre ch’era per andarsene a riposarsi, venne Medio a pregarlo di voler portarsi appo lui, ed egli vi si portò; ed avendo ivi bevuto tutto il dí seguente, cominciò a venirgli la febbre, non già bevuta la tazza di Ercole, né sorpreso tutt’ad un tratto da un dolore di schiena, quasi trapassato fosse da un’asta, pensato avendo alcuni di dover cosí scrivere per formare un fine tragico e assai doloroso di una grande rappresentazione. Ma Aristobulo narra che la febbre il traeva a delirare, e che sentendosi egli grandemente assetato, bevve dei vino e che divenuto quindi frenetico, morí il trentesimo giorno del mese di Desio» (Trad. di Gerol. Pompei, VI, 377).
  2. 2. Perifrasi che richiama i versi fatti incidere dagli Ateniesi a piè della statua di Demostene, che il Pompei tradusse cosí (V, 182):
    Se, o Demostene, in te la forza al senno
    Era egual, non avrebbe unqua su’ Greci
    Il Macedone Marte avuto impero.
  3. 5. I Mardi erano popoli della Media, a sud del Caspio.
  4. 9-10. Il Tasso (Gerus. lib., XIX, 26):
    Moriva Argante, e tal moría qual visse.