Rime varie (Alfieri, 1912)/VI. Sospiri d'amore, canzone

VI. Sospiri d'amore, canzone

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VI. Sospiri d'amore, canzone
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VI [ii 2].1

Sospiri d’amore.

canzone

Le gravi e dolci cure2
Che fra timore e spene
A vicenda han diviso il viver mio
Perché provare, e non narrar poss’io?
Pur l’amorose pene
6Sono a soffrir men dure,
Se in qualche modo di sfogarle avviene:3
Nè a ciò bastante è il pianto, ancor che un rio
N’esca tuttora dagli occhi dogliosi.
Portar piú a lungo ascosi
11I miei martir quindi non vo’... Ma in voce
Come li narro4 a lei, se a lei dappresso
Vien meno il dire? Or, se il tacer mi nuoce
Ed accenti formar non mi è concesso,
Parli dunque la penna,
Che, s’ella il duol non spiega almen lo accenna.
Luce degli occhi miei,
18Oh quanto breve è il lampo
Onde il cor tenebroso a me rischiari!
Oh come fuggon ratti e tornan rari
Quegli istanti, onde scampo5

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Trovo ai tormenti rei
Del vivo fuoco di cui tutto avvampo!
24Pochi dolci momenti, oh quanto amari
Parer mi fate e lunghi i giorni interi,
Che in funesti pensieri
Da lei lontan poi trapassare io deggio!
Tornare, è ver, ma oh come tarde e lente
Tornar le veglie6 sospirate io veggio!
Fossi almen d’ogni angoscia allora esente;
31Che l’ombre assai men greve
Mi parría l’aspettar, e il dí piú breve!
Ma (oh debile conforto
Al mio desire immenso!)
Che ottengo allor, se non di furto un guardo?
Che poss’io dir, se non di furto:7 Io ardo?...
Forse puoi ciò ch’io penso
38Legger nel viso smorto,
Nel cupid’occhio al rimirarti intenso.8
Ma un cor piagato d’amoroso dardo
Non si appaga di poco: e un nulla io chiamo
A lato9 a quel ch’io bramo,
Il poter dirti mille volte il giorno
44Ch’io sol per te l’aura vital respiro.
Qual fia dunque il mio stato, or che d’intorno
Cinta da tanti esplorator ti miro?10
Or che non pure i detti,
Ma deggio anco i sospir tener ristretti?
È ver, poco mi pare,
Quand’io ti siedo a lato,
51Il sogguardarti coll’occhio tremante:
Quando, benché nel cuor fervido amante,
Sotto aspetto gelato11
Mi ti debbo mostrare:
Ma da te sono appena allontanato,
Che dolce io chiamo e benedetto istante
E sol felice e sol cagion di vita,
58Quello in cui gradita12

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Vista di quanto bene al mondo io m’abbia,
Non vien ritolta ai languidi miei lumi.
Oh quant’ore di duolo in pianto in rabbia
Trapasso io poi! fin che non piace ai Numi
Di ricondur quell’ora,
64Ch’io non so ben se m’ange13 o mi ristora.
Se vita è un breve sogno,
Quella menoma parte
Ch’io ne traggo al tuo fianco sospirando,
Come appellarla io deggia or vo pensando.
Tempo, che or l’ali ad arte
70Raccogli oltre il bisogno,14
Or le hai rapide troppo ad involarte
Per poi lasciarmi di me stesso in bando,
Man che un sogno or mi sembri, or piú ch’eterno.
Piú in tal pensier m’interno,
Piú vaneggiar pel rio dolor mi sento:
76Né il duol però mi grava... Oimé! che voglio?
Del cor la pace! Ah no! saria tormento
Maggiore assai di quello ond’io mi doglio.
Non rifiuto l’amaro:
Sol vorrei fosse il dolce un po’ men raro.
Canzone, un sol pensiero in troppe rime,
Tuo dire esprime: — io ’l veggo:
83Ma, se a lei tu non spiaci, altro non chieggo.15


Note

  1. Con un viaggio a Roma, compiuto nel decembre del 1777 e che fruttò il son. Vuota insalubre region che stato cui vedremo in appresso, l’A. volle mettere alla prova il suo cuore e veder se poteva o no vivere lontano dalla Contessa d’Albany, conosciuta a Firenze. «L’andare, lo stare, e il tornare», scrive egli al cap. 6° dell’ep. IV. dell’Autobiografia «furono circa dodici giorni. Rividi nelle due passate da Siena l’amico Gori, il quale non mi sconsigliò da quei nuovi ceppi, in cui già era piú che mezzo allacciato; onde il ritorno in Firenze me li ribadí ben tosto per sempre». Al periodo de’ dolci sospiri appartiene la surriferita canzone, composta a Firenze il 29 dic. 1777. Le strofe di essa sono cosí composte: abCCbaB CDdEFEFgG, il congedo, Aa-bB.
  2. 1. Cure, affanni.
  3. 7. Avviene, si può.
  4. 12. Li narro, li posso narrare.
  5. 21-23. Può notarsi qualche analogia fra il pensiero contenuto in questi versi e il son. Solo e pensoso i piú deserti campi, del Petrarca.
  6. 29. Le veglie, le serate che l’A. poteva passare in casa della Contessa.
  7. 36. Di furto, di nascosto.
  8. 39. Intenso, sta qui per intento, ma ci sta proprio per la rima.
  9. 42. A lato, in confronto.
  10. 45-46. Gli esploratori eran quelli che, in sospetto di qualche segreta intelligenza fra l’A. e la Contessa, spiavano ogni loro gesto ed ogni parola.
  11. 51-53. Ciò non doveva costare gran fatica all’A., se il suo viso (Aut., III, 10) «soleva essere di vero marmo».
  12. 58. Verso zoppicante: sono sei sillabe invece di sette.
  13. 64. M’ange, mi addolora.
  14. 69-70. Che passi, cioè, lentamente.
  15. 81-83. L’A. mostra veramente, in questo breve congedo, di aver capito qual sia il principale difetto della sua canzone: la monotonia de’ pensieri.