Rime varie (Alfieri, 1912)/LXXIX. Piaceri senesi

LXXIX. Piaceri senesi

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LXXVIII. Che fu nel passato, che presentemente sia LXXX e LXXXI. Trionfo d'amore

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LXXIX [cix].1

Piaceri senesi.

Due Gori, un Bianchi e mezzo un arciprete;
Una Carlotta bella, e cocciutina;
Una gentil Teresa, un po’ di Nina,
4Fan sí ch’io trovo in Siena almen quiete.2

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Fonte-branda3 mi trae meglio la sete,
Parmi, che ogni acqua di città latina;
Fama mi dà la stamperia Pazzina,
8Le cui bindolerie già poste ha in Lete.4
A Camollía5 mi godo il polverone;
E in su la Lizza6 il fresco ventolino.
11Al male il ben cosí compenso pone.
Ma il campo di mie glorie è il saloncino7

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Dove si fan le belle recitone,
14Quasi cantar si udisse il Perellino.


Note

  1. Siena può vantarsi di essere stata la città italiana piú amata dall’A., dopo Firenze; allorquando, ragazzo a cui era stata lasciata la briglia sul collo, percorse, o meglio, galoppò traverso le principali città italiane, una di quelle che maggiormente colpí il suo spirito fu Siena: «Benché il locale non me ne piacesse gran fatto», scrive egli al cap. 1° dell’ep. III dell’Autobiografia, «pure tanta è la forza del bello e del vero, che io mi sentii quasi un vivo raggio che mi rischiarava ad un tratto la mente, e una dolcissima lusinga agli orecchi e al cuore, nell’udire le piú infime persone cosí soavemente e con tanta eleganza e proprietà favellare». Vi tornò nel ’77, e «sempre benedisse quel punto in cui ci capitò, perché in codesta città combinò un crocchietto di sei o sette individui dotati di un senno, giudizio, gusto e cultura da non credersi in cosí picciol paese». (Aut., IV, 4°). Ma di questi, sebbene con tutti stringesse affettuosa relazione (come può vedersi dall’epistolario), l’amico prediletto dell’A. divenne Francesco Gori-Gandellini, in casa del quale, in via di Pantaneto, (oggi via Ricasoli) abitò qualche tempo. Il Gori fu di professione mercante, ma amava coltivare il suo spirito con lo studio delle lettere e, soprattutto, delle arti belle: anzi, per suo passatempo, compose una descrizione delle piú insigni pitture di Siena, rimasta inedita, nonostante gli incoraggiamenti dell’A. a pubblicarla. Questi, nel 1782, dedicò all’amico, da cui si attendeva «lode scevra di adulazione e biasimo scevro di livore», l’Antigone; e, quando il Gori fu morto, (3 settembre 1783), la Congiura de’ Pazzi «quintessenza del suo forte e sublime pensare»: di piú, scrisse, per onorarne la memoria, il dialogo La virtú sconosciuta e volle lui stesso comporre l’epigrafe che fu posta nella chiesa di San Giovanni in Pantaneto.
  2. 1-4. Due Gori; Francesco e Pietro; questi era un poco piú vecchio dell’altro, e morí qualche tempo avanti di lui: da quel che dice l’A., sembrerebbe anzi che dall’improvvisa morte di Pietro ricevesse tal colpo l’ottimo Francesco che di lí a poco ebbe a seguirlo. — Un Bianchi; Mario Bianchi, nato a Siena nel 1756, cavaliere dell’Ordine di Santo Stefano, e poeta di scarso valore: l’A. ebbe con lui attiva corrispondenza, fu suo ospite nella villa di Montechiaro in Valdarbia, ed ivi compose l’Oreste; allorché fu morto, nel 1796, il Poeta inviò un sonetto consolatorio, riprodotto in questa edizione, a Teresa Mocenni, che ne era stata per lungo tempo l’amica: il mezzo arciprete è Ansano Luti, nobile senese, uomo di vasta dottrina, lettore di ordinaria canonica e dal 1797 Provveditore dell’Università di Siena. In fatto di religione era assai spregiudicato, e i suoi dubbi l’accompagnarono fino all’ultimo tempo della vita: «Dites moi, je vous prie», scriveva la Contessa d’Albany al cavalier Alessandro Cerretani di Siena il 28 febbr. 1807, tre giorni dopo in morte del Luti, «si l’Archiprète est mort tranquillement, car il m’a paru qu’il n’étoit pas très-ferme dans ses principes: il etoit combattu...» Probabilmente la curiosa espressione dell’A. si riferisce proprio alla maniera di pensare del Luti, che lo poneva in contrasto con l’abito ecclesiastico che vestiva. A proposito della Carlotta non è possibile dire chi fosse; ma quel cocciutina potrebbe far supporre che questa, fosse fanciulla o maritata, respingesse ostinatamente proposte amorose fattele o dall’A. o da altra persona del medesimo crocchio. La gentil Teresa è Teresa Regoli, malamente sposata ad Ansano Mocenni: in casa sua raccoglievasi quanto di meglio aveva la città e quanto di buono capitava a Siena di fuori. «In quella conversazione», scrivono I. Bernardi e C. Milanesi in Lettere inedite di V. A., (Firenze, Le Monnier 1864, 102) «si disputava pacificamente di scienze e di lettere, di morale e di politica; si raccontavano volentieri gli scandaluzzi e i pettegolezzi della città mascolini e femminini, le novelle correnti, condite di satire e di epigrammi, tramezzate con un po’ di mormorazione del prossimo; si facevano versi e prose d’ogni maniera, e, bisognando, anche all’amore, chi platonicamente e chi per davvero....». La regina di quel consesso.... era la Teresa». La Nina – dicono gli stessi Bernardi e Milanesi, in una nota a pag. 90 della loro opera – è Caterina,.... sorella di Pierantonio de’ Gori, la quale di diciannov’anni fu maritata, nel 1773, a Francesco Zondadari; nozze illustri, a cui intervenne il Granduca Pietro Leopoldo in persona. — Quanta fosse la gratitudine dell’A. verso questi Senesi che l’avevano cordialmente ammesso nel loro circolo e fatto partecipe delle loro conversazioni, meglio di ogni parola, testimonia il seg. sonetto, che il Gori reputava «attico per la forma ed elegantemente, gentilmente e spiritosamente adulatore» (Op. cit., 91, in nota):
    Siena, dal colle ove torreggia e siede,
    Vedea venir pel piano afflitta errante
    Donna di grazïoso alto sembiante,
    Che movea di ver Arno ignuda il piede.
    Chi mai sarà? l’un Savio all’altro chiede:
    Ma, sia qual vuolsi, or con veloci piante
    A incontrarla ciascuno esca festante,
    Per far di nostra gentilezza fede.
    Era colei la Cortesia, che in bando
    Uscia di Flora, e al Tebro irne credea,
    Forse non meglio l’orme sue drizzando.
    Ma dei Sanesi il bel parlar le fea
    Forza cosí, che non piú innanzi andando,
    Tempio e culto, fra loro ebbe qual Dea.
  3. 5. Fontebranda è una delle diciassette parti contrade di Siena, quella ove nacque Santa Caterina, e prende il nome da una fontana di stile gotico (secondo alcuni quella menzionata da Dante, Inf., XXX, 78), che dissetò la intera città durante un memorabile assedio.
  4. 8-9. Presso Vincenzo Pazzini, Carli e figli di Siena, furono stampate nel 1783 dieci tragedie dell’A., cosí distribuite in tre volumi: il primo de’ quali contiene Filippo, Polinice, Antigone, Virginia, ed è di 423 pagine, il secondo, di 331, comprende Agamennone, Oreste, Rosmunda; il terzo, di 314, Ottavia, Timoleone e Merope: è una stampa mal riuscita, di caratteri grandi, con troppe maiuscole, e l’A. ne rimase cosí scontento, che la tolse di circolazione. È perciò rarissima, ma io ho potuto vederne una copia alla R. Biblioteca di Lucca. Del resto, non soltanto fama dètte all’A. la edizione senese delle tragedie, ma gli tirò addosso (e lo dicemmo commentando il son. Non piú scomposta il crine, il guardo orrendo), aspre e numerose critiche, molte delle quali pubblicate o sotto pseudonimi o senza nome d’autore, e a cui l’A. rispose con alcuni de’ suoi piú mordaci epigrammi. Bindolerie, trufferie; allusione alla bruttezza dell’edizione pazzina, mentre l’A. si aspettava di vederne una bella, elegante e corretta. Qual stima avesse l’A. de’ suoi tipografi di Siena, dicano le segg. parole che scriveva a Mario Bianchi da Pisa, il 28 marzo 1785: «Questa è una città tutta composta di Pazzini, cioè bugiardi quanto lui, ma piú furbi e migliori assai». — Già poste ha in Lete, già ha dimenticate.
  5. 9. Camollía; la porta di Siena che mette sulla Via fiorentina.
  6. 10. La Lizza è il pubblico passeggio di Siena: si dice che di notte l’A. ne facesse di corsa a cavallo il giro tre volte.
  7. 12-14. Il Saloncino era annesso alla nuova fabbrica del Duomo, e vi recitava, col permesso del Granduca, una compagnia di dilettanti; ivi nell’84 furono rappresentate l’Oreste, l’Antigone, e il Filippo dell’A., nell’85 la Merope, nell’86 l’Ottavia, nel ’92 l’Oreste: oggi una lapide ricorda che ivi fu «il campo delle glorie» di V. Alfieri. Il verso 13° di questo sonetto ha nel ms. la variante:
    Dove si fa di me spettacolone.
    Il Perellino: era (non ci vuol molto a capirlo) un cantante, di cognome Perelli, chiamato dall’A. col diminutivo o per la sua statura o per la sua giovinezza; ma non ho potuto trovare alcuna notizia intorno a lui, né si può identificarlo con un Perelli, ricordato dal Fétis (Histoire des musiciens, ad locum), che nel 1845 cantava ad Amsterdam.