Rime varie (Alfieri, 1912)/LXIII e LXIV. Presso l'abbadia di Grenoble
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LXIII [lxxxix] e LXIV [xc].1
Presso l’abbadia di Grenoble.
Là, dove muta solitaria dura
Piacque al gran Bruno institüir la vita,2
A passo lento, per irta salita,
4Mesto vo; la mestizia è in me natura.3
Ma vi si aggiunge un’amorosa cura,
Che mi tien l’alma in pianto seppellita,
Sí che non trovo io mai piaggia romita
8Quanto il vorrebbe la mia mente oscura.4
Pur questi orridi massi, e queste nere
Selve, e i lor cupi abissi, e le sonanti
11Acque or mi fan con piú sapor dolere.5
Non d’intender tai gioje ogni uom si vanti:
Le mie angosce sol creder potran vere
14Gli ardenti vati, e gl’infelici amanti.
Se all’eterno fattor creder potessi
Cosa esser grata un vile ozio devoto,
O se finger di crederlo sapessi,
4Giurerei forse oggi di Bruno il voto.6
Dell’ampio mondo traditore il vuoto,
I casi varj e sempre pur gli stessi,
E l’aspra noja, e il rio languor mi è noto;
8Né piú vedrei, se in lui mill’anni io stessi.7
Parte di me miglior, mia donna, m’odi:8
O insieme in solitudine rimota
11Vivremo un giorno in dolci e lieti nodi;
O ch’io, vivo sepolto in terra ignota,
Sempre piangendo, cantando tue lodi,
14Sospirerò che morte mi percuota.
Note
- ↑ Nel ms. il primo sonetto ha la postilla: «Tra Grenoble e la Certosa, 2 novembre [1783]»; il secondo manca di indicazioni, ma l’uniformità del soggetto fa credere che sia stato composto il giorno stesso o il dí dopo.
- ↑ 1-2. Brunone nacque nel 1038 dalla famiglia Hartenfault a Colonia lesse teologia all’Università di Parigi, e nel 1084 fondò l’ordine dei Certosini, che ebbero sede a Grenoble. Morí nel 1111, secondo il suo panegirista Ercole Maria Zanotti (Bologna, MDCCXLI), secondo altri nel 1112, e fu santificato. — Muta, perché i Certosini debbono osservare scrupolosamente il silenzio, eccetto nelle funzioni religiose; solitaria, poiché vivono separaci dal mondo e ciascuno, meditando e pregando, entro la sua celletta; dura, per la quantità e qualità del cibo (non possono mangiar carne neppur in caso di malattia mortale) per le veglie, per le torture a cui sottomettono il loro corpo. — Instituir la vita, stabilire una regola.
- ↑ 4. La mestizia è in me natura: vegg. la nota introduttiva al son. XLVIII. Opportunamente il Fabris (Studi alfieriani, cit., 89) avvicina a questi versi dell’A. questi altri, bellissimi del Foscolo:
Sperai che il tempo e i duri casi e queste
Rupi ch’io varco anelando, e l’eterne
Ov’io qual fiera dormo alte foreste
Sarien ristoro al mio cor sanguinente. - ↑ 8. Oscura, ottenebrata dal dolore; Guido Falorsi, Tragedie e liriche di V. A. (Firenze, Barbèra, 1890) richiama a questo punto i versi del Petrarca (Rime, XXXV):
Gli occhi porto per fuggire intenti
Dove vestigio uman l’arena stampi...
Ma pur sí aspre vie né sí selvagge
Cercar non so.... - ↑ 11. Mi fanno sentire con maggior forza il mio dolore.
- ↑ 1-4. Poco amò l’A. frati di tutte le specie: è suo l’epigramma:
Sia pace ai frati
Purché sfratati.
né devesi dare soverchia importanza alle seguenti parole che nel 1790 scriveva alla madre sua: «Sono stato anche alla Trappa, famoso convento di Solitari, in cui sono stato edificato veramente e compunto della sublime pietà di quei Religiosi»: a temperare e a chiarire il significato delle quali scriveva pure alla madre il 13 dicembre dello stesso anno: «Vedo... dalla sua ch’ella si felicita in sé stessa che la vista dei frati Trappisti mi abbia compunto il cuore di ammirazione devota; onde le voglio dire per sua consolazione ch’io sono assai meno mondano di quel ch’ella mi crede; ch’io vivo in questa città [Parigi] una vita ritiratissima, andando a letto ogni sera alle cinque o le sei; studiando tutta la mattina fino alle due; e stimando che si possa servire a piacere a Dio in ogni stato». — Vile ozio, ozio, cioè, che sottrae alle lotte e alle responsabilità della vita. - ↑ 8. E non potrei vedere nulla di peggio, campassi mille anni.
- ↑ 9. Altrove: Donna, dell’alma mia parte piú cara.