Rime varie (Alfieri, 1903)/XLVIII. Canzone. Le gravi e dolci cure

XLVIII (1779). Canzone. Le gravi e dolci cure

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XLVIII (1779). Canzone. Le gravi e dolci cure
XLVII. Tempo già fu cor mio ch'ambe le chiavi XLIX. Canzone. Ch'io ponga al duolo tregua

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XLVIII (1779).

CANZONE.

Le gravi e dolci cure
Che fra timore e speme
A vicenda han diviso il viver mio,
Perchè provare, e non narrar poss’io?
Pur l’amorose pene
Sono a soffrir men dure,
Se in qualche modo di sfogarle avviene:
Nè a ciò bastante è il pianto, ancor che un rio
N’esca tuttora dagli occhi dogliosi.
Portar più a lungo ascosi
I miei martir quindi non vo’... Ma in voce
Come li narro a lei, se a lei dappresso
Vien meno il dire?... Or, se il tacer mi nuoce
Ed accenti formar non mi è concesso,
Parli dunque la penna,
Che, s’ella il duol non spiega, almen lo accenna.

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Luce degli occhi miei,
Oh quanto breve è il lampo
Onde il cor tenebroso a me rischiari!
Oh come fuggon ratti e tornan rari
Quegli istanti, onde scampo
Trovo ai tormenti rei
Del vivo fuoco di cui tutto avvampo!
Pochi dolci momenti, oh quanto amari
Parer mi fate e lunghi i giorni interi,
Che in funesti pensieri
Da lei lontan poi trapassare io deggio!
Tornare, è ver, ma oh come tarde e tante
Tornar le veglie sospirate io veggio!
Fossi almen d’ogni angoscia allora esente;
Che l’ombre assai men greve
Mi parrìa l’aspettar, e il dì più breve!
Ma (oh debile conforto
Al mio desire immenso!)
Che ottengo allor, se non di furto un guardo?
Che poss’io dir, se non di furto: Io ardo?...
Forse puoi ciò ch’io penso
Legger nel viso smorto,
Nel cupid’occhio al rimirarti intenso.
Ma un cor piagato d’amoroso dardo
Non si appaga di poco: e un nulla io chiamo
A lato a quel ch’io bramo,
Il poter dirti mille volte il giorno
Ch’io sol per te l’aura vital respiro.
Qual fia dunque il mio stato, or che d’intorno
Cinta da tanti esplorator ti miro?
Or che non pure i detti,
Ma deggio anco i sospir tener ristretti?
È ver, poco mi pare,
Quand’io ti siedo a lato,
Il sogguardarti coll’occhio tremante:
Quando, benchè nel cuor fervido amante,
Sotto aspetto gelato
Mi ti debbo mostrare:
Ma da te sono appena allontanato,
Che dolce io chiamo e benedetto istante
E sol felice e sol cagion di vita,
Quello in cui gradita
Vista di quanto bene al mondo io m’abbia,
Non vien ritolta ai languidi miei lumi.
Oh quant’ore di duolo in pianto in rabbia

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Trapasso io poi! fin che non piace ai Numi
Di ricondur quell’ora,
Ch’io non so ben se m’ange o mi ristora.
Se vita è un breve sogno,
Quella menoma parte
Ch’io ne traggo al tuo fianco sospirando,
Come appellarla io deggia or vo pensando.
Tempo, che or l’ali ad arte
Raccogli oltre il bisogno,
Or le hai rapide troppo ad involarte
Per poi lasciarmi di me stesso in bando,
Men che un sogno or mi sembri, or più ch’eterno.
Più in tal pensier m’interno,
Più vaneggiar pel rio dolor mi sento:
Nè il duol però mi grava... Oimè! che voglio?
Del cor la pace! Ah no! saria tormento
Maggiore assai di quello ond’io mi doglio.
Non rifiuto l’amaro:
Sol vorrei fosse il dolce un po’ men raro.
Canzone, un sol pensiero in troppe rime,
Tuo dire esprime: — io ’l veggo:
Ma, se a lei tu non spiaci, altro non chieggo.