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26 vittorio alfieri


XLVII.

Tempo già fu, cor mio, ch’ambe le chiavi
Tenea di te ben nata cortesia;
Gentil costume, alto pensar ne uscia;
Amor, fede, amistà dentro albergavi.

Ahi vil! qual veggio or di ferrate travi
Dura porta a virtù chiuder la via?
Qual starvi a guardia macilente Arpia,
Che dà sol varco a desir bassi e pravi?

E in van pietade, amor, gloria, vergogna,
Lor caldi strali saettando vanno
In lei che mai non dorme e sempre sogna?...

Cor mio, tu schiavo? e del peggior tiranno?
Deh, cessa. Ad uom, che viver franco agogna,
Serve ricchezze libertà non danno.

XLVIII (1779).

CANZONE.

Le gravi e dolci cure
Che fra timore e speme
A vicenda han diviso il viver mio,
Perchè provare, e non narrar poss’io?
Pur l’amorose pene
Sono a soffrir men dure,
Se in qualche modo di sfogarle avviene:
Nè a ciò bastante è il pianto, ancor che un rio
N’esca tuttora dagli occhi dogliosi.
Portar più a lungo ascosi
I miei martir quindi non vo’... Ma in voce
Come li narro a lei, se a lei dappresso
Vien meno il dire?... Or, se il tacer mi nuoce
Ed accenti formar non mi è concesso,
Parli dunque la penna,
Che, s’ella il duol non spiega, almen lo accenna.