Rime scelte di M. Cino da Pistoia/Ultimi anni
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ULTIMI ANNI
CXI
ALLEGORIA
Nel tempo della mia novella etate,
Quando mi fu per antico diletto
Lo dover far lontan peregrinaggio;
Intrando nel camin con puritate
Senza altra compagnia, pur io soletto,5
Per ispacciarmi tosto dal vïaggio
(Non conoscea ’l dannaggio
Che avvenir suol altrui per rattezza),
Con troppa leggerezza
Mi fermai di passar per un deserto10
Sì tenebroso et erto
Che pur la vista mi feo quasi stanco;
Io vestìa ancor di bianco,
E non portava fodro nè guarnaccia,
Nè conoscea chi seguìa la mia traccia.15
Andando per la strada tutto carco
D’affannati pensieri e di paura
Per una folta che io mirava nebbia,
Così com’io passava per un varco
Che ’l pian lassava a prender dell’altura,20
In fra me dissi — Non so ch’io far deggia; —
Ma come quei che alleggia
Lo peso per andar, così feci io:
Strinsimi al mio desìo.
E di subito vidi accompagnarmi25
Cinque giovin senz’armi,
Ciascun ornato di divise scure
Bianche, gialle, et azzure;
Ma, benchè fusser belli, io dubitai;
Sì che a morte ciascun di lor piagai.30
Sì com’io li feri’, senti’ ’l dolore
In ciascun membro; chè io fui lor segno,
E quelli furon più forti che ’n prima.
Io perdei in parte ed acquistai valore,
E ricopri’, com’io seppi, il disdegno35
De’ falsi colpi che io trassi di scrima.
Ma, com’io entrai ’n cima
D’un colle, vidi sette in un venire
Vêr me con tanto ardire
Che più dir non si può, con sette donne:40
Eran vestite in gonne.
Egli splendenti, et elle nere et perse,
Con faccie assai diverse;
E, più che d’arco stral, ciascun venìa
Per riserrarmi dinanzi la via.45
Pugnar mi convenìa con quelle e questi,
Spettar nel campo e far come chintana,
S’io non volea di subito morire.
Allor si fenno li miei pensier tristi
Per speme di campar che era lontana,50
Sì ch’io non potea omai più sofferire:
Non mi valse il cherire
Mercede allor, che non mi percotesse;
Convenìa pur che io stesse
A sofferir gli colpi dispietati55
Che da lor m’eran dati.
Et io mirando in capo della strada
Vidi con una spada
Star una donna con sembianze grame,
E tutte sue parole eran di fame.60
Centuplicommi la paura al core
Lo andar vêr quella donna sì spietata,
E lo retrogradar che m’era tolto:
Sì che io divenni come l'uom che more:
La carne mi si feo tutta gelata,65
E ’l sudor fosco m’uscìa per lo volto.
Benchè una voce molto
Mi confortasse che nel cor udìa,
La qual sì mi dicìa70
— Dimmi chi sei, non mi ti celare;
Ch’io t’imprometto aitare;
E farlo posso, ch’io sono regina
A cui cotesti inchina:
Ma vo’ ben che tu sia tanto cortese,75
Che lasci a lor quel che da lor si prese. —
Allor dagli occhi la palpebra i’ sciolsi
Per veder quella donna che parlava
Meco parole di tanta soavezza:
Della sua vista cotanto raccolsi,80
Che creatura angelica sembrava
Nella nova mirabil sua bellezza.
Io, che tanta laidezza
Mi vedea, vergognava di star nudo:
Ond’ella allora un scudo85
Mi portò per le armi della pieta,
Con forma tanto lieta,
Che di me parve più che inamorata:
E per lei apparecchiata
Mi fu una toga sì bianca, che persa90
La neve gli parea che le era avversa.
Nova canzon del mio camin, tu sei
Tanto gradita per la dio mercede,
Che certa puoi di me portar novella,
Venti duo millia cinquecento e sei95
Che haggio camminato, come vede
L’adorna donna che ancor non favella.
Dimmi perchè la stella
Che mi conduce non s’è corsa al monte,
Ove l’ultimo ponte100
Convien ch’io passi, con maggior paora,
Che s’offerisce ancora.
Ma, s’io non perdo la candida robba,
La via piana, non gobba,
Farammi la regina per virtute,105
Che mi promise, amando, di salute.
CXII
PER LA MORTE DI DANTE ALIGHIERI
Su per la costa, Amor, dell’alto monte,
Drieto allo stil del nostro ragionare,
Or chi potrìa montare,
Poi che son rotte l’ale d’ogni ingegno?
I' penso ch’egli è secca quella fonte,5
Nella cui acqua si potea specchiare
Ciascun del suo errare,
Se ben volem guardar nel dritto segno.
Ah vero Dio, che a perdonar benegno
Sei a ciascun che col pentir si colca,10
Quest’anima, bivolca
Sempre stata e d’amor coltivatrice,
Ricovera nel grembo di Beatrice.
Quale oggi mai degli amorosi dubi
Sarà a’ nostri intelletti secur passo,15
Poi che caduto, ahi lasso!,
È ’l ponte ove passava i peregrini?
Ma ’l veggio sotto nubi:
Del suo aspetto si copre ognun basso;
Sì come ’l duro sasso20
Si copre d’erba e tal’ora di spini.
Ah dolce lingua che con tuoi latini
Facei contento ciascun che t’udìa,
Quanto dolor si dia
Ciascun che verso Amor la mente ha vôlta.25
Poi che fortuna dal mondo t’ha tolta!
Canzone mia, alla nuda Fiorenza
Oggi ma’ di speranza, te n’andrai:
Di’ che ben può trar guai,
Ch’omai ha ben di lungi al becco l’erba.30
Ecco: la profezia che ciò sentenza
Or è compiuta, Fiorenza; e tu ’l sai.
Se tu conoscerai
Il tuo gran danno, piangi, che t’acerba:
E quella savia Ravenna, che serba35
Il tuo tesoro, allegra se ne goda,
Che è degna per gran loda.
Così volesse Dio, che per vendetta
Fosse deserta l’iniqua tua setta.
CXIII
In fra gli altri difetti del libello,
Che mostra Dante signor d’ogni rima,
Son duoi sì grandi, che a dritto s’estima
Che n’haggia l’alma sua luogo men bello.
L’un è: che, ragionando con Sordello5
E con molt’altri della dotta scrima,
Non fe motto ad Onesto di Boncima
Ch’era presso ad Arnaldo Danïello.
L’altr’è; secondo che ’l suo canto dice,
Che passò poi nel bel coro divino10
Là dove vide la sua Beatrice,
E quando ad Abraam guardò nel sino
Non riconobbe l’unica fenice
Che con Sïon congiunse l’Apennino.
CXIV
A che, Roma superba, tante leggi
Di senator, di plebe, e degli scritti
Di prudenti di placiti e di editti,
Se ’l mondo come pria più non correggi?
Leggi, misera te!, misera, leggi5
Gli antichi fatti de’ tuo’ figli invitti,
Che ti fêr già mill’Affriche et Egitti
Reggere; et or sei retta, e nulla reggi.
Che ti giova ora aver gli altrui paesi
Domato e posto ’l freno a genti strane,10
S’oggi con teco ogni tua gloria è morta?
Mercè, Dio! chè miei giorni ho male spesi
In trattar leggi, tutte ingiuste e vane
Senza la tua che scritta in cor si porta.