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RIME

Il tuo tesoro, allegra se ne goda,
Che è degna per gran loda.
Così volesse Dio, che per vendetta
Fosse deserta l’iniqua tua setta.




CXIII


     In fra gli altri difetti del libello,
Che mostra Dante signor d’ogni rima,
Son duoi sì grandi, che a dritto s’estima
Che n’haggia l’alma sua luogo men bello.
     L’un è: che, ragionando con Sordello5
E con molt’altri della dotta scrima,
Non fe motto ad Onesto di Boncima
Ch’era presso ad Arnaldo Danïello.
     L’altr’è; secondo che ’l suo canto dice,
Che passò poi nel bel coro divino10
Là dove vide la sua Beatrice,
     E quando ad Abraam guardò nel sino
Non riconobbe l’unica fenice
Che con Sïon congiunse l’Apennino.




CXIV


     A che, Roma superba, tante leggi
Di senator, di plebe, e degli scritti
Di prudenti di placiti e di editti,
Se ’l mondo come pria più non correggi?
     Leggi, misera te!, misera, leggi5
Gli antichi fatti de’ tuo’ figli invitti,
Che ti fêr già mill’Affriche et Egitti
Reggere; et or sei retta, e nulla reggi.
     Che ti giova ora aver gli altrui paesi
Domato e posto ’l freno a genti strane,10
S’oggi con teco ogni tua gloria è morta?
     Mercè, Dio! chè miei giorni ho male spesi
In trattar leggi, tutte ingiuste e vane
Senza la tua che scritta in cor si porta.