Rime (Vittoria Colonna)/Canzone II

Canzone II

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Canzone I Stanze


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CANZONE II


M
entre la nave mia lunge dal Porto

     Priva del suo Nocchier, che vive in Cielo,
     Fugge l’onde turbate in questo scoglio,
     Per dare al lungo mal breve conforto,
     5Vorrei narrar con puro acceso zelo
     Parte della cagione, ond’io mi doglio;
     E ’l peso di color, che dall’orgoglio
     Di Fortuna il valore in alto vola,
     Uguagliando al mortal mio grave affanno,
     10Veder, se maggior danno
     Diletto, e libertade ad altra invola,
     O s’io son nel tormento al mondo sola.

Penelope, e Laodomia un casto ardente
     Pensier mi rappresenta, e veggio l’una
     15Aspettar molto in dolorose tempre,
     E l’altra aver con le speranze spente
     Il desir vivo, e d’ogni ben digiuna
     Convenirle di mal nodrirsi sempre,
     Ma par la speme a quella il duol contempre,
     20Questa il fin lieto fa beata; ond’io
     Non veggio il danno lor mostrarsi eterno:
     E ’l mio tormento interno
     Non raffrena sperar, nè toglie oblio,
     Ma cel tempo il mio duol cresce, e ’l desio.

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25Ariadna, e Medea dogliose, erranti
     Sento di molto ardir, di poca fede
     Dolersi, in van biasmando il proprio errore;
     Ma se il volubil Ciel gl’infidi amanti
     Diero a tanto servir aspra mercede;
     30Disdegno, e crudeltà tolse il dolore;
     E ’l mio bel Sol continua pena e ardore
     Manda dal Ciel co’ rai nel miser petto
     Di fiamma oggi, e di fede albergo vero,
     Nè sdegno unqua il pensiero,
     35Nè speranza, o timor, pena, o diletto,
     Volse dal primo mio divino oggetto.

Porzia sopra ad ogni altra mi rivolse
     Tanto al suo danno, che sovente insieme
     Piansi l’acerbo martir nostro uguale.
     40Ma se breve ora forse ella si dolse,
     Quant’io sempre mi doglio, poca speme
     D’altra vita miglior le diede altr’ale;
     E ’l mio grave dolor vivo e immortale
     Siede nel core, e dell’alma serena
     45Vita immortal questa speranza toglie
     Forza all’ardite voglie;
     Nè pur questo timor d’eterna pena,
     Ma d’ir lunge al mio Sol la man raffrena.

Poscia accese di veri e falsi amori
     50Ir ne veggio mill’altre in varia schiera,
     Ch’a miglior tempo lor fuggì la spene;
     Ma basti vincer questi alti e maggiori,
     Ch’a tanti pareggiar mia fiamma altera
     Forse sdegnò quel Sol, che la sostiene;
     55Che quante io leggo indegne, o giuste pene
     Da mobil fede, o impetuosa Morte,
     Tutte spente le scorgo in tempo breve;
     Animo fiero, o leve
     Aprì allo sdegno, od al furor le porte,
     60E fè le vite alle lor voglie corte.

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Onde a che volger più l’antiche carte
     De’ mali altrui, nè far dell’infelice
     Schiera moderna paragone ancora,
     Se inferior nell’altra chiara parte,
     65E ’n questa del dolor, quasi Fenice
     Mi sento rinnovar nel foco ogn’ora?
     Perchè ’l mio vivo Sol dentro innamora
     L’anima accesa, e la cuopre, e rinforza
     D’un schermo tal, che minor luce sdegna,
     70E su dal Ciel m’insegna
     D’amare, e sofferir, ond’ella a forza
     In sì gran mal sostien quest umil scorza.

Canzon tra’ vivi quì fuor di speranza
     Va sola, e dì, ch’avanza
     75Mia pena ogn’altra; e la cagion può tanto,
     Che m’è Nettare il foco, Ambrosia il pianto.