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Ariadna, e Medea dogliose, erranti
Sento di molto ardir, di poca fede
Dolersi, in van biasmando il proprio errore;
Ma se il volubil Ciel gl’ infidi amanti
Diero a tanto servir aspra mercede;
Disdegno, e crudeltà tolse il dolore;
E ’l mio bel Sol continua pena e ardore
Manda dal Ciel co’ rai nel miser petto
Di fiamma oggi, e di fede albergo vero,
Nè sdegno unqua il pensiero,
Nè speranza, o timor, pena, o diletto,
Volse dal primo mio divino oggetto.
Porzia sopra ad ogni altra mi rivolse
Tanto al suo danno, che sovente insieme
Piansi l’ acerbo martir nostro uguale.
Ma se breve ora forse ella si dolse,
Quant’ io sempre mi doglio, poca speme
D’ altra vita miglior le diede altr’ ale;
E ’l mio grave dolor vivo e immortale
Siede nel core, e dell’ alma serena
Vita immortal questa speranza toglie
Forza all’ ardite voglie;
Nè pur questo timor d’ eterna pena,
Ma d’ ir lunge al mio Sol la man raffrena.
Poscia accese di veri e falsi amori
Ir ne veggio mill’ altre in varia schiera,
Ch’ a miglior tempo lor fuggì la spene;
Ma basti vincer questi alti e maggiori,
Ch’ a tanti pareggiar mia fiamma altera
Forse sdegnò quel Sol, che la sostiene;
Che quante io leggo indegne, o giuste pene
Da mobil fede, o impetuosa Morte,
Tutte spente le scorgo in tempo breve;
Animo fiero, o leve
Aprì allo sdegno, od al furor le porte,
E fè le vite alle lor voglie corte.