Pagina:Stampa, Gaspara – Rime, 1913 – BEIC 1929252.djvu/285


i - terze rime 279

     64Non so, ma forse ch’a taluno increbbe
del viver nostro insieme; che ’l suo tosco,
nel nostro dolce a spargerlo, pronto ebbe.
     67Insomma dal mio canto non conosco
d’avervi offeso, se ’l mio amor estremo
meritar pena non m’ha fatto vosco;
     70ma seguite, crudeli questo mai scemo
non diverrá, ma nel mio cor profondo
vivo si serberá fino a l’estremo:
     73vivrá di questo il mio pensier giocondo,
benché per tal cagion di pianto amaro,
di lamenti e sospiri e doglia abondo.
     76Ecco che nel duello mi preparo,
con l’armi del mio mal, de le mie pene,
de l’innocenzia mia sotto’l riparo.
     79Non so se ’l vostro orgoglio ne diviene
maggior, o se s’appiana, mentre mira
ch’io verso’l pianto da le luci piene:
     82ben talor l’umiltá estingue l’ira,
ma poi talor l’accende, onde quest’alma
tra speranza e timor dubbia si gira.
     85Ma, d’armi tali pur sotto aspra salma,
mi rendo in campo a voi, madonna, vinto,
e nuda porgo a voi la destra palma.
     88Se non s’è l’odio nel cor vostro estinto,
mi sia da voi col preparato ferro
un mortai colpo in mezzo ’l petto spinto:
     91pur troppo armata, e so ben ch’io non erro,
contra me sète; ed io del seno ignudo
l’adito ai vostri colpi ancor non serro.
     94Quel dolce sguardo umanamente crudo
son l’armi, ond’ancidete il tristo core,
in cui viva, bench’empia, ognor vi chiudo:
     97gli strali e ’l foco e ’l laccio son d’Amore
l’alte vostre bellezze, a me negate,
onde cresce ’l desio, la speme more.