Rime (Veronica Franco)/Terze rime/XI
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XI
D’incerto autore
Mentr’ella è a Verona con un suo amante, un altro, rimasto a Venezia, si duole ch’ella tardi a ritornare, ed a ciò la sollecita.
Invero una tu sei, Verona bella,
poi che la mia Veronica gentile
con l’unica bellezza sua t’abbella.
4Quella, a cui non fu mai pari o simile,
d’Adria ninfa leggiadra, or col bel viso
t’apporta a mezzo ’l verno un lieto aprile;
7anzi ti fa nel mondo un paradiso
il sol del volto, e degli occhi le stelle,
e ’l tranquillo seren del vago riso;
10ma l’intelletto, che si chiaro dielle
il celeste Motor a sua sembianza,
unito in lei con l’altre cose belle,
13quegli altri pregi in modo sopravanza,
che l’uman veder nostro non perviene
a mirar tal virtute in tal distanza.
16A pena l’occhio corporal sostiene
lo splendor de la fronte, in cui mirando
abbagliato e confuso ne diviene:
19questa la donna mia dolce girando,
l’aria fa tutta sfavillar d’intorno,
e pon le nubi e le tempeste in bando.
22Di rose e di viole il mondo adorno
rende ’l lume del ciglio, con cui lieta
primavera perpetua fa soggiorno.
25Oimè! qual empio influsso di pianeta,
unica di quest’occhi e vera luce,
subito mi t’asconde e mi ti vieta?
28Chi ’l nostro paradiso altrove adduce,
Adria, meco perciò dogliosa e trista,
ché ’n tenebre il di nostro si riduce?
31Ogni altro oggetto, lasso me, m’attrista,
or che del vago mio splendor celeste
mi si contende la bramata vista.
34Ben del pensier con l’egre luci e meste
scorgo Verona invidiosamente,
che de’ miei danni lieta si riveste.
37Veggo, lasso, e rivolgo con la mente
ne l’altrui gioia e ne l’altrui diletto
via piú grave ’l mio danno espressamente.
40Adria, per costei fosti almo ricetto
di tutto ’l ben ch’a noi dal ciel deriva,
quant’ei ne suol piú dar sommo e perfetto:
43or di lei tosto indegnamente priva,
per questa del tuo lido antica sponda
torbido ’l mar risuona in ogni riva.
46Ben tanto piú si fa lieta e gioconda
Verona; e di fiorito e dolce maggio,
nel maggior nostro verno e ghiaccio, abonda.
49Quivi del mio bel sol l’amato raggio
spiega le tante sue bellezze eterne,
che d’ir al cielo insegnano il viaggio.
52Per virtú di tal lume in lei si scerne
vestir le piante di novel colore,
e giunger forza a le radici interne.
55L’aura soave e ’l prezioso odore,
che da le rose de la bocca spira
questa figlia di Pallade e d’Amore.
58nutrimento vital per tutto inspira.
si ch’a quel refrigerio in un momento
tutto risorge e rinasce e respira;
61e de la voce angelica il concento
i fiumi affrena, e i monti ad udir move,
e ’l ciel si ferma ad ascoltarla intento:
64il ciel, che in Adria piange, e ride altrove,
lá ’ve la dolce mia terrena dea
grazia e dolcezza dal bel ciglio piove,
67e quel ricetto estremamente bea,
dov’ella alberga, per destin felice
d’un altro amante e per mia stella rea.
70Altri del mio penar buon frutto elice,
del mio bel sol la luce altri si gode,
ed io qui piango nudo ed infelice.
73Ma, s’ella ’l mio dolor intende et ode,
perch’a levarmi l’affamato verme
non vien dal cor, che si ’l consuma e rode?
76E, se non 11l’ode, o mie speranze inferme!
poi che ’l ciel chiude a’miei sospir la strada,
contra cui vano è quanto uom mai si scherme.
79Ma tu si aventurosa alma contrada,
ch’a pena un tanto ben capi e ricevi,
qual chi confuso in gran dolcezza cada,
82d’Adria i diletti, a fuggir pronti e lievi,
mira; e dal nostro danno accorta stima
il volar de’ tuoi di fugaci e brevi.
85Or ti vedi riposta ad alta cima,
né pensi forse come d’alto grado
le cose eccelse la fortuna adima:
88stabil non è di qua giú ’l bene, e rado
piú d’un momento dura, e ’l pianto e ’l duolo
trova per mezzo l’allegrezza il guado.
91Ma pur felice aventuroso suolo,
che quel momento al goder nostro dato
possiedi un ben cosí perfetto e solo.
94Pian, poggio, fonte e bosco fortunato,
ch’a un guardo, a un sol toccar del vago piede
forma prendete di celeste stato,
97l’alto e novo miraeoi, che ’n voi siede,
a farvi basti, in tanto spazio, eterno
tutto quel ben, ch’ai suo venir vi diede;
100sí che mai non v’offenda o ghiaccio o verno,
ned altro influsso rio, ma sempre in voi
sia la stagion de’ fior lieta in eterno:
103pur che tosto colei ritorni a noi.
al nido, ov’ella nacque, che senz’essa
mena tristi ed oscuri i giorni suoi.
106Dch torna, luce mia, elei raggio impressa
de la divinitá, qui dove mai
pianger la tua partita non si cessa.
109Tempo è di ritornar, madonna, omai
a consolar de la vostr’alma vista
di questa patria i desiosi rai,
112a dar a la mia mente inferma e trista
col dolce oggetto del bel vostro lume
rimedio contra ’l duol, che si l’attrista:
115e, se troppo ’l mio cor di voi presume,
datemi in pena che del vago volto
da vicin lo splendor m’arda e consume:
118né de’begli occhi altrove sia rivolto
il doppio sol, fin che ’n polve minuta
non mi vediate dal mio incendio vólto;
121e, per farlo, affrettate la venuta.