Rime (Cavalcanti)/Appendice
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APPENDICE
Ripeto i dodici sonetti adespoti dati da M’a, M’b, dei quali
fu data una stampa scorretta da l'Arnone:
I.
Così m’aviene, Donna mia valente,
come all’orbo che sogna vedere:
mentre che sogna sta allegro e godente,
4e poi si sveglia e tornagli martire.
E questa pena avien a me sovente
che’n fra le braccia me’ vi posso avere:
poi mi risveglio e non trovo niente:
8da tale vita mai non voria partere.
Ch’io veggio che lo sonno è traditore;
così mi fura e non sento niente,
11così m’aggiunge con Madonna mia,
così mi face come lo ladrone
e fami star in pace ed in tormento:
14se m’alcidesse gran mercè faria.
II.
Lasso! sovente la vostra amistate
chero per messo che non mi riviene:
forse per colpa è di vostra beltate
4che lo messaggio innamora e distiene
Poi non vi dice in tutto ventate
e mi fa star in disperata spene:
così morraggio manzi che saggiate
8che’n tale guisa di voi mi soviene
E tanto temo la vostra orgoglianza,
ch’arditanza mi tol di guarire,
11se da voi io non aggio altra sembianza
Altrui s’allegra dello mio martire:
se voi non vi movete a piatanza
14davanti voi vedretime morire
III.
Com’all’infermo che giace m’aviene
che’n giorno in giorno ispera di guarire
ma lo gran male che forte lo tiene
4non lascia sua speranza al fin venire
Così Madonna tenendomi in pene
mi face quasi languendo perire:
lo suo piacere m’ha tenuto in spene
8credendomene ancor per quel gioire:
e come quel che della sete pere
che nello fiume tutt’ore si bagna
11e sta fin a gli denti e non può bere:
onde’l mio core se ne parte e lagna
ed a Madonna gran mercè ne chere
14che no’l lasci perir poi che lo sagna
IV.
Lo gran tormento che’nseme paterno,
gentil Madonna, perchè adiviene?
Io v’amo e voi m’amate e’nseme senio
d’uno volere e pur vi verno in pene
Lasso tapino me! perchè dolemo
poi che siam d’un voler e d’una spene?
Certo, Madonna, che mal provedemo:
ad occider l’un l’altro non sta bene
Ma veramente credo indivinare
la cosa che ne fa la pena avere,
ciò è lo gran tormento che paterno,
che l’uno all’altro si dotta parlare;
ma chi ben ama non deve temere
Ben a ragione se’ ntrambi peremo
V.
Non posso più soffrir tanto martire
com’ho sofferto per voi, Donna mia;
ched io fui sempre fermo ad ubbidire
Che troppo fora dura cosa a dire
s’io pur penasse avendo zoia mia;
che le soverchie pene fan morire
lo bon amante ch’ama far follia
Onde vi prego che ponete cura,
che ’ntrambi siam biasmati senza cagione
di quella, che paterno, pena dura
Perch’ogni giorno vien dritta staggione
da coglier quella rosa di verdura:
però dimando d’amor guidardone
VI.
L’oscura morte voria che venesse
e mi traggesse di tanto penare:
ch’io non fesse dimoia a Dio
forte me’ncresce lo pur dimandare
Sanami vita se ciò ad venesse,
del mondo uscesse e non più dimorare:
che tanta pena mi raddoppia e
Dir lo potesse’ 1 mio cor e mostrare
a voi, che mi stringete1 in tal maniera
come la cera che dal foco apprisa
non ha diffesa e sempre più s’alluma
Peccato fate che sete sì fiera,
onde’l mio cor dispera di tal guisa:
mia mente assisa veggio si consuma
VII.
Il povero gentil e vergognoso
anzi che chere lassassi morire,
e ’nanzi al ricco mostrasi goffoso,
credendo che gli deggia sovenire;
ma lo cortese e ben a Venturoso
vede in sua vista con’teme di dire:
per gran pietatc lo chiama in ascoso
e donagli conforto di guarire
Così divien cui l’amore ha conquiso
che per vergogna dimandar non osa,
ma per sembianti mostra ciò ch’ha in mente
Dunque mercè saria fosse piatosa
la sua Donna, en cui l’amor l’ha priso,
di sovenire lo suo ben voiente
VIII.
Sonar bracchetti, cavatori izare,
lepri levarsi, ed escridar le genti,
e di guinzaglio uscir veltri correnti,
per bella piaggia voler imboccare,
assai credo che deggia dilettare
libero core ed uom d’intendimenti;
ma fra gli amorosi pensamenti
da uno son schernito in tal affare,
e dicemi sto motto per usanza:
— Ecco la leggiadria di gentil core
per una sì selvaggia dilettanza
lasciar le donne e lor gaia sembianza —
Allor, temendo non lo senta Amore,
prendo vergogna, onde mi vien pesanza
Ca lo dà a Dante con lezione più pura; esempi: aitare, isgridar, volger e ’nboccare, van d’intendimenti, ed io (v. j), esto motto
IX
Tutto lo mio desio aggio en lo flore,
e la speranza mia in lei ho posto
però che delle donne è lo fiore;
sempre ad ella in amor m’ho posto
Chè’l cor suo in gioia sempre flore,
però’ l mio ben in lei ho riposto
sì, ch’altra donna amar non curo un fiore,
se non in lei servir m’aggio proposto
Tanto in lei penso che non so che faccia,
poi che di tutte l’altre è la più gente:
lo mio cor e la mente a lei si danno
Che quando appare sua lucente faccia
rende gioioso ognun che a sua gente:
dunque s’io servo non me ’l segno a danno
X.
Ormai ben veggio che lo mio solacelo
certo, Madonna, è sol di voi vedere:
et voi non vedendo i’ mi disfaccio
sì ch’altra cosa non mi può valere
Et la dolorosa pena ch’io faccio
aggio gran tema non vi sia spiacere:
però la voglia mia non vi taccio
sperando che cangiate lo volere
Mestier è ch’io m’allegri alle fiate
e mi conforte di vostra veduta,
poi che non sia di vostra volontate
Ond’io m’allegro di vostra venuta,
poi ch’aggio vista la vostra beltate,
che’l mio conforto in gran ben rimuta
XI.
Mio intendimento è posto tanto altero
che nessun mi si puode appareggiare
che sia terreno: secondo ch’io spero,
ben aggia’l giorno ch’io prisi ad amare
Sì gentil cosa non è ’l specchio chero
ove mia dombra possa assimigliare:
guardando in esso divegno mainerò
ed aggio a schifo chi mi vuol pigliare
Prender mi lascio come ’l tigre face
al caceiator: non si sente colpire,
tanto rimira lo specchio verace
E sono ’l cirro del qual odito ho dire
che’l ditto della gente porta in pace
che non poria tanta gente schernire
XII.
Al mondo non è cosa ch’aggio in core
se non voi, amoroso mio diletto,
ed aggio sì commesso in voi ’l mio amore
4che, s’io lo perdo, mai ben non aspetto
La rimembranza ch’ò di voi spess’ore
mi fa bagnare gli occhi ’l viso e ’l petto:
vivo doglioso in foco ed ardore
8tanto è in voi lo mio amor constretto
Ai me lasso dolente! che farraggio
veggendo che ’l vi piace la mia morte?
11ai, amor mio! ed io v’amo cotanto
S’io v’ho falsato, altra scusa non aggio
se non di sofferire pena forte,
14pur che ’l v’incresca, Donna, il mio compianto
- ↑ Corretto in margine: struggete.